05 giugno 2000

Taccuino* 27-28 maggio 2000 Straordinari Cortili Roma

 
Per il secondo anno consecutivo l’Associazione Dimore Storiche, Sezione Lazio, ha ospitato nei cortili di numerosi palazzi romani una rassegna d’arte contemporanea organizzata da Arnaldo Romani Brizzi e da Ludovico Pratesi e con l'apporto prezioso di Sabrina Vedovotto. Proviamo a guardare oltre…

di

modulor Ricordiamo che qualcuno ha pensato ad un nuovo uomo che misurasse lo spazio e ne diventasse protagonista con il movimento
living city Ricordiamo che c’è chi ha concepito il territorio come un sistema di linee di forza e grumi di materia, per portare a termine un disegno di civiltà
fuller Ricordiamo che qualcuno ha pensato in termini di logica superiore, scavalcando i riferimenti figurativi dell’architettura tradizionale


Sono un buon italiano…Domenica scorsa da buon italiano, attento ad ogni sforzo di natura culturale che si rivolga alla collettività, ho partecipato alla manifestazione “Cortili Aperti”. Partecipare, in questo caso, necessitava un certo impegno, dato che l’itinerario si sviluppava attraverso un gran numero di corti appartenenti ai più importanti palazzi storici di Roma. E ne è valsa la pena.
La prerogativa dell’evento consisteva nel fatto che ogni corte dovesse ospitare un’opera/installazione di giovani artisti selezionati da “Associazione Dimore Storiche Italiane”. Un accostamento, quello fra arte giovane e tessuti edilizi relativi al passato, sicuramente usuale, ma che per Roma significa molto. La realtà delle coorti nella nostra capitale ha un non so che di inquietante.
Ricordo le parole di un mio docente dei miei primi anni di studio universitari: “nel ’47 Roma puzzava di pecora, Piazza del Popolo era pressoché un ovile, ma il camminare era talmente attraente che si poteva paragonare ad un pulsare musicale, tra vie strette e coorti, tra sole cocente e zone di frescura, poi sono venuti i cancelli…”
Si potrebbe non a caso dire che ci sono due centri storici, quello che conosciamo tutti e quello con i cortili aperti.
Lascio cadere quest’inizio di polemica per confermare che, seppure in casuale compagnia di una simpatica mora dai tratti castigliani, tra l’altro vantava nobili origini spagnole, il tour dopo qualche tempo aveva assunto un fascino ritmico:
a) si entra nella corte
b) stupore…, si guarda in alto
c) ci si gira intorno alla ricerca dell’opera
d) uno scambio di occhiate con i presenti e si prosegue
Fantastico!
A questo punto qualche impaziente potrebbe esclamare che questo in rete non è il posto per raccontare simili cose. Dovremmo stare qui divulgare o ragionare sull’architettura. Va bene. Sottolineo allora che per parlarne siamo costretti ad andare fuori tema. Apparentemente.
Una tale intensità simultanea di architettura, arte e socialità significa non arrendersi, per ora, a ciò che prima o poi accadrà se non ci saranno cambiamenti di rotta: abbandonare la città. La tanto sofferente città, sudicia, falsa, borghese. E non sono gli intellettualismi a migliorare la situazione. E si, perché puoi fare la scacchiera che ti viene fuori la diagonale, puoi fare i grandi viali alberati che senza accorgertene ti ritrovi un suk.
Ricordiamo allora quell’ uomo nudo con il braccio alzato che vuole diventare protagonista dello spazio, come qualche milione di anni fa.

Francesco Redi

[exibart]

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