07 marzo 2024

Per un’armonia tra architettura e ambiente: due mostre in dialogo a Parigi

di

Antoine Grumbach all’aeroporto Charles de Gaulle e Bijoy Jain alla Fondation Cartier: a Parigi, due mostre a confronto, per riflettere sul rapporto tra architettura e ambiente

Antoine Grumbach, L'Œil du ciel, produced by ECT in Villeneuve-sous-Dammartin, France © ECT mai 2023

A Parigi sono in corso due mostre sul lavoro di due architetti-artisti che propongono esperienze molto diverse, nelle quali tuttavia si rintraccia un comune principio fondante: il senso di appartenenza alla natura e lo sforzo di rispettarne le regole. Forse è utile sottolineare come la rappresentazione di questo approccio così specifico provenga da una fondazione privata e una galleria d’arte e non da istituzioni pubbliche.

Nella galleria Jeanne Bucher Jaeger la mostra Les Yeux du Ciel ha presentato l’ambizioso progetto di Land Art dell’architetto Antoine Grumbach, in corso di realizzazione a Villeneuve sous Dammartin nei pressi di Roissy. Quest’opera consiste in una sistemazione paesaggistica nella quale campeggiano due occhi di 400 metri per 170 ciascuno. La mostra che ha appena chiuso i battenti sarà tuttavia visibile fino al 31 maggio in un’altra configurazione con l’allestimento di Hubert Le Gall all’aeroporto Charles de Gaulle alla Porta d’imbarco M, Terminal 2E

Ala Fondation Cartier pour l’Art Contemporaine la mostra Le souffle de l’architecte – Bijoy Jain Studio Mumbai che rimarrà aperta fino al prossimo 21 aprile espone il mondo dell’architetto indiano Bijoy Jain. L’esposizione tuttavia non presenta i progetti e le opere dell’architetto indiano ma la sua idea di architettura e la sua capacità di integrare senso dello spazio, manifattura artigiana ed espressione artistica.

Antoine Grumbach, occhi verso il cielo

Antoine Grumbach (1942) è un architetto-artista e designer urbano diplomato all’Ecole des Beaux-arts di Parigi nel 1967 e vincitore del Grand Prix National d’Urbanisme et d’Art Urbain nel 1992. In questo progetto ha sfruttato la geomorfologia molto particolare del luogo per realizzare un intervento artistico che esalta il valore della sua materia costitutiva e adotta di fatto una pratica di economia virtuosa utilizzando a Villeneuve-sous-Dammartin i terreni di scavo trasferiti dai cantieri.

L’area di proprietà della società ECT è infatti il più grande sito francese per il deposito e il recupero delle terre scavate da cantieri infrastrutturali e immobiliari nell’Ile de France; l’operazione grazie al finanziamento della stessa ECT si propone di ridare un senso e un valore paesaggistico a un sito desolato e dar vita a un’opera di grande valore simbolico e impatto sul territorio.

Un tumulo alto circa 30 metri, diviene il supporto di due occhi di 400 metri per 170 ciascuno, spalancati verso e sotto lo sguardo fuggevole ma curioso dei passeggeri in volo. Situato infatti sull’asse delle piste dell’aeroporto Charles de Gaulle a Roissy, Gli occhi del cielo costituiranno un parco visibile dall’alto, secondo una stima, da 70 milioni di viaggiatori aerei. Uno sguardo sulla terra che mostra tuttavia qualcosa che può essere percepito non solo dall’alto poiché si espone al cielo alla maniera delle Linee di Nazca, il gruppo di geoglifi nel deserto del Perù o di altre misteriose simili tracce, ma anche alla percezione da terra.

La nuova area parco favorirà la biodiversità e l’agricoltura che saranno ripristinate all’intorno della grande immagine/scultura. Quest’opera d’arte su grande scala, che riproduce uno suo schizzo degli occhi della moglie Léna Soffer-Grumbach, anche lei architetto paesaggista e coinvolta nel progetto, concilia economia circolare, paesaggio, riequilibrio ecologico e si pone l’obiettivo a lungo termine di attivare usi culturali con mostre, concerti e spettacoli.

