22 marzo 2019

Nuove Utopie a Casa dei Saperi. Il progetto di Fondazione Pini vuole tornare al dialogo

 

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Un filo sottile lega tra loro figure nascoste e ne diffonde le voci, non più entro uno spazio conteso ma alla ricerca di piani narrativi inediti. Questo viaggio del pensiero utopico trova in Fondazione Pini, a Milano, una casa ideale e una collezione permanente in dialogo con la ricerca più recente. Casa dei Saperi, progetto pluriennale ideato e diretto da Valeria Cantoni Mamiani, dedica alle Nuove Utopie il prossimo biennio e lo fa coinvolgendo un team curatoriale appositamente costituito, Sonia D’Alto, Elisa Gianni, Itamar Gov, Cristina Travanini e Alessia Zabatino, perché «è urgente tornare a parlare insieme, ampliarsi e trasformare la realtà intorno a noi». 
E quindi: quali nuove affinità e quali limiti possono emergere da questo progetto della Fondazione? «Casa dei Saperi – ha spiegato Cristina Travanini, in dialogo con il filosofo Leonardo Caffo – nasce come spazio aperto di confronto e contaminazione, in cui promuovere un dialogo genuino tra saperi: arte, scienze, filosofia, poesia, diventano modalità diverse per rispondere all’urgenza di approfondimento di alcuni temi. Mi piace l’idea di un sapere contaminato, che restituisca la complessità della riflessione. Il limite di quest’apertura è la stessa disponibilità del pubblico a sperimentare uno spazio ibrido, in cui i confini tra le discipline vengono espressamente contestati. E sappiamo che i confini offrono quell’apparente senso di sicurezza e protezione cui non è sempre facile rinunciare». 
«Il nostro progetto non prevede mostre, piuttosto un Public Program, una modalità che in Italia non è ancora molto diffusa e che a volte anch’io trovo problematica. Ma in questo caso penso che sia davvero prezioso portare all’interno di un luogo come questo, intimo e accogliente, un programma che coinvolga teorici, artisti, preveda workshop e film che attraversano il tema delle Nuove Utopie tramite l’idea del risveglio, della presa di coscienza», ha sottolineato Sonia D’Alto. Si è parlato del valore della riparazione con Elisa Gianni e Adolfo Ceretti, criminologo ed esperto di giustizia riparativa, attraverso un’idea di centralità della persona ai fini di un nuovo riequilibrio sociale, di sistema educativo con Alessia Zabatino e Sara Ferraioli, membro del team Maestri di Strada ONLUS. 
Uno scenario multidisciplinare che trova nelle pratiche del collettivo rumeno Apparatus 22, voluto da Sonia D’Alto, una dichiarazione di poetica: «Il fatto che si tratti di un collettivo, lo rende ancora più interessante nell’ottica del nostro lavoro, che si muove in direzione di una smaterializzazione dell’autorialità personale. Il dialogo con Apparatus 22 è stato un focus sul loro lavoro, che incrocia problematiche di economia, sociologia, estetica e politica, affrontate attraverso l’uso di questionari e di parole-chiave. A partire da queste ogni anno sviluppano un talk e alcuni lavori. Coerente con il nostro programma è anche il loro approccio critico positivo, i riferimenti a “Hope”, quella speranza che anima la loro visione». 
Lo Spirito di Ernst Bloch aleggia tra le sale antiche e ne anticipa le intenzioni: la performance sonora dell’artista e compositrice franco-canadese CECILIA chiude la serata inaugurale ma parte dal principio, disegna un cerchio intorno e conquista quella centralità di linguaggio che contiene in sé ogni promessa futura. «Anche la musica – ha continuato D’Alto – può comunicare con la filosofia o le arti visive, come accadeva un tempo, prima di questa iper settorializzazione che viviamo oggi. Le performance di Cecilia spesso riempiono lo spazio con poesie recitate e la Casa dei Saperi ha tra i suoi primi obiettivi quello di portare della poesia in questo mondo dominato dalla prosa del profitto e dell’algoritmo». 
Il ruolo degli spazi d’arte come luoghi di rifugio, a partire dalle pratiche del Collettivo Çukurcuma di Istanbul, è stato il tema approfondito da Itamar Gov e Mine Kaplangi. In che modo questi spazi, l’arte e l’architettura partecipano alla definizione di Postumano Contemporaneo? «È nell’arte e negli attuali esperimenti dell’architettura – dice Cristina Travanini – che si trovano anticipazioni di scenari postumani. Possiamo già rintracciare sperimentazioni di microcomunità e “nicchie ecologiche”, come le chiama Leonardo Caffo, in cui si anticipano forme di vita comunitaria in grado di resistere al mutamento delle condizioni climatiche e ambientali, che a loro volta richiedono nuove progettualità architettoniche. Si pensi agli spazi vuoti di cui parla Gilles Clément nel suo Manifesto del Terzo paesaggio: nello scenario del Postumano questi spazi dovranno essere ripensati e resi abitabili. Arte e architettura stanno già esplorando questi temi, ci parlano di città meticce, di pratiche artistiche e di comunità agresti in cui sperimentare un rapporto equilibrato con mondo naturale e animale». La complessa vicenda dell’individuo diviene allora questione di singolarità e alleanza di sguardi, di sogni a occhi aperti e atti concreti, di infinito presente. (Ilona Barbuti
In alto: Casa dei Saperi, Fondazione Adolfo Pini, Milano. Photo credit Elena Rosignoli

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