17 settembre 2018

Report da Venice Glass Week/3. La caneva di Matteo Seguso è lo scrigno degli incisori

 

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Un piccolo antro nel campiello che spezza Fondamenta Vetrai proprio di fronte al Ponte di Mezzo, il baricentro del flusso turistico che si snoda tra il dedalo di rive e canali dell’arcipelago muranese. Un comune magazzino, chiamato anche caneva in veneziano, viene reso scrigno di fasci di luce che danno spessore a delicatissimi e raffinati oggetti in vetro incisi. 
Se è vero che nel vetro muranese esiste una gerarchia molto sentita tra le tecniche, secondo cui vengono privilegiate quelle della lavorazione a caldo, è vero anche che non ci sarebbe storia senza tutti i dettagli che contribuiscono ad arricchire quello che, altrimenti, sarebbe un semplice soffio di vetro. E allora, al di là di questa pretesa scala di valore, ci piace aprire uno squarcio su questa piccolissima ma complessa mostra internazionale. 
Tra i calici trasparenti e i vasi che catturano il profilo dei velieri con le sue micro scavature fatte a freddo, ci colpiscono i tre bicchierini da sakè di Dominic Fondé, interamente incisi con parole dai caratteri minuscoli che raccontano semplici conversazioni di un bar, o i piccoli frammenti della memoria tutti incisi con parole e texture che provengono dall’immaginario di Ioana Stelea. Tante le nazioni rappresentate, dall’Irlanda al Giappone, dagli Stati Uniti alla Finlandia, passando ovviamente per l’Italia. 
Come sostiene il promotore della mostra “L’arte internazionale dell’incisione su vetro”, si tratta di una tecnica che meriterebbe più attenzione di quella che in realtà non ha, nonostante la forza e la qualità di questi manufatti sia innegabile. Matteo Seguso, lui stesso incisore di fama internazionale, si è dato come obiettivo proprio quello di promuovere nel miglior modo possibile quest’arte, cosa che è riuscito a fare con assoluta eleganza anche in questa occasione. (Penzo+Fiore)

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