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“A Vivid Dream: can dreaming save us?”, solo show ospitato da Yamamoto Keiko Rochaix, è una passeggiata nella ricerca multiforme di Alessandro Roma. La mostra, aperta fino al 7 dicembre, esordisce e si chiude con squillanti pattern stampati su tessuti, che portano per mano lo spettatore nella “pancia” della galleria inaugurata a gennaio di quest’anno, che si trova camminando verso East, a Spitalfields, in quella Londra dove Roma era già di casa. Si passeggia, dunque, in mezzo a dodici episodi diversi della sua produzione, dal 2015 a oggi: dalla pittura di grande formato alla ceramica, passando per bassorilievi in bronzo e in gesso, fino ai tre libri d’artista, intimisti e delicati, in copia unica. E anche in questi, attraverso «le pagine delle sue narrative sincroniche», è ribadita la sua fedeltà alla formazione pittorica.
Come riporta Marina Dacci, che presenta la mostra, Roma definisce «la postura della rêverie, quella che ci consente di cogliere ciò di non immediatamente riconoscibile, impiegando balzi e scarti, sentieri laterali di visione e libere associazioni». Il percorso che si compie si concentra sul rapporto tra colori/materiali/consistenze e l’ambiente scarno e asciutto del piccolo spazio espositivo, con le sue peculiarità/difficoltà architettoniche. (Cristina Principale)
In alto: Alessandro Roma, Untitled, 2017. On the table, from left to right, The vivid dream, 2107, Myself included, 2017, The world of the shy drawings, 2017
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