16 novembre 2005

visualia_interviste Lev Manovich – Soft Cinema

 
Una nuova narrativa post-cinematografica legata al database. Si chiama Soft Cinema ed è passato dalla dimensione dell’installazione a quella del dvd. Abbiamo parlato –di questo e altro- con il suo teorizzatore e creatore, il teorico dei nuovi media Lev Manovich...

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Il progetto Soft Cinema nasce dalla collaborazione tra Lev Manovich, teorizzatore dei nuovi media e Andres Kratky, new media designer. Affiancati da una serie di artisti che vanno da DJ Spooky e Scanner per la musica a Schoenerwisse/ofCD per le visualizzazioni e Ross Cooper Studios per il media design. Una suggestiva e rivoluzionaria esplorazione delle nuove narrative, che parte da un presupposto basilare: se la nascita del cinema del XX secolo è legata alle tecnologie dell’era industriale (l’energia elettrica e il movimento uniforme del motore, ma anche la logica della catena di montaggio), che tipo di narrativa e di cinema ci dobbiamo aspettare dall’era del software? Soft Cinema vuole essere una proposta e un’analisi fattiva delle estetiche che possono essere non solo e semplicemente generate dal computer, ma basate sulle strutture di produzione e consumo che si sono sviluppate tramite esso. E’ dunque il database il sistema su cui è stato costruito Soft Cinema, a cui sono stati dati dei parametri per editare di volta in volta una scelta potenzialmente sempre diversa delle clip caricate, e dunque per creare sempre un “film” diverso. Il layout stesso è costituito da diversi frames, che mescolano svariati elementi media (immagini video e grafiche, suoni, testi…), a rappresentare i punti di vista -spaziali e temporali- di un complesso “universo interiore”. Soft Cinema è stato presentato negli ultimi anni in diverse installazioni ed è finalmente stato prodotto come dvd: mentre nelle installazioni la “scelta” delle clip e della loro disposizione avveniva in tempo reale, per il dvd è stata operata una selezione di specifiche performance, che vengono di volta in volta caricate, per offrire, anche in questo caso, una casistica di diversi “film”.Un ritratto di Lev Manovich

Può parlare del suo nuovo progetto, Soft Cinema? Lei ha detto che si tratta di una sorta di esperimento che aiuta a visulizzare la sua ricerca…
Soft Cinema esiste in una sorta di spazio concettuale tra film, editing e motore di ricerca. Il progetto fa riferimento alle nuove modalità con cui si vedrà la natura, la classificazione e l’organizzazione del sapere e indaga la narrativa del cinema, che è un modo particolare di organizzare gli eventi…
Abbiamo utlizzato il software non come “intelligenza artificiale”, né come un modo per rimpiazzare l’intelligenza umana o per ultimare la costruzione di un film, ma come una via per fornire nuove prospettive per il materiale raccolto, per trovare connessioni. Ottenendo dei risultati inaspettati.

Che differenze ci sono con altri esempi di cinema fatto tramite database, come il Korsakow System, che permette di interagire con la narrazione e decidere in qualsiasi momento di variarla?
Il nostro sistema non è stato disegnato come interattivo e il sistema Korsakow, che considero comunque fantastico, usa parole chiave semantiche, le clip vengono descritte con parole decise da qualcuno. Quello che invece abbiamo fatto nel nostro esperimento è stato selezionare delle parole chiave che vengono derivate automaticamente da un un software che abbiamo scritto noi. Il computer genera le descrizioni di conseguenza, che abbiano o non abbiano un senso. Come nella vita di tutti i giorni: gli algoritmi governano gran parte della nostra vita senza che sappiamo davvero come funzionino.

Ci dica di Info-Aesthetics, la sua prossima pubblicazione. La proposta è già on line, in open source. Lei ha detto che avrebbe esplorato la nuova cultura dell’information society.
Ci sto lavorando dal 2000 e spero di finirlo entro l’autunno. Lo scopo è fare una ricognizione delle diverse tecniche culturali, dall’architettura al design, dal software art alla computer science e capire come le persone impegnate in diverse aree culturali trattano i problemi di base come il convertire informazioni in forme o pattern significativi; allo stesso tempo, analizzare come si evolve la rappresentazione basata su software.
Uno screenshot tratto da Soft Cinema
In occasione del Festival Sintesi, lei ha posto delle domande che sono state pubblicate online sul sito del festival, aperte alle risposte dei lettori. Le giro una delle sue domande: ci devono essere limiti al remixing? Ha bisogno di una sua estetica?
Avevo fatto questo domanda durante una conversazione con DJ Spooky ed è un campo che io stesso sto esplorando. Il remixing è molto importante, ma come ogni categoria, quando la usi per fare riferiemento a tutto, diventa meno significativa. Se vogliamo utilizzare il remixing come categoria di anlisi culturale, sarebbe meglio sviluppare una “grammatica” dei differenti tipi di remix. E poi, continuando a remixare sembra che ci si ponga in una posizione in cui tutto ha lo stesso valore: l’impressione dopo un po’ è di appiattimento.

Una domanda ancora: come possiamo utilizzare i media contemporanei per rappresentare la soggettività umana?
Se si guarda alle forme narrative e artistiche contemporanee, negli ultimi 50 anni non è stato fatto molto per creare nuove tecniche di rappresentazione del mondo interiore delle persone. Il modernismo è stato caratterizzato da ricerca molto intensa, poi dagli anni ‘50 del 1900 queste questioni hanno perso di importanza. E ancora oggi le tecniche di rappresentazione sono sempre le stesse. E’ interessante allora vedere in che misura il computer può essere usato in questo senso, considerando che storicamente i modelli della psiche e del corpo umano sono stati influenzati dalle tecnologie dominanti a quel tempo.

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monica ponzini


Lev Manovich, Andreas Kratky
Soft Cinema: Navigating the Database
MIT Press, 2005 – www.manovich.net


[exibart]


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