30 ottobre 2020

Fiction o forse no? Pedro Neves Marques alla Galleria di Marino

di

Alla Galleria Umberto di Marino, 18 fotografie per raccontare una storia che ha dell’incredibile. Vera o falsa? Ce ne parla Pedro Neves Marques

Pedro Neves Marques, Auto Fiction, Galleria Umberto di Marino, 2020, Napoli

È lo stesso schermo e l’identica mano, un gesto ostensivo e ossessivo, un oggetto offerto allo sguardo come se fosse un simbolo ricorrente nel corso di una cerimonia rituale: uno smartphone, anzi, la sua riproduzione fotografica, che si ripete in tutte le sale. Non è un lavoro facile, scuotere il senso di sorpresa di chi sta entrando in una galleria d’arte contemporanea, oltretutto in questi tempi così sorprendenti. Pedro Neves Marques ci riesce come se fosse la cosa più semplice di questo mondo, con alcuni elementi ben calcolati, ordinatamente disposti lungo le pareti della Galleria Umberto di Marino, dove l’artista portoghese, alla sua terza personale nello spazio napoletano, ha presentato “Auto Fiction”, nuova tappa del progetto esposto anche nella Manica Lunga del Castello di Rivoli, nel 2019, vincitore del premio Premio illy Present Future ad Artissima 2018.

Vedere e raccontare, tra POV ed Mpreg

18 fotografie (più una) di una mano sinistra che offre uno smartphone allo sguardo curioso, affamato di capire cosa stia vedendo. Formalmente, la composizione è assimilabile a un ritratto, con il soggetto centrale e in primo piano, eppure, in questo caso, l’interpretazione dell’immagine non può che scivolare. Chi o cosa si situa al centro, quale elemento privilegiare nella struttura gerarchica dell’attenzione, l’arto umano o la protesi tecnologica? Semplicemente, non c’è una risposta, non è possibile stabilire un ordine, mancando qualunque altro appiglio: nell’inquadratura POV delle fotografie – una tecnica di ripresa in soggettiva, largamente usata dai videogiochi, dalla pornografia e dai social network – il soggetto è destinato a rimanere senza definizione e in pieno anonimato.

Pedro Neves Marques, Auto Fiction, Galleria Umberto di Marino, 2020, Napoli

Inserendosi nel filone narrativo Mpreg, una sottocorrente letteraria diffusa soprattutto nei territori del web e incentrata sul topos della gravidanza maschile, la storia che Pedro Neves Marques racconta attraverso la successione dello schermo progredisce e regredisce tra un fotogramma e l’altro, cambia punto di vista, aggiunge altre voci, promette e poi disillude, insomma, non segue un andamento orientato, come scorrendo tra 18 screenshot di una vicenda in cui identità, generi, possibilità e relazioni, corpi e protesi, si confondono.

Trattandosi di uno schermo, una interfaccia ad alta interazione che traduce il codice macchina in linguaggio comprensibile, più che dell’azione del writing si potrebbe parlare di textposting, una differenza che il termine italiano “scrittura” non rende. Il textposting è una deviazione del writing, una pratica della scrittura sviluppata a lato dei social network e del web, per mettere in crisi i meccanismi di controllo del canale attraverso il quale il testo si diffonde. Una modalità di resistenza, per forzare l’egemonia degli algoritmi e delle filter bubble, che indicizzano gli argomenti, archiviano parole, conservano oppure rendono invisibili concetti, pensieri, possibilità.

Pedro Neves Marques, Auto Fiction, Galleria Umberto di Marino, 2020, Napoli
Pedro Neves Marques, Auto Fiction, Galleria Umberto di Marino, 2020, Napoli

L’estetica del controllo

Tema drammaticamente urgente, quello del controllo, tradizionalmente fecondo nella letteratura distopica e che, dal Patriot Act alle app di tracciamento, passando per cookies e profilazioni, tra politica, informazione e tecnologia, è esploso anche nel dibattito pubblico, travolgendo come un fiume in piena la quotidianità, modificando la percezione delle abitudini. Sulla macroarea del controllo, sulla persistenza dei linguaggi egemoni fin negli aspetti più intimi della vita quotidiana, l’artista nato nel 1984 a Lisbona ha incentrato larga parte della sua ricerca che, nel corso di vari progetti, ha assunto la forma di installazioni, video, fotografie e, in particolare, testi.

Pedro Neves Marques, Learning to live with other bodies, Galleria Umberto di Marino, 2017, Napoli

Come nel caso dell’ampio progetto dedicato alle sementi, nucleo della vita e strumento del potere per controllarla, già esposto nella galleria napoletana nel 2017, in occasione della mostra “Learning to Live with Other Bodies”. In quel caso, tra video e stampe su lattice biodegradabile, l’artista portoghese svolgeva una trama fittissima e inserita in un percorso di disvelamento progressivo, dalla chiarezza dell’illustrazione tassonomica, primo livello dell’organizzazione della conoscenza, fino agli interessi economici transnazionali, le cui diramazioni si perdono tra le piantagioni brasiliane della Monsanto e il Deposito globale sotterraneo dei semi nelle Isole Svalbard.

Questa volta, tra gravidanze e terapie ormonali, tra embrioni e feti, il racconto mette radici nel territorio della persona, del corpo privato che si amplia e diventa questione pubblica, che poi è quella ipoteticamente condivisa con migliaia di individui della comunità online, altri corpi, altri nomi. E dunque, cosa è vero e cosa non lo è, nella storia che Pedro Neves Marques ha affidato alle parole, prima scritte sullo schermo di uno smartphone, poi fotografate e, quindi, esposte e diventate altro? Lo abbiamo chiesto all’artista.

L’intervista a Pedro Neves Marques

Dalla lunga storia delle sementi, alle tecnologie di ibridazione dei corpi, mi sembra che la tua ricerca ti abbia portato ad affrontare le possibili condizioni di sviluppo della vita. In questa poetica dell’esistenza e, per converso, della non-esistenza, c’è anche una implicazione politica?

«Guardando indietro a gran parte del mio lavoro, dalle sue preoccupazioni ecologiche alle sue speculazioni futuristiche, sono arrivato a rendermi conto di quanto esso parli di riproduzione, replicamento e gestazione. Intendo questo in tutti i modi, sia umani che non umani, ma anche economici e storici, una certa storia di violenza e controllo, ma anche di speranza in altre forme di affinità, oltre il potere. E se parliamo di riproduzione, allora sì, stiamo parlando anche di vita. Cos’è la vita, quali forme può assumere la vita e chi decide. C’è sempre stato un forte aspetto biopolitico nelle mie domande, ma ho cercato sempre di complicarlo sia con un approccio cosmologico (per esempio nei miei lavori in dialogo con l’attrice e attivista indigena, Zahy Guajajara) che con un’esperienza intimistica, spesso non normativa e queer, nel tentativo di rompere con determinate strutture di potere, come nel mio film The Bite, nell’installazione Becoming Male in the Middle Ages e questa nuova serie di poesie fotografiche».

Pedro Neves Marques, Auto Fiction, Galleria Umberto di Marino, 2020, Napoli
Pedro Neves Marques, Auto Fiction, Galleria Umberto di Marino, 2020, Napoli

Nelle tue opere, l’elemento linguistico è spesso visivamente presente, tanto nella forma “enciclopedica”, che in quella “narrativa”. In che modo avviene il passaggio dal testo all’opera (o magari viceversa)? Hai qualche scrittore di riferimento? Quali sono i generi e i sottogeneri letterari che ti interessano di più?

«La scrittura è alla base di gran parte della mia pratica e, nel corso degli anni, ho imparato a capire quando potrebbe diventare un saggio, una storia, un film o un’installazione. In effetti, tutti questi formati mi consentono di parlare e pensare a qualunque cosa mi interessi – per esempio, dalla politica della tecnoscienza all’ecologia e all’ambientalismo, all’amore e alla cura tra umani e non umani – a partire da prospettive diverse. La poesia è un caso speciale. Per me la poesia è la forma più intima e banale ma amo anche le sue opacità, come gioca con le aspettative dei lettori o degli spettatori (dato che tendo a mostrare la poesia in contesti espositivi). Sono profondamente influenzato dalla fantascienza di tutti i tipi – in questo caso, penso alle questioni di genere nel romanzo La mano sinistra delle tenebre di Ursula Le Guin – e solitamente da una dedizione all’antropologia. Per quanto riguarda l’opera in esposizione da Umberto di Marino, ho letto molto della poetessa Rosmarie Waldrop, il modo in cui intreccia un linguaggio estremamente tecnico con particolari intimi e dinamiche di coppia. Solo per fare un esempio».

La tua ultima mostra alla Galleria Umberto Di Marino è incentrata sul corpo, raccontato principalmente attraverso lo schermo di uno smartphone. A cosa è dovuta la scelta specifica di questo device?

«È ovviamente intuitivo. In fin dei conti, uno smartphone non è uno dei nostri oggetti più intimi? Come tutti gli altri, ci faccio un sacco di cose, anche scriverci poesie. Quindi c’è quel rapporto diretto: il mio smartphone in mano e poi i miei scritti. Questo pezzo è piuttosto intimo, anche il suo titolo, Autofiction, lo dice, mi piace questa sensazione che il visitatore stia sbirciando da sopra la mia spalla la mia privacy (sto parlando del punto di vista nelle fotografie). C’è un photopoem nella mostra che parla di questo desiderio di impiantare lo smartphone direttamente nella mia pancia, come nel mio ritratto, dove vedi un taglio chirurgico sulla mia pancia. Una relazione cyborg, per quanto è intima e incarnata».

La mostra di Pedro Neves Marques, “Auto Fiction”, sarà visitabile alla Galleria Umberto di Marino, via del Alabardieri 1, Napoli, fino all’8 novembre 2020. Per gli orari di visita, è possibile scrivere a info@galleriaumbertodimarino.com.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui