22 maggio 2024

Wild Buildings: tutte le volte che l’abuso edilizio è entrato nel cinema e nell’arte

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Da Miralles a Toni Gironès, dalle ricerche di Lebbeus Woods a Karen Lohrmann & Stefano de Martino. Quando la costruzione illegale e incompiuta si fa arte e architettura.

Toni Gironès, copertura del dolmen megalitico de Serò (foto di Aitor Estevez, 2013)

Nel film Il ladro di bambini di Gianni Amelio si racconta di Antonio, un giovane carabiniere calabrese. Deve accompagnare due fratellini da Milano fino a un istituto per minori di Gela. Arrivato nella sua terra, prima di concludere il suo compito, l’ufficiale si ferma a pranzare con i piccoli nel ristorante gestito da sua sorella. Durante una pausa, Antonio sale incuriosito sull’ultimo solaio del locale. Sul tetto si mette a osservare il panorama sempre più sconquassato dalle costruzioni illegali che affiancano la polverosa litoranea calabrese. È un paesaggio caratterizzato da case abusive situate tra il mare incontaminato e la vicina collina. Sopra le strutture di cemento armato spuntano pilastri coronati da fasci di barre di ferro arrugginite, che insieme al rosso spento dei mattoni di terracotta creano un quadro visivo di degrado non riconoscibile agli occhi di Antonio. Nonostante tutto, in quell’alterato paesaggio pieno di bassi edifici mai terminati, gli sembra di scorgere ancora una bellezza intatta, tanto che anch’egli in futuro vorrebbe costruirci una casa.

Lebbeus Woods, lo scomparso architetto visionario newyorkese, durante un suo viaggio in Italia meridionale nel 1999 visitò il quartiere di San Sperato a Reggio Calabria. Sulla collina della città scattò alcune foto definendo l’edilizia abusiva locale una raccolta di insoliti “wild buildings” privi di qualsiasi status legale. Notò che quell’assenza di forme costruttive canoniche non era prodotta da una condizione di povertà della popolazione (come accade nelle baraccopoli sudamericane o asiatiche), quanto piuttosto dall’assoluta mancanza di un’efficace regolamentazione statale. Lebbeus Woods constatò che quelle abitazioni non erano affatto precarie ma molto solide, “aperte” a una continua mutazione edificatoria, sulle cui facciate si poteva leggere la stratificata storia materica di una tipica famiglia meridionale lungo tre generazioni.

Quest’estetica dell’incompiutezza non contraddistingue solo molti panorami contemporanei dell’abusivismo calabrese. Ne sono testimoni i paesaggi filmati da Garrone sulla litoranea casertana e romana di Dogman, o la Napoli suburbana raccontata in Gomorra; le periferie di Taranto immortalate dal regista Edoardo Winspeare; il cinema disturbante dei siciliani Ciprì e Maresco. Infatti, i semplici processi di edificazione basati sulla formazione di scheletri di cemento armato, velocemente murati con fragili mattoni forati di terracotta non intonacati, caratterizza molte aree del Mediterraneo: specie le zone palestinesi, ma anche Cipro, l’Egitto, il Marocco, con casi in Spagna e in alcuni paesi balcanici.

Fotografia di scena del film Dogman (2018)

Ci chiediamo se mai Le Corbusier immaginò che l’archetipo della Maison Dom-Ino sarebbe stato utilizzato in modo così singolare, fuori dai decodificati contesti architettonici. Dom-Ino fu pensato da Le Corbusier per velocizzare la ricostruzione postbellica in Europa dopo la Grande Guerra. È facilmente intuibile che un simile progetto, proprio per la sua configurazione elementare, e perfino “banale” (come ricordò Bruno Zevi), possedesse in sé germi tali da causare una futura disfatta dei principi del razionalismo architettonico.

Le Corbusier, modello in scala reale della Maison Dom-ino realizzato alla Biennale di Venezia del 2014 dall’AA School (Photo John HillWorld-Architects)

La caratteristica visione delle barre metalliche nervate, emergenti sulle teste dei pilastri lasciati isolati agli ultimi piani, deriva da fattori legati a fallite politiche di controllo catastale o dall’assenza di incentivazioni connesse alla finitura delle opere. Ma è stata specialmente la fondata speranza che il corpo edilizio potesse continuare nel tempo a svilupparsi in altezza, per accogliere altri futuri nuclei familiari, ad aver provocato simili risultati spaziali.

Tale fenomeno edificatorio è indagato dalle culture visuali contemporanee con metodologie teoriche che si collocano artisticamente al di là della morale estetica consolidata e dell’etica socio-politica. Uno dei primi cantori di questa mappatura visiva è stato senza dubbio Pier Paolo Pasolini, e tuttavia si rintraccia nella sua analisi ancora una poetica nostalgica dello sguardo condizionata da un atteggiamento militante di denuncia civile di luoghi irrimediabilmente sfigurati dall’industrializzazione selvaggia.

Post su Facebook di Incompiuto Siciliano (2001) 

Tra gli architetti ispirati da questo campo di ricerca puramente estetico ricordiamo gli spagnoli Enric Miralles (con la Casa a la Clota) e, molto più massicciamente, Toni Gironès Saderra con opere di alta forza espressiva tra cui spicca la sistemazione del Dolmen megalitico di Serò. Tra le recenti e avanzate indagini in ambito artistico segnaliamo l’attivismo del collettivo Alterazioni Video, gruppo che, nel progetto Incompiuto. La nascita di uno stile, ha teorizzato con accenti provocatoriamente culturali la germinazione di un vero e proprio stile che possa dare una nuova interpretazione dissonante dell’architettura italiana del secondo dopoguerra. Altro esperimento, che studia in termini post-ideologici nuove letture dell’idea occidentale di “rovina” moderna, si è materializzato con la mostra Waiting Land curata da Karen Lohrmann & Stefano de Martino. Stefano de Martino, artista-architetto, lo ricordiamo già tra i fondatori (insieme a Rem Koolhaas) di OMA, il leggendario ufficio di progettazione a cui ha aderito a Londra dal 1979 fino al 1983. Karen Lohrmann è un’artista, urbanista e scrittrice. In Calabria, lungo la Strada Statale 18, il duo ha selezionato e replicato in piccola scala sei case ideali. Lungi dall’essere primitive, queste strutture sono possibili solo attraverso astrazioni sofisticate. Sono il risultato di “…una collusione tra interessi privati e guadagno politico…”. Nella loro riduzione dimensionale, queste case “…forniscono un accesso virtuale, altrimenti in gran parte fuori limite, e ampliano le possibilità di rappresentazione e interpretazione”. Della mostra Waiting Land è stato pubblicato anche un singolare catalogo in edizione limitata di duecento copie, edito dall’istituto Gestaltung 1 dalla facoltà di architettura di Innsbruck.

Karen Lohrmann & Stefano de Martino, ‘Waiting Land’

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