29 aprile 2015

Il caso Kenya. Il Governo del Paese africano ritira la sua partecipazione alla Biennale, a pochi giorni dall’opening

 

di

Pochi giorni fa l’accusa, da parte della comunità artistica africana, come avevamo riportato: il Kenya avrebbe svenduto ad una serie di artisti cinesi il suo padiglione. Ma già nel 2013 solo due dei dodici artisti del padiglione erano kenioti, e quest’anno la Repubblica Popolare avrebbe avuto ben sei artisti su otto nel Padiglione dello stato africano.
Ecco il motivo per cui gli “addetti ai lavori” avevano chiesto al Governo di ritirare la “rappresentazione fraudolenta”. 
Oggi la doccia fredda: il Ministero dello Sport, Cultura e Arte ha davvero interdetto e ritirato la partecipazione a Venezia, avvisando però solo la Biennale e non i diretti interessati, curatori e organizzazione, né tantomeno artisti.
I curatori Sandro Orlandi Stagl e Ding Xuefen, e gli stessi artisti partecipanti,  kenioti e non, sono stati accusati di mistificazione. Inoltre, l’artista Armando Tanzini e il suo team, che si sono presentati come “rappresentanti ufficiali della Repubblica del Kenya”, sono stati bersaglio di critiche che hanno solo messo a fuoco le origini italiane dello stesso Tanzini e non hanno tenuto conto della sua vita passata in Kenya da oltre quarant’anni, “come se ad oggi, nell’epoca del globale, facesse fede solamente il comune di nascita”, si è andato ripetendo nella conferenza stampa indetta per chiarire la questione.
Incredulità sembra essere la parola più calzante, anche perché mai – negli ultimi tre anni – sotto la Commissione di Paola Poponi, il Governo ha mai espresso rimostranze. 
Nessun commento istituzionale e sulla curatela pare infatti sia mai stato realmente espresso contro le scelte artistiche del 2013, e nemmeno l’anno successivo, in cui il Kenya è entrato per la prima volta alla Biennale Architettura, sempre sotto la guida di Poponi. 
“Diventa davvero difficile accettare il ritiro da una manifestazione così importante da parte di un Paese che non si è mai dimostrato insoddisfatto nei confronti di chi lo ha rappresentato”, si legge nelle note della conferenza.
Il Padiglione kenyota, anche in questa occasione, avrebbe lavorato sulla “differenza”: “Creating Identities”, titolo della mostra, avrebbe preso corpo dalle maschere di Yvonne Apiyo Braendle‐Amolo, volutamente e massicciamente africane, per poi passare ad altre visioni di identità, e confronto.
«Finiti tutti i bei discorsi sul dialogo multiculturale, niente più felici contaminazioni artistiche, basta con i punti di incontro tra realtà diverse. Non ignoro le difficoltà che il Kenya sta attraversando in questo periodo, conosco la delicatezza dei suoi rapporti internazionali, in particolare con la Cina. Nel corso della mia esperienza personale di Presidente della Biennale negli anni settanta, quando mi sono fatto spesso paladino di artisti che si voleva  mettere a tacere, ho visto più d’una volta queste impossibili collaborazioni: dopotutto l’arte non gira con la carta d’identità in tasca», ha riportato l’ex Presidente della Biennale (dal 1974 al 1979) Carlo Ripa di Meana.
La buona notizia? La mostra, in tutti i modi, si vedrà lo stesso. E forse, dopo tutta questa vicenda, potrà avere ancora più visibilità. 
Nella foto sopra: Sandro Orlandi Stagl, Carlo Ripa di Meana e Paola Poponi

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui