27 aprile 2018

Annunciati i finalisti del Turner Prize. E non sono quelli che ci si poteva aspettare

 

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La Tate Britain ha appena annunciato i quattro artisti selezionati per il Turner Prize del 2018 e non sono esattamente i nomi che ci si poteva aspettare, dall’importantissimo riconoscimento che ha avuto il merito di lanciare le carriere degli allora giovani Damien Hirst, Chris Ofili, Wolfgang Tillmans, Martin Creed e Mark Leckey, tra gli altri. 
Un deciso cambio di direzione già si era avvertito con l’ultima nomina, quella di Lubaina Himid, che fece discutere non solo per l’ampliamento del limite d’età ma anche per un atteggiamento diverso, più pacato e riflessivo rispetto a quello modaiolo e irriverente, generalmente associato al premio, soprattutto nelle ultime decadi. Chi sono, dunque, i quattro della shortlist più calda del momento? Si tratta di nomi non proprio sulla bocca di tutti e, per questo, molto interessanti: Forensic Architecture, Naeem Mohaiemen, Charlotte Prodger e Luke Willis Thompson
«La giuria di quest’anno ha scelto un gruppo eccezionale di artisti, che affrontano le questioni politiche e umanitarie più urgenti di oggi», ha dichiarato Alex Farquharson, direttore della Tate Britain. Dunque, tutt’altro che disimpegno più o meno elegante, invece, full immersion nel mondo che ci circonda, attraverso un linguaggio crudo, non mediato. E infatti, per la prima volta tutti i candidati si esprimono quasi esclusivamente attraverso l’immagine in movimento. «Questa shortlist evidenzia quanto l’immagine in movimento sia diventata importante nell’esplorazione di questi dibattiti. Non vediamo l’ora di capire come potrà essere questa mostra dinamica e coinvolgente», ha commentato Farquharson. 
Il nome che suscita più curiosità è quello di Forensic Architecture. È praticamente la prima volta che viene nominato un collettivo così strutturato e numeroso, fondato nel 2011 e di base alla Goldsmiths University Of London, la cui ricerca si concentra sugli elementi di conflittualità insiti nella forma degli spazi urbani ed extraurbani, e nella durata degli eventi che in essi si svolgono. Una equazione di luoghi e tempi, destrutturati attraverso l’utilizzo di tecnologie avanzate di modellazione e ricostruzione 3D. Nel gruppo, molti architetti, alcuni designer e un giornalista, tra le loro collaborazioni figurano enti come Amnesty International e Human Rights Watch, oltre all’Agenzia della Nazioni Unite per l’antiterrorismo. Si tratta di arte? Forse sarà stata questa domanda a stuzzicare l’interesse della giuria. 
Sul tema della violenza e della brutalità si concentrano anche i film e i documentari di Luke Willis Thompson, nato ad Auckland nel 1988, secondo neozelandese mai nominato al Prize, formatosi a Francoforte e da alcuni anni a Londra. La sua è una estetica low-fi, che trasforma in ritratti, i video dei pestaggi della polizia, catturati dagli smartphone, oppure le storie di cronaca nera raccontate dai notiziari. 
L’immagine in movimento è il medium prediletto anche di Naeem Mohaiemen, nato a Londra nel 1969 e di origini Bangladesi, che lavora sull’eredità del colonialismo e sulla politica della sinistra radicale degli anni ‘70, principalmente nell’Asia meridionale. Una nomina che appare consequenziale a quella di Himid, con la quale condivide molti temi. 
Più poetico e intimista il lavoro di Charlotte Prodger, nata nel 1974 e di base a Glasgow. Anche lei predilige il medium del film e nelle sue opere ci racconta di paesaggi aperti, al limite tra natura e antropizzazione, ma anche momenti di socialità, memore del suo lavoro da dj nelle discoteche queer. 
Tutti i lavori dei finalisti saranno esposti alla Tate Britain, dal 25 settembre 2018 al 6 gennaio 2019. Il vincitore sarà annunciato a dicembre, in un cerimonia trasmessa dalla BBC. 
In home: la ricostruzione di un incidente durante le operazioni di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo, il 6 novembre 2017. Fotografia: Forensic Architecture 
In alto: Luke Willis Thompson

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