02 aprile 2013

Esperimenti bolognesi. Il Museo Medioevale si “sdoppia” nel Musée de l’OHM, rendez-vous tra antico e contemporaneo, inscenato da Chiara Pergola

 

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Musée dell'OHM, nella sua sede attuale presso il Museo Civico Medievale di Bologna Musée dell'OHM al Museo Civico Medievale di Bologna, dettaglio de -La Transparence-
Una piccola iniziativa a Bologna apre al dibattito sulla ridefinizione del concetto di Museo, nel verso di una riduzione dello spazio e della sua mobilità. Si chiama Musée de l’OHM ed è ospitato all’interno del Museo Civico Medievale di Bologna. È un secretérie che contiene molteplici oggetti, piccoli manufatti artistici e alcuni effetti personali, in mostra fino al 5 aprile.
Abbiamo chiesto alla giovane ideatrice quali sono state le condizioni che hanno permesso lo sviluppo di questa iniziativa: «Stavo cercando un luogo pubblico in cui collocarlo, possibilmente un museo storico per sottolineare il rapporto tra contemporaneità e tradizione. Proprio in quel periodo un critico di Bologna, Massimo Marchetti, stava discutendo con Renato Barilli la tesi di specializzazione, e aveva inserito Musée de l’OHM in un discorso sulla Critica Istituzionale; in commissione c’era anche Massimo Medica, il direttore del Museo Medievale, e così si è aperto un dialogo».
La Transparence, all’interno delle considerazioni critiche che ruotano intorno ad un’architettura trasparente, leggera, impalpabile è nelle parole di Chiara Pergola il «superamento dell’immagine in senso retinico che ormai fanno paradossalmente parte della nostra tradizione iconografica (…) una possibilità di trasparenza “totale”, cioè di visibilità di tutti i “particolari”».
Una trasparenza che ha un suo segmento fisico – una lastra trasparente posta al “primo piano nobile” del Museo, che permette di vedere gli oggetti in esso contenuti – e una trasparenza alla seconda: sulla base superiore di questo museo – mobile è adagiato un questionario che contiene le domande che il nuovo direttore del Musée de l’OHM– il performer Marc Giloux – pone all’ideatrice, chiarendo gli obiettivi di questa mostra in perfetto stile Glasnost.
Una mostra che è un alibi, ma anche una macchina per entrare a pieno titolo nel dibattito sulla definizione dell’artistico e dell’immaginario museale: «quello che mi interessa non è tanto trovare o definire una “formula” per creare uno spazio museale, quanto inserirmi attivamente – attraverso un esperimento – all’interno del processo di formazione di un immaginario culturale».
Contro gli stilemi di universalizzazione del fatto artistico e in favore di una visione “eccentrica e particolaristica”, l’ideatrice porta avanti una considerazione molto attuale: l’aura del contesto favorisce e a volte si sostituisce all’artisticità dell’oggetto stesso.  Alla provocazione così risponde: «Penso che se fosse suo desiderio trasformare una borsa o un armadio in museo, potrebbe farlo adottando prima di tutto una struttura di gestione di questi contenitori come musei, anche al di là del tipo di oggetti che contengono». (Paola Pluchino) 

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