01 agosto 2006

La fuga da Beirut della gallerista Andrée Sfeir. “I nostri tempi? Segnati dalle guerre”

 

di

L
Aveva aperto i battenti in una fabbrica abbandonata del Quarantine district di Beirut proprio nell’aprile 2005, mentre le ultime truppe siriane abbandonavano il Libano dopo la “Rivoluzione dei Cedri”. La Galerie Sfeir-Semler – segnala il portale artnet.com – non pensava proprio di aprire questa sede mediorientale con scopi commerciali, piuttosto di aiutare il risveglio della società civile libanese, promuovere gli artisti locali e contribuire a sviluppare il mercato libanese dell’arte. E portare importanti artisti internazionali per stimolare il dialogo. Il successo fu clamoroso, e la gallerista Andrée Sfeir – che in Libano è nata – fece anche affari, specie con i ricchi libanesi che rientravano dall’esilio in una terra liberata, o con gli arabi cosmopoliti affamati di cultura. L’ultima mostra – Moving Home(s) , con opere di big come Atelier van Lieshout, Balthasar Burkhard, Jimmi Durham, Dan Graham, Bernard Khoury – si era aperta sei giorni prima che gli scontri si inasprissero fino all’attuale degenerazione. All’opening c’erano 700 persone. Ora tutti sono in fuga, e a vegliare sulla Sfeir-Semler è rimasta Natalie Khouri, la direttrice, che vive a Beirut. “Ma non sto chiudendo la galleria – assicura la Sfeir -. L’ho aperta per dare alla gente uno spazio culturale e di scambio delle idee, dalla guerra e dalla distruzione otterremo altre idee“.


Sfeir-Semler Gallery
Tannous Bldg – Quarantine
Beirut – Lebanon
Info: 961 1566551
Web: www.sfeir-semler.de


[exibart]

3 Commenti

  1. Conosco bene la Galerie Sfeir-Semler Amburgo-Beirut. Ad Amburgo sono stato due volte, dove ho avuto l’opportunitá di conoscere il lavoro dei suoi artisti piú giovani, e mi sarebbe piaciuto vedere anche la sede di Beirut (dove piú che altro si programmavano eventi di un certo tipo), magari approfittando di un viaggio nella capitale della cultura del medioriente, che a suo tempo purtroppo fu giá martoriata dalla guerra civile ’75/’90. Personalmente ho giá scritto la settimana scorsa alla gallerista portando la mia solidarietá.

    Non sono assolutamente d’accordo invece con la lettera scritta dal gallerista Ermanno Tedeschi di Torino al critico d’arte Luca Beatrice (Flash Art nº258 Pag. 56). Dove difende il diritto di Israele a difendersi con e su qualsiasi cosa. Il tutto é estremamente squallido, soprattutto quando due artisti di questa galleria sono Israeliani e perché questo gallerista ha dei piani per esporre e vendere in un museo di Tel Aviv opere della sua collezione. Se tanto mi da tanto, il concetto é: nel nome del denaro vale tutto.

    Degli israeliani che penso? I nonni dicevano che durante la seconda guerra i tedeschi della ss uccidevano 10 italiani ogni tedesco caduto…

  2. La crisi libanese e le gallerie d’arte contemporanea…uhm chissà cosa ne pensa attualmente, la Mona Hatoum a riguardo. La quale, ormai lontana dal suo paese natìo, avrebbe segnato il suo percorso artistico con installazioni relative a imprigionamento, tortura, dolore, pericolo e displacement!

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