20 settembre 2020

Fernando De Filippi, Arte, Museo Castromediano

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Sessant'anni di ricerca raccontati in oltre cinquanta lavori selezionati, realizzati tra la fine degli anni Sessanta e oggi: l'arte di Fernando De Filippi

Fernando De Filippi, Arte al Museo Castromediano di Lecce
Fernando De Filippi, Arte al Museo Castromediano di Lecce

“Arte è ideologia”. In questo slogan da intendersi in senso ampio, comprensivo dei concetti di evasione e irretimento, utopia e dogma, anelito di libertà e sistema decisionale (nel bene e nel male), si riassume tutta la complessità del pensiero di Fernando De Filippi (Lecce, 1940), protagonista di un’antologica curata da Lorenzo Madaro e Brizia Minerva (catalogo Prearo Editore), allestita nelle sale del Museo “Sigismondo Castromediano” di Lecce e intitolata semplicemente “Arte” (fino al 2 ottobre). L’avverbio è ovviamente un eufemismo. Un titolo in realtà impegnativo, tautologico, in cui significato e significante coincidono, composto all’ingresso della mostra (e del museo) con lettere capitali infiammate. Quasi un monito per lo spettatore, che alla vista del fuoco, distruttivo e benefico al tempo stesso, predispone l’animo e la mente alla visita: l’Arte è una religione, il museo il suo tempio. Non fede cieca, aprioristica e autoreferenziale, ma costruzione complessa attraverso cui interpretare il presente e plasmare la realtà. Una scritta che è anche immagine, di fronte alla quale ci si pone con timore reverenziale, idonea a riassumere la traiettoria creativa dell’artista leccese, percorsa per intero tra espressione e militanza, ricerca artistica e impegno politico, attivismo e lucida registrazione.

Arte, veduta d'allestimento
Arte, veduta d’allestimento

Articolata in ben 18 sezioni, la mostra si dipana senza soluzione di continuità, raccontando sessant’anni di ricerca. Oltre cinquanta i lavori selezionati, realizzati tra la fine degli anni Sessanta e il presente, che si susseguono a ritmo serrato, tra dipinti, fotografie, slogan e risultanze performative. Si parte con i dipinti postsessantottini, con cui l’artista aderisce alla “Nuova Figurazione”, movimento teorizzato contestualmente in Francia e Italia che tendeva a dare all’opera una funzione politica e critica della società. Originate riflettendo sul sempre più consistente apparato iconografico di cui proprio in quegli anni andavano dotandosi i giornali, le immagini prodotte riflettono su sé stesse in una sorta di metafigurazione, in cui più che il soggetto è il modo in cui esso è rappresento ad essere protagonista. Fin da queste prime prove l’intento dichiarato è quello della persuasione, non in quanto tale (propria dei meccanismi pubblicitari) ma come possibilità dell’arte di incidere sul presente. Un modus operandi di tipo concettuale, focalizzato sui processi oltre che sugli esiti, che negli anni immediatamente successivi si coniuga sempre più saldamente all’impegno politico, toccando l’apice con l’interesse per la figura di Lenin. Partendo dai dipinti ispirati al realismo socialista fino alle trascrizioni in cirillico, passando per Sostituzione, atto performativo del 1974 in cui l’artista si trasforma nel leader sovietico, De Filippi racconta se stesso, le sue convinzioni e il suo impegno, vestendo i panni di una figura mitica, ideologicamente connotata e per questo scomoda (“un personaggio contro” l’ha definito). Lenin è assunto a metafora vivente di un’ideologia, di un pensiero, di un intero modo di concepire il mondo. Il ragionamento è ancora di tipo metalinguistico e massmediologico: l’artista non rappresenta astrattamente una fede politica ma l’icona che l’incarna. In un’immagine “giornalistica” racchiude un mondo intero senza correre il rischio di frammentarlo in una miriade di interpretazioni (di chi crea e di chi osserva), che inevitabilmente rischierebbero di risultare fuorvianti se non addirittura fallaci. Improntati alle medesime convinzioni sono gli slogan, gli striscioni e, ancor prima, le scritte con la sabbia realizzate nel 1976, in due momenti successivi, a Capo Speranza in Sardegna e sulle spiagge della Camargue in Francia. Lavori tra loro strettamente interconnessi.

