08 marzo 2013

Ritratto del curatore da giovane

 
Da otto anni Claudio Zecchi e Marco Trulli collaborano come curatori indipendenti. Il prossimo impegno è per ‘Mediterranea 16’, la Biennale dei Giovani Artisti che si terrà ad Ancona a giugno. Approfittiamo del loro ruolo per fare un'indagine sullo stato dell’arte giovane nei Paesi del Mediterraneo
di Manuela Valentini

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Claudio e Marco, potete presentarvi brevemente?
«Mi chiamo Claudio Zecchi, ho 34 anni, sono nato a Priverno in provincia di Latina, lavoro tra Sabaudia e Viterbo e dove mi chiamano a lavorare».
«Sono Marco Trulli, nato ad Anzio, ho 32 anni e vivo e lavoro di base a Viterbo, sono presidente di Arci Viterbo, associazione in cui realizzo diversi progetti culturali, tra cui “Cantieri d’Arte”, mi occupo della programmazione di uno spazio di arte e cultura contemporanea, il Biancovolta.» 
Avete compiuto studi artistici?
C.Z.: «Mi sono laureato in Storia dell’arte contemporanea all’Università degli Studi della Tuscia e ho conseguito un master in Management per Curatore nei Musei d’Arte e Architettura Contemporanea presso la Facoltà di Architettura di Valle Giulia, La Sapienza, subito dopo ho cominciato a lavorare come assistente presso alcune gallerie di Roma e sono otto anni che curo il Progetto Cantieri d’Arte».
M.T.: «Mi sono laureato in Storia dell’arte contemporanea con tesi sui giardini d’artista, poi ho frequentato la Scuola di specializzazione in Tutela e Valorizzazione dei Beni Storico Artistici che ho però interrotto per noia e lavoro. All’Università ho conosciuto l’arte del Novecento, per lavorare nell’ambito dell’arte contemporanea ho dovuto inventarmi qualcosa e lavorarci su, pur vivendo di base in un territorio assolutamente periferico rispetto al cosiddetto “sistema”».

Come e quando è nata la vostra collaborazione?
C.Z.: «Siamo amici dai tempi dell’Università e un giorno, mentre ero a Bergamo per uno stage presso la GAMeC, Marco mi ha chiamato raccontandomi di Cantieri d’Arte, invitandomi a collaborare. Dopo qualche tempo ci siamo visti, ne abbiamo parlato meglio e abbiamo cominciato a lavorare insieme. Correva l’anno 2006».
M.T.: «Nel 2005 ho fondato Cantieri d’Arte in maniera assolutamente incosciente, in primis come percorso di autoformazione. In effetti la mia formazione si è sviluppata nel lavoro con gli artisti e nella frequentazione di luoghi d’arte indipendenti  (come il giardino La Serpara, in provincia di Viterbo). Da subito ho sentito l’esigenza di condividere questo percorso progettuale di “autodeterminazione”  in maniera seria e costruttiva con qualcuno. Mentre pulivo un cortile abbandonato al centro di Viterbo per realizzarci  la prima edizione di Cantieri d’Arte, ho telefonato a Claudio e gli ho detto: “che fai l’anno prossimo?”. Cantieri d’Arte è nato come collettivo guardando la Biennale di Berlino del 2006, quella di Subotnick-Gioni-Cattelan».

In che cosa consiste esattamente “Cantieri d’Arte”?
«Cantieri d’Arte è un progetto che si focalizza sulla relazione tra arte e spazio pubblico. Il suo percorso può essere diviso in due segmenti: i primi cinque anni, in cui abbiamo lavorato in città attraverso operazioni che vivevano nel tessuto urbano, realizzate invitando artisti con lo scopo di produrre una lettura inedita della città. Negli ultimi tre anni abbiamo cominciato un percorso di ricerca più intenso che ci vede collaborare con artisti, architetti, critici, scrittori e pensatori tout court, in analisi che cercano di interpretare il territorio nella sua complessità politica e sociale. Per questo lavoriamo maggiormente su dinamiche laboratoriali tese al confronto. Quello che più ci interessa oggi sono i processi discorsivi che attraversano e “occupano” gli spazi urbani. Sono due anni che realizziamo workshop, conferenze e performance occupando spazi della città e confrontandoci direttamente con essa, creando nuovi spazi di condivisione e di elaborazione di pensiero critico. Quest’anno (mentre lavoriamo anche per “Mediterranea 16. Biennale Giovani Artisti”) realizzeremo dei workshop e delle residenze per giovani artisti a Viterbo. Nell’ambito di Cantieri d’Arte è nato un progetto di riflessione sull’interazione tra arte e spazio pubblico che si chiama “La Ville Ouverte”, attraverso il quale operiamo in maniera itinerante nel Mediterraneo cercando di analizzare le differenze di approccio e di utilizzo dello spazio pubblico nell’area euro-mediterranea».
Nel 2006, insieme ad altri, avete curato una mostra intitolata “Cantieri d’Arte. Ridisegnare i luoghi comuni” che ha fatto parlare non poco la stampa locale. A Viterbo infatti sono apparsi cartelloni che pubblicizzavano una grande mostra con capolavori provenienti dai musei Guggenheim di New York, Venezia, Bilbao e Las Vegas. In realtà in esposizione c’erano opere di artisti contemporanei, tra i quali ricordiamo l’ex writer Ozmo. Questo “scherzetto” pare vi sia costato una campagna di protesta, una denuncia alla magistratura ed una convocazione della polizia. Com’è andata a finire la vicenda? 
«In realtà quelli che ci causarono qualche problema con la ‘giustizia’ furono i poster  di Abbominevole. Viterbo rimase scottata, intorno alla metà degli anni Novanta, da un’azione del collettivo Luther Blissett che mise in scena finte messe sataniche. Siccome i volti affissi da Abbominevole erano sfocati e riportavano un segno ‘più’ (+) sulla fronte (che venne scambiato per una croce) si fece presto a ricondurre tutto ad una matrice fondamentalista o ad un’operazione satanica. Così dovemmo fare una smentita ufficiale alla Digos ecc. ecc. Poi abbiamo avuto problemi anche a causa della falsa campagna di comunicazione della “Guggheneim collection” (scritto come si pronuncia) di Ozmo e, per non farci mancare nulla, anche con l’installazione “Un Edificio Qualunque” di  Eva e Franco Mattes aka 0100101110101101.org in questo caso sì, in pieno stile Blissettiano. Abbiamo raccontato tutta la nostra storia in un testo scritto per il libro Drawing a new memory imitando – non ci vergogniamo a dirlo – la modalità utilizzata da Wu Ming del breve testo Benvenuti a sti frocioni 2. Il nostro testo è scaricabile dal nostro link issuu che si trova sul blog artecantieri.blogspot.it. Di fatto abbiamo “pagato” il nostro operare in una situazione assolutamente incontaminata dal linguaggio contemporaneo. Ciò è tuttora croce e delizia del nostro  progetto».
Voi collaborate con la BJCEM, un’associazione che sostiene e promuove la giovane creatività nel Mediterraneo. In che situazione versa l’arte giovane in queste zone oggi? Quali sono le tendenze, i punti forti o le debolezze, le problematiche? Le istituzioni aiutano abbastanza i giovani? 
«Abbiamo cominciato a collaborare in maniera strutturata con BJCEM l’anno scorso quando siamo stati chiamati a curare una parte del “World Event Young Artists”, un evento mondiale che si è tenuto a Nottingham (UK) nel Settembre 2012. Il nostro progetto, dal titolo Disorder, era una riflessione sullo stato di crisi politica e sociale che l’anno scorso è esplosa per ragioni diverse nel bacino del Mediterraneo. Collaborando con artisti di diversi Paesi, ci siamo resi conto, che la situazione è piuttosto fluida ed eterogenea: ci sono aree in cui essere giovani artisti è piuttosto complicato, alcuni artisti siriani ad esempio sono precettati ed attualmente sono costretti a lavorare in anonimato. Ad esempio, noi abbiamo ospitato nel nostro spazio “Biancovolta”, una collettiva di artisti siriani curata da Delphine Leccas. Il progetto consiste in un insieme di poster che gli artisti postano in anonimo sui social network e sono la testimonianza della complessità di lavorare in un’area come quella. In generale, nella riva sud del Mediterraneo, emerge un forte bisogno di raccontare con l’arte ciò che è accaduto (e che sta ancora accadendo) con la Primavera araba».
Anche quest’anno sarete nel team curatoriale di “Mediterranea 16”, la Biennale promossa dalla BJCEM e dedicata per l’appunto ai giovani artisti (under 35) che a giugno si terrà nella Mole Vanvitelliana ad Ancona. Come hanno risposto i candidati alla vostra open call? Qual è il tema di quest’anno? Cosa concludete in seguito alla valutazione dei progetti che avete ricevuto? 
«Si, stiamo lavorando nel team curatoriale insieme ad altri sei curatori (Alessandro Castiglioni, Slobodne Veze/Loose Associations, Charlotte Bank e Delphine Leccas, Nadira Laggoune) che vengono da diverse parti del bacino del Mediterraneo o che lavorano in maniera particolare su alcune aree geografiche. Questa eterogeneità ci permetterà di scrutare e analizzare in maniera più capillare e approfondita il lavoro di artisti che provengono da diversi Paesi. “ERRORS ALLOWED – Gli errori sono permessi”, titolo della 16a Biennale del Mediterraneo, vuole essere un’analisi sulle strategie di autoeducazione  in una situazione di crisi ormai dilagante su più livelli. Gli artisti saranno selezionati attraverso un meccanismo di bando ma, oltre alla presenza di artisti visivi, performer, musicisti e videomaker, abbiamo pensato di aprirci anche a figure come i ricercatori culturali perché siamo interessati a costruire un progetto incentrato sul pensiero e la ricerca estetica contemporanei nell’area euromediterranea. Oltre ad una mostra, che rappresenta lo strumento più tradizionale di presentazione del lavoro degli artisti, abbiamo pensato di dar vita ad una “Library” costruita con il contributo di ciascuno dei 250 artisti che porteranno un “oggetto educativo” ritenuto fondamentale per la propria formazione. Infine, una sezione di taglio più laboratoriale e partecipativo, dal titolo “Show and tell”, che vedrà la partecipazione aperta della città di Ancona. In questo caso, non solo gli artisti, ma i cittadini in senso lato, potranno partecipare e raccontare la città di Ancona in maniera multidimensionale».

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