13 ottobre 2018

Prospettive a ritroso. Alla Galleria Forni di Bologna, punti di vista su Giorgio Bevignani

 

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Il 13 ottobre, in occasione della Quattordicesima Giornata del Contemporaneo promossa da AMACI, la Galleria Stefano Forni di Bologna presenterà il catalogo della mostra RubraRebour di Giorgio Bevignani. Per l’occasione abbiamo desiderato raccogliere i punti di vista sul lavoro dell’artista di chi ha collaborato alla realizzazione dell’esposizione e alla redazione del testo: Silvia Forni, Silvia Grandi, curatrice della mostra, Giuseppe Virelli, che si è occupato di un approfondimento sull’istallazione site-specific Soul of the dawn, in uno dei testi presenti nel catalogo. 
Silvia Forni, come nasce e si sviluppa il rapporto della ‘Stefano Forni’ con Giorgio Bevignani? Quali ritenete essere le sue peculiarità? 
SF: «La nostra collaborazione con Bevignani è iniziata un paio di anni fa e abbiamo partecipato con le sue opere a fiere importanti, tra cui Art Miami (esperienza che ripeteremo anche quest’anno); la nostra conoscenza, però, risale a tempo addietro. Abbiamo sempre apprezzato in lui la curiosità e l’incessante ricerca riguardo l’uso della materia e dei materiali. Potremmo immaginarlo come un alchimista all’opera nel proprio studio-laboratorio. Ammiriamo, inoltre, il suo eclettismo e il coraggio di portare avanti una sperimentazione di così ampio respiro, caratteristica – quest’ultima – che di solito si riscontra più frequentemente negli artisti internazionali. Interessante, infine, percepire come i suoi studi precedano la materia, in una dimensione priva di segno, una sorta di utero materno dove tutto appare ancora indifferenziato». 
Silvia Grandi, a cosa allude il titolo della mostra: RubraRebour? 
SG: «Allude all’andare “a ritroso” – à rebour, appunto – attraverso una ricerca cromatica sul rosso (rubra in latino) svolta nei recenti lavori della serie Silenzio Nudo, consistente in una straordinaria collezione di pannelli dove le variazioni sui toni del colore rosso intendono recuperare una sorta di linguaggio umano che viene prima dei segni e della scrittura. Questi dipinti nascono dall’esplorazione dell’uso del silicone che, mischiato al colore su una base di più strati cromatici, dona profondità alle superfici dando così vita a una patina semitrasparente come un tessuto organico, che al tatto ricorda la morbidezza e l’elasticità della pelle. Quando ci avviciniamo, questi quadri ci fanno desiderare di entrare dentro, penetrare questa materia fatta di trasparenze e velature che ci portano verso uno sfondamento della superficie, quasi quest’ultima fosse più densa, spessa e profonda dei reali strati stesi pazientemente dall’artista sui pannelli». 
In che modo le opere di Giorgio Bevignani si possono collocare tra le nuove forme del visivo, ovvero come le sue opere comunicano attraverso questo canale? 
SG: «Le opere di Giorgio Bevignani sono raffinate, mentali, giocano sulla sinestesia, quindi per comprenderle non basta fermarsi alla facile simbologia visiva del colore rosso, come emblema della vita, del sangue, della passione o anche di eventi dolorosi o drammatici. Sono lavori che sintetizzano la ricerca di Bevignani portata avanti coniugando in modo inscindibile la sperimentazione sul materiale e quella sul colore. Ad esempio, alcune sculture della serie Al-gher, anch’esse realizzate con silicone e schiuma poliuretanica e ispirate alle conformazioni del corallo, sono morbidi e sensuosi aggregati materici dalle sembianze organiche; paiono pietre sospese che annullano la dimensione spazio-temporale dell’ambiente in cui sono inserite, trasformandolo in uno spazio interiore con il quale lo spettatore è invitato a interagire, e quasi fungono da agglomerati allo stato grezzo di quella materia pronta a esplodere e a spalmarsi sulle superfici appese alle pareti. Questi nuclei materici di silicone preludono e sono propedeutici al lavoro di stesura strato su strato di materia e pigmenti che caratterizza la serie Silenzio Nudo, realizzata dall’artista in uno stato di concentrazione assoluta, quasi seguendo un automatismo del fare dettato da forze inconsce ma estremamente calibrate, per svolgere una sorta di trascrizione dalla materia grezza e informe alla materia tirata, lisciata e quasi accarezzata. In modo analogo si pone ancor di più la malleabile e fluida materialità del silicone pigmentato protagonista di RubraRebour, l’altra imponente installazione che dà il titolo alla mostra, una specie di pelle artificiale traslucida e vagamente post Anti-Form, come una superficie scultorea privata dell’anima e della plasticità che la dovrebbero sostenere, dall’aspetto gelatinoso e pieno di trasparenze, appoggiata a terra a creare increspature e volute simil organiche, che ricorda una placenta, l’inizio di una possibile vita e che nelle sue varie gradazioni di rosso sembra proprio condurci verso un percorso “a ritroso” al tempo della creazione, degli elementi primordiali, ma al tempo stesso ci invoglia a calpestarla, toccarla, stropicciarla, morderla come un’improbabile gigantesca chewing-gum».
Giuseppe Virelli, tradizione classica e contemporaneità, passato e presente, come convivono nelle opere di Giorgio Bevignani? 
GV: «In Giorgio Bevignani tradizione classica e contemporaneità convivono in perfetto equilibrio. Per lui, infatti, esiste una sorta di filo conduttore che lega insieme i filosofi antichi e i moderni pensatori. Del resto, molti dei temi da lui affrontati sono, per così dire, “eterni”, ovvero appartengono all’uomo in quanto tale. Emblematico in tal senso è, ad esempio, l’opera site-specific Soul of the dawn che accoglie lo spettatore all’ingresso della Galleria. Quest’ultima prende spunto dalla riflessione che egli fa sul dramma del femminicidio, il quale, purtroppo, allora come oggi, segna l’intera storia dell’umanità. Detto altrimenti, l’artista ricorre alla tradizione classica per parlare dell’oggi, ma attenzione egli non lo fa “salendo in cattedra”, quanto piuttosto affidando il suo messaggio di denuncia a un linguaggio intimo e delicato che, allo stesso tempo, esprime anche la volontà di “ricucire” le ferite provocate da questa sempiterna tragedia. In definitiva nell’opera di Bevignani passato e presente si rincorrono e s’intrecciano in un produttivo e salutare cortocircuito». 
Uno sguardo critico all’uso del colore e della materia: che impiego ne fa Giorgio Bevignani? 
GV: «Colore e materia sono in Bevignani una cosa sola. La scelta dei materiali con cui egli decide di creare le sue opere, infatti, è sempre determinata dalle possibilità che questi offrono di rendere determinati effetti cromatici. L’uso di siliconi, di schiume poliuretaniche o di fibre di polipropilene impiegate nelle opere qui esposte, ad esempio, agiscono sulle tinte scelte come esaltatori di qualità estetiche altrimenti impossibili da ottenere con le normali tecniche tradizionali. Come ha giustamente osservato Silvia Grandi, l’artista ha sfruttato le qualità intrinseche di questi materiali sintetici (manipolati con perizia tecnica straordinaria) per ottenere delle superfici di colore ‘animate’, che ricordano di volta in volta “un tessuto organico” (Silenzio nudo), “morbidi e sensuosi aggregati materici” (Al-gher) o, ancora, una sorta di “placenta” (RubraRebour)». (Maria Chiara Wang)

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