Create an account
                    Welcome! Register for an account
                    
                    
                    
                    
                    La password verrà inviata via email.
                    
                Recupero della password
                            Recupera la tua password
                            
                            
                            
                            La password verrà inviata via email.
                        - 
- 
	- Categorie
		- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
 
 
- Categorie
		
- 
	- Servizi
- Sezioni
 
 
- 
	
A principiare il tutto è stata Fondazione Prada, con “When Attitudes become form”: la mostra delle mostre, il remake impossibile, la pericolosa scelta di rimettere insieme i pezzi di un capitolo fondamentale per la storia dell’arte del ‘900 e per questo sempre a rischio di scivoloni, quando si tenta di riportare in vita l’originale. Celant, con Koolhaas, c’è riuscito egregiamente -l’abbiamo visto- e quel che ora si trascina con sé, sembra essere la nascita di una nuova corrente, dedicata appunto non solo al remake delle grandi opere, come spesso accade con la citazione degli artisti, ma con il riportare in vita le grandi mostre. Poco tempo la Richard Saulton Gallery di Londra ha rimesso in piedi “Transformer”, la celebre mostra di Jean Christophe Ammann del 1968, che aveva permesso l’ingresso del tema del corpo, del doppio, del travestitismo e degli annessi e connessi nelle neo-avanguardie, e oggi è invece la volta nientemeno che del Centre Pompidou. Che rimette insieme i pezzi di una delle sue perle più immense: “Magiciens de la terre”, l’esposizione storica che nel 1989, al Pompidou e a la Grande Halle de la Villette, ha rivoluzionato la scena artistica del XX secolo, portando a Parigi anche quelle che erano le culture invisibili dell’Africa, Asia, Oceania. 
Per celebrare il 25esimo anniversario il museo parigino organizza un simposio internazionale il 27 e 28 marzo, per tornare sull’esperienza e le prospettive che questa mostra ha aperto con la sua messa in scena. Economisti, sociologi, politologi e storici dell’arte, dal curatore della storica mostra Jean-Hubert Martin fino a Annie Cohen-Solal, hanno risposto alla chiamata per i festeggiamenti. E per raccontare come e cosa è cambiato da 25 anni a questa parte sotto il cielo di quelle tensioni che “Magiciens” aveva messo in mostra, globalizzazione in primis.
Ma non è finita, perché dal prossimo 2 luglio sarà in scena “Une histoire. Art, architecture et design, de 1980 à aujourd’hui”, che partendo dalla collezione del centro metterà insieme qualcosa come 400 artisti e creativi provenienti da 47 Paesi e, fino all’8 settembre, a cura di Didier Schulmann, responsabile della Biblioteca Kandinsky del Museo Nazionale d’Arte Moderna, verràa anche presentato l’archivio de le “Magiciens”, ovvero tutto il materiale che compose la mostra: documenti fotografici, libri, disegni, cataloghi, filmati, esposti in una scenografia originale disegnata dall’artista Sarkis.
 


 
            
 

















 
			 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
			  
     
            