I due occhi saranno circondati da alberi, campi coltivati e da un teatro all’aperto poggiato su una collinetta disposta a gradinate erbose. Un’opera d’arte realizzata con i materiali della terra per la terra. L’occhio verso ovest, Icare, inaugurato alla fine del 2023 rende omaggio al volo aeronautico e si ispira direttamente al monumento preistorico di Stonehenge in Gran Bretagna. L’altro a oriente, Dédale, aprirà nel 2025-26 e costituirà un punto di osservazione, un osservatorio del cielo.

La mostra Les Yeux du Ciel visitata nella galleria del Marais presenta disegni, fotografie e filmati dell’operazione, un modello scolpito in argilla e marmo di questi occhi e il disegno è anche riprodotto in piastrelle di ceramica dipinta, azulejos, dalla manifattura portoghese Viúva Lamego. Inoltre, con una selezione di disegni tratti dall’Encyclopédie vagabonde, offre anche una sintesi della vasta produzione grafica di Grumbach.

Bijoy Jain, il respiro dell’architettura

La Fondation Cartier pour l’Art Contemporaine, dopo il trasferimento a Parigi nel 1994 nella sede progettata da Jean Nouvel in Boulevard Raspail, ben presto cominciò a sperimentare, nella programmazione delle attività culturali, l’allestimento di mostre tematiche con scopi e obiettivi che andassero aldilà della documentazione descrittiva di un singolo o di un gruppo omogeneo di artisti e con un forte interesse per l’ambiente.

La prima nel 1996, By night, si propose di esplorare il tema della notte come elemento di suggestione per pittori, fotografi, videomaker e registi con una mostra sul fascino e l’emozione esercitata dalla notte come spazio di ricerca identitaria e estetica. In seguito nel 2016, fra le altre, la mostra, Le grand orchestre des animaux, approdata poi nel 2019 alla Triennale di Milano, riunì artisti provenienti da tutto il mondo portando il pubblico a immergersi in una meditazione estetica, sia sonora che visiva, attorno al mondo animale ai nostri giorni sempre più minacciato.

Nous les Arbres nel 2019 riunì una comunità di artisti, botanici e filosofi, per essere portavoce della ricerca scientifica più recente che guarda agli alberi con occhi nuovi e nel 2018 Géométries Sud, du Mexique à la Terre de Feu, per celebrare la ricchezza e la varietà di motivi, colori e figure nell’arte latinoamericana, dall’arte popolare all’arte astratta, dalla ceramica al body painting, passando per scultura e architettura, espose quasi 250 opere di più di 70 artisti.

L’esposizione ora in corso, Le souffle de l’architecteBijoy Jain Studio Mumbai, a cura di Hervé Chandès direttore artistico della Fondation Cartier e Juliette Lecorne, si pone in linea con quell’ipotesi di sperimentazione e di forte attenzione alla natura per due aspetti che s’intrecciano. La mostra infatti propone un argomento usuale, come quello dell’architettura ma, in realtà, a essere esposti non sono le realizzazioni e i progetti dello studio Mumbai sparsi in tutto il mondo ma il racconto della sua originale proposta di rilettura dell’idea di architettura e spazialità che si ispira e guarda alla memoria dei luoghi e alla tradizione dell’uso dei materiali nel suo paese.

Il secondo aspetto riguarda l’allestimento della mostra che scopre per il contenitore il ruolo fondamentale che la sua particolare qualità architettonica può svolgere. Per Bijoy Jain (1965) l’architettura è uno spazio permeabile dove il dentro e il fuori s’intrecciano in un continuum che avvolge l’uomo. Ciò viene chiarito in maniera sorprendentemente efficace dall’allestimento che si appropria della caratteristiche di trasparenza dell’edificio; di certo ci siamo abituati ad apprezzare le sue prestazioni di spazio espositivo che esalta la qualità delle opere installate per la luminosità, la leggerezza e la neutralità della strutture, ma in questa occasione è come se l’involucro scomparisse alla vista e dilatasse ciò che è collocato al suo interno fino a immergersi nel paesaggio circostante e nel variare della luce naturale.

