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“Vorrei che la mia pellicola facesse per la Street Art quello che Karate Kid fece per le arti marziali”. Ovvero informazione, sdoganamento, popolarità. Questi gli intendimenti di Banksy, famosissimo quanto misteriosissimo – la sua vera identità resta un segreto inviolabile – graffitista inglese, legati al suo primo lungometraggio, dal titolo Exit Through The Gift Shop.
Dopo il debutto americano di fine gennaio al Sundance Festival, il film approda ora in Europa, come uno degli highlights di Berlinale, prestigiosa rassegna nella capitale tedesca. Si tratta di una sorta di storia dell’arte urbana, nella quale gli artisti sono legati da un unico filo narrativo. Lo stesso Banksy, assurto a fama mondiale per i tantissimi graffiti illegali realizzati in giro per il globo, compreso quello di un detenuto di Guantanamo nel parco di Disneyland, compare come protagonista; con voce celata e volto coperto, of corse…
[exibart]




















Possiamo vedere qualcosa del genere qua in Italia? Bravo Banksy.
Grande Bansky! La sua, ma nche quella del nostro Blu, è ancora pittura di passione civile, è avventura, è anonimato (in un epoca in cui gli artisti sono delle primedonne al limite del ridicolo non è poco). Al contrario di tanta arte pittorica intimista il loro lavoro non è confinato agli spazi chiusi dei collezionisti, delle gallerie o dei musei dove l’aria signori miei è sempre viziata (coltivano solo le loro elite la folla preferisce i centri commerciali!!!) ma aperto libero (anche economicamente e non è poco!!) si offre allo sguardo di chi lo vuole recepire di chi ne vuole godere.Sono gli eredi minimali dei grandi affrescatori di storie sacre del nostro passato di quell’arte che cercava la “comunicazione” con la moltitudine. Con loro oggi il genere “pittura” ha ancora senso d’esistere.