26 maggio 2024

«Accogliamo la complessità dell’architettura»: intervista a Sou Fujimoto

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Per l’architetto giapponese la città è un organismo capace di raccogliere la coesistenza delle diversità. Ci ha raccontato la sua visione davanti a “Leaveitbe”, opera architettonica presentata da AMDL Circle a Milano, grazie all’amicizia con Michele De Lucchi

Sou Fujimoto per AMDLC, Leaveitbe ph. Luca Rotondo

L’attitudine estremamente contemporanea di Sou Fujimoto, nato nell’Hokkaido, in Giappone, nel 1971, passa per un’installazione sul tema “Leave-it-be”, insieme a Michele De Lucchi, all’AMDL Circle. Fujimoto prova a risolvere il tema del rapporto tra architettura e natura accettandone l’inaspettata complessità di quest’ultima, senza confinarla entro schemi logici predeterminati. Il risultato è ciò che egli stesso definisce una “complessità positiva”, vicina all’ordine naturale delle cose, pur essendo artificialmente progettata. In una conversazione, l’architetto giapponese ci ha spiegato il processo progettuale e la sua attitudine architettonica che hanno portato al concepimento dell’installazione come un telaio cubico dal modulo di due tatami. All’interno di esso un apparente vuoto ospita, sineddoticamente, una sferica di frammenti di legno sospesi della foresta di Asahikawa, scarti di lavorazione di alcuni mobili. Lo spazio si forma, secondo l’attitudine di Fujimoto, attraverso l’aggregazione di elementi ripetuti ma separati, come “luce che penetra tra gli alberi in una foresta”.

Sou Fujimoto e Michele De Lucchi per AMDLC, Leaveitbe ph. Luca Rotondo

Qual è il rapporto con Michele De Lucchi e come si è consolidato?

«Si è trattata di una piacevole coincidenza cominciata quando stavo progettando un hotel per il CEO della più grande azienda di occhiali in Giappone. Il cliente chiese inizialmente a Michele di disegnare un paio di occhiali, poi ebbe l’idea di chiedergli di progettare anche una stanza per l’hotel. Ci incontrammo a Kobe, dove stava progettando un hotel e allestendo una bellissima mostra sulle “Earth Station”. Mi invitò quindi a prendere parte ad alcune conversazioni, dato che io stavo progettando il padiglione per l’Expo di Osaka 2025. Abbiamo provato una forte simpatia, tanto da invitarlo nella mia città natale, Asahikawa, nell’Hokkaido, dall’azienda di mobili CondeHouse. E da qui l’idea di invitarmi nella alla sua installazione sul concetto di “Leaveitbe”».

L’installazione presentata da AMDL Circle si intitola “Leaveitbe”. Potresti spiegarci cosa significa per te?

«Per me è come un vuoto positivo, che non significa soltanto assenza, ma lasciare un luogo così com’è, lasciando che venga attraversato dalla natura e dagli animali, che le persone ci ragionino pensando a come poter rispettare la natura e a come poter conservare degli spazi per la natura e per tutti. Quindi l’idea è di cambiare il mindset delle persone, ripensando all’importanza della natura e di come collaborare con essa».

Sou Fujimoto per AMDLC, Leaveitbe ph. Luca Rotondo

Qual è la tua soluzione pragmatica a proposito di mantenere la densità urbana senza fare riscorso alla materia architettonica?

«Possiamo averli entrambi, gli artefatti e la natura: la questione non è “natura contro architettura”, possiamo tenerle insieme lasciando crescere la natura al fianco o all’interno dell’attività umana. È molto importante per le vite delle persone e per la nostra sensibilità avere sempre qualcosa che vada oltre la nostra comprensione, e la natura è qualcosa che va sempre oltre il controllo. È questo il motivo per cui è sempre inaspettata e piena di sorprese, perciò necessaria ed essenziale per le nostre vite. Tutto sta nel restare sorpresi, accettare o permettere che qualcosa di inaspettato avvenga nelle nostre vite».

Riguardo all’installazione presentata da AMDL Circle: quanta della tua architettura c’è al suo interno?

«È un’installazione di 2m x 2m x 2m circa, ma nonostante questo è un’architettura. Essendo piccola ho provato a partire dal materiale. Dato che il legno proviene dalla mia città natale, Asahikawa, così come l’azienda di arredamento (che lavora con De Lucchi, ndr), ho pensato che il legno potesse essere l’unico materiale per questo lavoro. Andava però compreso il modo in cui usare il materiale, motivo per cui abbiamo usato dei pezzi di scarto chiudendone il ciclo di vita. Le forme non sono predeterminate, ma nascono spontaneamente dalla sagoma dell’effettivo prodotto e dalla forma stessa del tronco. Quindi è una forma inaspettata, che è qualcosa che va oltre il design. Per me si colloca tra la natura e la progettazione di artefatti».

Sou Fujimoto per AMDLC, Leaveitbe ph. Luca Rotondo
Sou Fujimoto per AMDLC, Leaveitbe ph. Luca Rotondo

E come “funziona” l’installazione Leavitbe?

«Funzionalmente c’è un telaio di supporto, che è dato dalla dimensione della casa da tè giapponese: due moduli di tatami con un significato culturale. Le case da tè sono i luoghi in cui le persone comunicano con le altre in uno spazio minimo, ma allo stesso tempo possono percepire l’intero universo. Possiamo dire che alcuni concetti tradizionali giapponesi si sovrappongono a quelli di “vuoto positivo” di Michele e che quindi questa installazione sia stata una fusione e una mescolanza di essi. Questi pezzi di legno appesi mantengono in un certo senso lo spazio vuoto. Per me è come una foresta fluttuante, è negativa ma allo stesso tempo molto positiva».

In che modo Leaveitbe raccoglie le tue ultime ricerche?

«Si può dire che per certi versi questa sia un’installazione pura, ma allo stesso tempo il complesso di parti fluttuanti è profondamente connesso alla mia attitudine architettonica, che è quella di accettare questo tipo di complessità inaspettate con una certa armonia, permettendo alle persone di essere coinvolte in questa complessità con un grado di armonia. Credo poi che questo tipo di “complessità positiva” sia vicino all’ordine naturale, pur essendo allo stesso tempo creata artificialmente dalla progettazione. È per questo che posso dire che questa piccola installazione sia alla fine solo un’installazione, ma allo stesso tempo anche parte della mia filosofia architettonica».

Leaveitbe, Chioso, ph. Federico Floriani

Che cosa significa per te “ascoltare” nella pratica architettonica oggi?

«Ascoltare è in qualche modo accettare tutto, non solo il mondo ma anche la sua intera complessità. Non solo i requisiti dei clienti, non solo le interessanti condizioni di un sito, ma qualcosa di più profondo come il contesto culturale, le tradizioni, ma anche le situazioni climatiche. Quindi ascoltare non solo attraverso le orecchie, ma percepire e interiorizzare, trasformando alla fine tutto in proposta architettonica».

Com’è la città che sogni? Come la immagini?

«Non so se dovremmo chiamarla città o diversamente. È il posto dove molte persone diverse si incontrano e fanno molte cose diverse. Sento che sia il posto in cui i confini sono meno importanti. Per adesso abbiamo degli edifici, dei confini e diverse funzioni; confini, strade e ancora edifici ulteriormente divisi. Quindi tutto è in un certo senso diviso. Se questi confini sfumassero e diverse attività interagissero tra loro, tutto diventerebbe più eccitante e a più persone sarebbe permesso fare più cose. Però non so ancora come potrebbe apparire… Non ancora! [ride]. Non so innanzitutto quanto dovrebbe essere grande, perché le scale della comunità e dei collegamenti potrebbero essere varie. Però sì, è estremamente eccitante pensare a questo tipo di sogni, perché qualcosa… qualcosa del genere potrebbe esistere».

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