Ph. Cyril Marcilhacy – Lumento

Il titolo dato da Jain, Il respiro dell’architetto, coincide con il suo suggerimento di scoprire il valore del respirare, isolarsi in una pace interiore, riscoprire il silenzio. Queste sono le sue parole: «Il silenzio ha un suono, può essere tenue ma noi lo sentiamo risuonare dentro di noi è il suono del nostro respiro. È sincrono in tutti noi, collega tutti gli esseri viventi. Il silenzio, il tempo e lo spazio sono eterni, proprio come l’acqua, l’aria e la luce, che sono la base della nostra costruzione». Parole che spingono a tentare di trovare altri codici per arricchire la comprensione visiva con un’esperienza fisica ed emotiva e scoprire una sensorialità più profonda nella percezione delle tante componenti presenti nello spazio dell’abitare e nell’architettura. E in parte aiutano a condividere il suo invito, come suggerito dal personale all’ingresso, di iniziare la visita con un primo approccio al “buio” e “in silenzio”, cioè di addentrarsi e aggirarsi ignari e senza alcun condizionamento.

© Cyril Marcilhacy

Nel grande salone al piano del giardino ci si muove fra esili strutture a telaio realizzate con listelli di bambù tagliati e trafilati a mano, legati con fili di seta muga dorata, che sono citazioni di suoi progetti, e dentro un capanno, recinto di una sorta di impluvium nel quale è sospesa una grande sfera di bambù rivestito di sterco di mucca, intonaco di calce e pigmento naturale.

I grandi spazi sono costellati di altre opere ed oggetti, un campionario di perizia artigiana e di materiali naturali al servizio dello spazio abitato: micro architetture/sculture costruite di mattoncini, come alveari; oggetti di arredo realizzati con grande perizia e maestria artigiana tra cui alcune impalpabili poltroncine realizzate con arbusti e fibre intrecciate, che si rivelano anche di sobria comodità. Una lastra di pavimentazione ovale con un disegno astratto ad acqua e pigmento di cadmio è stata realizzata per la mostra su un supporto di gesso proveniente dall’Île de France.

© Cyril Marcilhacy

La mostra continua nel sotterraneo dove, in assenza di luce naturale, cambia l’atmosfera. Alle pareti stuoie di bambù intrecciate e stratificate e pannelli colorati Karvi – fatti di fibre vegetali, terra ed escrementi di mucca decorati con linee di filo rivestito di pigmento di ossido ferroso – fra i quali spicca una grande luna dipinta in colore indaco che si ispira a un abbeveratoio nel nord dell’India; per terra un tappeto di sculture in pietra e terracotta, come un sacrario di animali magici e simbolici che vorrebbero evocare immagini, ritualità o spiriti ancestrali. Complementi di quest’aura mistica sono le opere di due artisti scelti da Jain per la loro assonanza spirituale: una selezione di disegni monocromi neri realizzati in grafite dall’artista cinese Hu Liu e ceramiche della danese Alev Ebüzziya Siesbye.

Ph. Thibaut Voisin

Alla fine della visita si riescono a cogliere i diversi piani dell’opera dell’architetto indiano che si integrano, a partire dall’attenzione per scoprire il profondo rapporto tra uomo e natura e il rispetto dei ritmi naturali nell’uso del tempo. E poi la necessità dell’interazione tra arte, architettura e spazio che, tutti, si avvalgono del recupero degli antichi materiali tradizionali e della valorizzazione della manualità al fine di conseguire qualità estetica, prestazioni buone e durature e rispetto dell’ambiente. E infine, su un piano per alcuni certo meno coinvolgente, il tentativo di acquisire e trasferire la ricchezza di contenuto dei messaggi delle tradizioni ancestrali nell’attuale dimensione del vivere.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui