17 maggio 2015

New York/le fiere. 1:54, ovvero l’arte africana sbarca a Red Hook. Ed è un’autentica rivelazione

 

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Pioneer Works è nel cuore di Red Hook, lembo di Brooklyn affacciato sulla baia e uno degli ultimi avamposti non ancora completamente soggetti alla gentrificazione. Da qui vedrete tutto lo skyline di Manhattan mixato a storage in disuso, ma dovrete guadagnarvi questo piccolo angolo felice con una lunga camminata dalla stazione della metropolitana più vicina (si fa per dire), Carroll street.
Poco male, perché il gioco vale la candela: Pioneer Works, Center for art and innovation, ospita la prima edizione newyorchese di 1:54 Contemporary African Art Fair (già in scena a Londra).
Tra le gallerie c’è anche l’italiana Primo Marella, di Milano, con una serie di bei pezzi tra cui il tessile di Abdoulaye Konate, nato in Mali nel ’53, qui esposto con Nécrologie annoncée d’un fanatisme religieux, in cui lo scenario di sciabole ricamate si mixa con frammenti delle bandiere europee, statunitensi, francesi e cinesi.
Lawrence Lemaona alla galleria Afronova propone slogan politici su tessuti e Billie Zangewa riflette sulla condizione della donna, di colore ovviamente, nel suo ruolo di madre e angelo del focolare: anche in questo caso l’opera è realizzata su una tela di seta, dove le figure sono il risultato di assemblaggi cromatici di stoffe. In questo caso il titolo è Ma vie en rose, ma l’unico rosa della donna alle prese con cucina e prole è quello delle pareti della stanza.
Ci sono poi le piccole riflessioni sui materiali della società dei consumi messe in assemblaggi dal nigeriano Olu Amoda, davvero poetici e proposti da Art Twenty One, e le fotografie di Edson Chagas (foto sopra), presentato dalla bresciana A Palazzo Gallery, che copre il volto di una serie di persone con le maschere della tradizione dell’Angola. Vi dice qualcosa questo artista? E avete ragione, perché era uno dei protagonisti del Padiglione del Paese africano premiato alla Biennale 2013 con il Leone d’Oro come migliore partecipazione nazionale.
«Conoscevamo già il format della fiera, abbiamo già partecipanto, e ci piace perché è a misura d’uomo. Il clima è ottimo, il pubblico che arriva è decisamente interessato a conoscere gli artisti che proponiamo», ci dicono le galleriste, che per questa occasione hanno inaugurato anche una collaborazione con Crane projects (Creative Africa Network) di Londra.
Altra opera decisamente poetica è l’installazione di Francois-Xavier Gbré, Installation Gobelet, 2015, dove l’artista (rappresentato da Cécile Fakhoury gallery) isola attraverso fotografie nel classico formato 13×18 particolari architettonici e simili di abitazioni ridotte a semi-ruderi, in Tunisia.
E se per il resto vi sembrerà di scorgere deja vu di Basquiat o Haring, poco importa. Prendetevi una pausa, mangiatevi qualcosa (per esempio pollo alla brace) nel giardino, e salite nella piccola torretta all’interno della quale una ragazza di colore canta blues accompagnata dalla band. Rigorosamente live. Come questa fiera, viva e leggera.

2 Commenti

  1. Buongiorno,
    Anzi tutto vorrei ringraziare Exibart per il paragrafo dedicato al mio lavoro. Ma vorrei chiarire piccole cose un po approssimative.
    Per cominciare, si tratta di un quartiere chiamato Gobélé e non Gobelet. È stato distrutto e sono state buttate fuori oltre 70 000 persone…
    Poi, non ho niente contro il formato 13×18 detto “classico” pero l’installazione è composta di fotografie al formato 12 x 16 cm.
    E io sono mai stato in Tunisia. Tutte le riprese sono fatte in Abidjan, Costa d’Avorio, dove vivo.
    Spero che questo commento vi possa aiutare.
    Cordialmente,
    François-Xavier Gbré

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