Arte, veduta d'allestimento
Arte, veduta d’allestimento

Mentre le scritte si muovono in una dimensione privata in cui l’artista è anche unico spettatore che assiste inerme alla cancellazione da parte del mare, gli slogan e gli striscioni si insinuano nella vita, rivolgendosi ad un pubblico vasto, il più delle volte estraneo all’arte. Ad accomunare questi lavori sono il soggetto (gli ideali socialisti desunti in gran parte dagli scritti di Marx ed Engels) ma anche il loro essere effimeri, il loro essere sottoposti ad un processo di occultamento non controllabile, generato per le scritte dalla risacca, per gli striscioni dalla rimozione forzata d’autorità, per gli slogan dalla sovrapposizione di altri manifesti, questa volta realmente pubblicitari, con cui condividono forza iconica e capacità di convincimento. Dalla parola scritta a quella dipinta il passo è breve. Negli anni Ottanta l’impegno politico si salda e si confonde con quello civile, esplicato soprattutto in ambito educativo. De Filippi intraprende la strada dell’insegnamento che in breve lo porterà ad assumere la direzione per quasi vent’anni dell’Accademia di Brera, la più prestigiosa d’Italia. La verve giovanile si placa ma non la militanza che ora assume forme meno clandestine e più istituzionali.

Arte di Fernando De Filippi, Lecce
Arte di Fernando De Filippi, Lecce

Nella sua produzione non ha mai abbandonato la pittura ma ora l’uso di tele e pennelli si fa più deciso, quasi esclusivo, risentendo del generale periodo di recupero dei mezzi tradizionali del fare arte. Il ritorno in Puglia, a Bari, come vincitore di una cattedra nella locale accademia, coincide con la riscoperta del Mediterraneo e del mito, immaginifici archetipi di civiltà e cultura, icone compendiarie di un mondo intero come dieci anni prima lo era stata la figura di Lenin. Nascono grandi acquerelli, tele, sculture pubbliche e installazioni. Templi, colonne, archi, timpani sono più che temi, diventano la forma stessa delle opere, quasi un filtro attraverso cui guardare il presente. Ancora una volta il soggetto coincide con l’oggetto. Su questo stesso tracciato, nel corso degli anni Novanta, il mare cede il passo alle divinità, protagoniste di un Eden sommerso, dimenticato che ora (ri)emerge in forma sinopiale da fondi oro e argento, materializzazione di un passato che, come sostiene l’artista, “non è un tempo definitivamente trascorso, ma un fantasma che opera nell’attuale”. Le sue divinità sono figure altere ed elitarie, esasperazioni di raffinatezza che nel progredire della ricerca si fanno simboli, dipinti e scolpiti, generando un repertorio iconico di tipo alchemico: stelle, cerchi, quadrati, esagoni, forme che negli anni dieci del Duemila si accendono in un fuoco rigeneratore, anch’esso simbolo di un passato che si rianima e arde.
Nei primi anni Novanta De Filippi si trasferisce nello studio di via Mecenate, in un quartiere industriale della prima periferia milanese che in quegli stessi anni si trasforma in sito residenziale. Gli alberi che incontra nei pressi del suo nuovo studio gli ispirano un nuovo ciclo di opere. Muovendosi tra esperienza individuale e vita collettiva assume l’elemento naturale come nuova dimora del mito, elemento depositario di memoria e capacità intellettive, ma anche racconto del sé e unione tra cielo e terra, rappresentazione del “cosmo che si evolve e si perpetua”. Ed è in questo processo di continua affermazione e negazione, di sopimento e rinascita, che l’artista scopre il fuoco, anch’esso tensione del basso verso l’alto, della materia verso lo spirito, che prima incendia i simboli mitici e poi, nei tempi più recenti, infiamma le scritte realizzate con lo stesso font di quelle costruite con la sabbia oltre quarant’anni fa: il passato ritorna nel presente. L’azione creativa è ancora di tipo metacognitivo: non riflessione sull’immagine cambiata (il repertorio è quello dei decenni precedenti) ma sul cambiamento dell’immagine. Il processo prevale sull’oggetto. Il fuoco è al tempo stesso elemento di transizione e punto di arrivo (momentaneo) di un sessantennale operare in cui, simili a fenici, parole e immagini si consumano per rinascere continuamente a nuova vita.

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