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Quanto era internazionale la Roma seicentesca? La mostra alle Scuderie del Quirinale che tenta di fare chiarezza
Arte antica
Fino al 13 luglio 2025, le Scuderie del Quirinale ospitano la mostra BAROCCO GLOBALE. Il mondo a Roma nel secolo di Bernini, a cura di Francesca Cappelletti, Direttrice generale della Galleria Borghese e Francesco Freddolini. L’esposizione, organizzata da Scuderie del Quirinale e Galleria Borghese con la collaborazione istituzionale di ViVE Vittoriano e Palazzo Venezia e Gallerie Nazionali d’Arte antica Barberini Corsini, vede anche la partecipazione della Basilica Papale di Santa Maria Maggiore, su espressa volontà del Pontefice recentemente scomparso. E questa coralità di istituzioni romane, unitamente alle cento opere in prestito da importanti musei del mondo, mette in luce una chiara volontà che pure emerge fortemente dall’impostazione scientifico-storiografica che assume la mostra, provando a lanciare uno sguardo che – per quanto possibile – cerca di uscire dalle sale delle Scuderie e di guardare alla città.

La mostra, che si inserisce in un preciso momento storico in cui il tema delle interconnessioni culturali è al centro di un dibattito quanto mai vivo e vivace (si pensi a Il mondo fluttuante. Ukiyoe. Visioni dal Giappone, a Palazzo Braschi nel 2024), propone una lettura dei rapporti diplomatici e artistici che Roma ha intessuto con mondi percepiti come lontanissimi ed estremamente distanti, da un punto di vista geografico ma anche culturale. Già il titolo, Barocco Globale, sottolinea il tentativo – abbastanza riuscito nella traduzione di intento scientifico per una presentazione al pubblico – di rendere “percorribili” le relazioni dei Pontefici seicenteschi con le Americhe, l’Africa e l’Asia, raccontando l’impatto che una vocazione universale e cosmopolita come quella della Roma del Seicento ha avuto sulle Arti.

Nel 1581, Michel de Montaigne scrisse nel suo Viaggio in Italia che «Roma è l’unico luogo dove qualunque forestiero si sente a casa». È chiarissimo, attraversando le sale, come il punto di partenza e anche di arrivo di viaggi così lunghi sia sempre Roma: la città si fa snodo, centro propulsore e filtro di ogni cultura differente che l’attraversa, reinterpretandola o lasciandosi reinterpretare da essa. Una visione di Barocco, dunque, totalmente globale e al contempo fermamente proiettata sull’Urbe, come un compasso che traccia un ampio cerchio ma che mantiene saldissima la sua punta.

Il percorso si dipana attraverso dieci sale, toccando nove tematiche differenti, attraversando gli anni da Paolo V Borghese fino all’intero Seicento. Ad aprire la mostra è, significativamente, il busto del 1608 di Manuel Ne Vunda di Francesco Caporale, realizzato in marmi policromi e messo in dialogo con il Busto di uomo (pseudo-Annibale), attribuito a Tommaso Della Porta il Giovane. Si tratta dell’unico monumento funebre dedicato ad un uomo africano nell’Europa della prima età moderna. Esso immerge il visitatore – già con il primo colpo d’occhio – nella prima sala, e lo introduce alla seconda, L’Africa, l’Egitto, l’Antico, che analizza le rappresentazioni del continente africano nell’arte barocca. Segue la sezione su Bernini e la Fontana dei Fiumi, importante simbolo della mentalità dell’epoca, proiettata verso una qualche forma di globalità. La Chiesa e il Mondo evidenzia, invece, il contributo degli ordini religiosi nei rapporti transculturali; mentre la sezione Una natura in espansione, esplora Roma come centro nevralgico della produzione e circolazione dei saperi relativi al mondo naturale. Roma e la diplomazia globale ripercorre le relazioni con le culture islamiche e orientali attraverso ritratti di alcuni ambasciatori. Collezionare il Mondo presenta oggetti esotici nelle collezioni papali, inclusi rari paramenti liturgici in piume centroamericane. Alterità, tra immaginazione e letteratura sottolinea come l’arte interpretasse culture diverse attraverso il filtro dell’immaginazione occidentale. L’ultima sezione, Roma crocevia di culture, espone i ritratti di Robert Shirley e sua moglie Teresia, simboli di incontro tra Oriente e Occidente. La mostra si conclude con il dipinto di Poussin dell’elefante Don Diego, primo esemplare giunto a Roma dopo un secolo, emblema della circolazione di conoscenze e curiosità esotiche nella Roma barocca.

La scelta del sottotitolo, con l’esplicito richiamo alla figura di Gian Lorenzo Bernini, si inserisce anch’essa coerentemente all’interno della narrazione della mostra, soprattutto alla luce della sala dedicata allo scultore. La riflessione di Bernini sul Rio della Plata dà contezza di un’attenzione sorprendente alle dinamiche del mondo globale di allora: il Fiume rappresenta l’America, ma è personificato con gli attributi stereotipici degli indigeni del Nuovo Mondo (gonnellino e corona di piume) e con le fattezze del viso tipiche di un uomo di origine africana, proprio per mettere in evidenza la presenza delle comunità africane nelle Americhe. È opportuno evidenziare, però, che in mostra ci sono solo dei modelli preparatori di Bernini. In questo senso, non è tanto l’opera a costituire l’attrazione principale, quanto ciò che vi orbita attorno. Il pannello didascalico che introduce alla sala menziona gli studi che il gesuita Alonso de Ovalle pubblicò a Roma, negli stessi anni in cui Bernini studiava il bozzetto per la Fontana, soffermandosi lungamente sulle comunità indigene delle Americhe. I modelli sono messi in dialogo con un dipinto di Albert Eckhout raffigurante un ritratto di un uomo africano, estremamente utile per comprendere l’impatto che la diaspora atlantica di uomini e donne africani aveva avuto, già in quegli anni, nella demografia delle Americhe. «E solo Bernini ebbe l’abilità retorica di tessere questa narrazione mettendola in relazione con l’intera storia globale del mondo attorno a Roma».

In definitiva, Barocco Globale permette guardare a un periodo storico-artistico estremamente dissezionato, approfondito e celebre, come quello del Seicento a Roma, da una prospettiva meno battuta e sicuramente estremamente interessante. Il taglio dato alla mostra è stimolante e riesce a bilanciare, con maestria, rigore scientifico e accessibilità, costruendo un racconto visivo capace di parlare tanto agli specialisti, quanto al grande pubblico. Per quanto i pezzi in mostra siano assolutamente coerenti e ben inseriti all’interno del percorso, nel complesso, l’esposizione non punta tanto sulle opere, quanto sulla narrazione attorno a esse, e nella quale le esposizioni ospitate alle Scuderie del Quirinale eccellono sempre. Le opere, che pure in alcuni casi sono di grandissimi maestri – basti pensare ai pezzi di Antoon Van Dyck, Nicolas Poussin, Pietro da Cortona, Lavinia Fontana, Valentin de Boulogne, Nicolas Cordier, Pier Francesco Mola – non sono veramente ciò che al termine della visita riesce a scalfire la superficie e a rimanere impresso.
L’illuminazione teatrale, tipica e caratterizzante – anche se con una personalità distinta per ogni mostra – di ogni percorso espositivo alle Scuderie del Quirinale, caratterizza anche Barocco Globale. Un’esposizione che, fatta qualche dovuta eccezione, non sembra quindi presentare opere che emergono con forza, ma riesce comunque a farsi percorso aperto, sguardo che abbraccia una città – la Roma del Seicento – su vari livelli e con varie letture.

Pittura e scultura entrano in dialogo con disegni, arazzi, incisioni, paramenti sacri e altri preziosi manufatti di provenienza europea e non. Le opere in mostra sono popolate da ambasciatori, zingare, eruditi, scienziati, grandi missionari, condottieri, personaggi mitologici, in uno scambio che rende l’esposizione riassumibile con la parola “dialogo”: fra artisti, fra tecniche diverse, fra i personaggi più disparati, fra Paesi lontani e soprattutto fra il presente e un passato a cui, probabilmente, attribuiamo una non così profonda compenetrazione di mondi diversi, che invece questo percorso porta in mostra. E se “dialogo” è la parola che meglio riassume un percorso basato sulle interconnessioni fra Popoli, probabilmente, si può parlare di una mostra riuscita, nonostante qualche limite.
Una delle mostre più brutte mai viste. Vuota e inconcludente.