22 giugno 2020

De Pisis a Palazzo Altemps. Intervista a Pier Giovanni Castagnoli

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Il Museo Nazionale Romano di Palazzo Altemps accoglie fino al prossimo 20 settembre la mostra di Filippo de Pisis. Intervista a Pier Giovanni Castagnoli

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Filippo de Pisis L'archeologo, 1928 Genova, Galleria d'Arte Moderna Credits: Comune di Genova - Musei di Nervi - Galleria d'Arte Moderna © Filippo de Pisis by SIAE 2019

Nel dialogo che intrecciano con la statuaria antica delle collezioni del Museo Nazionale Romano di Palazzo Altemps, le opere di de Pisis in mostra vedono ulteriormente esaltata la loro qualità, la maestria della loro conduzione

Poeta e pittore dal talento straordinario quanto versatile, Filippo de Pisis (1896-1956) è indubbiamente uno dei maggiori artisti italiani tra le due guerre, uno dei maestri dell’arte indipendente purtroppo ancora sottostimato nella sua importanza, soprattutto sul piano internazionale, dove per contro meriterebbe di essere annoverato tra le figure senza confronti nelle vicende artistiche del Novecento, non solo italiano.

Il Museo Nazionale Romano di Palazzo Altemps accoglie fino al prossimo 20 settembre una mostra che, attraverso un’attenta selezione di ventisei dipinti, carte e acquerelli, intende restituire la sensibilità pittorica dell’artista ferrarese. L’esposizione è promossa dal Museo Nazionale Romano, in collaborazione con il Polo Museale di Milano arte moderna e contemporanea e prodotta da Electa, con il sostegno dell’Associazione per Filippo de Pisis. Ne parliamo con il curatore (insieme ad Alessandra Capodiferro) Pier Giovanni Castagnoli.

La tappa romana della mostra come si inserisce nel percorso realizzato al Museo del Novecento di Milano, dove è stata presentata la più ampia retrospettiva milanese degli ultimi 50 anni dedicata a de Pisis?

«La mostra romana è, in una certa misura, un’addizione dell’antologica del Museo del Novecento e, pertanto, ne rappresenta una prosecuzione e una sorta di complemento. Sebbene più contenuta e pausata nella selezione dei dipinti, essa pone in risalto, esonerandosi dagli obblighi di una troppo puntigliosa filologia, una distillatissima antologia di fuochi immaginativi, e altrettanti vertici di qualità espressiva, capaci di restituire pienamente il valore di un’esperienza artistica tra le più ricche e originali del proprio tempo».

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Filippo de Pisis
Natura morta occidentale, 1919
Verona, collezione della Fondazione Cariverona
© Archivio fotografico della Fondazione Cariverona
© Filippo de Pisis by SIAE 2019

Come mai la scelta di porre l’accento a Roma su una nutrita selezione di carte e acquerelli?

«La selezione dei fogli, che attinge al patrimonio di più di un ventennio di ricerche, testimonia, con abbondanza di prove, il livello altissimo conquistato da de Pisis nell’esercizio del disegno, dando nutrita prova della varietà di tecniche, di intonazioni ideative, di modi espressivi, consegnate alle carte nella fervidissima officina creativa dell’autore. Così che il disegno si dimostra sempre, e in ogni prova, una pratica non marginale, bensì un esercizio decisivo dello stile, un traguardo definitivo, autonomo, in sé sufficiente e perfetto. Nel dialogo che intrecciano con la statuaria antica delle collezioni del Museo Nazionale Romano di Palazzo Altemps, i disegni di de Pisis, in particolar modo i nudi, sempre ripresi dal vero, vedono ulteriormente esaltata la loro qualità, la maestria della loro conduzione: nel variare delle inclinazioni e delle posture dei corpi, nel sensibile e mutevole costituirsi del modellato, nel palpitare tremante, eccitato del segno, che insegue e corteggia, come “spoglie” sfuggenti, le forme dei corpi».

Si può soffermare a descrivere un paio delle opere più significative in mostra?

«Non è facile scegliere tra tanti capolavori; ma guardando all’ambientazione della mostra e cercando spunto nello sfondo sontuoso delle collezioni di Palazzo Altemps, si potrebbero estrarre dall’antologia dei dipinti, due tele rivelatrici della personalissima interpretazione data da de Pisis al motivo del monumento. Una è Pane sacro, un’opera dell’anno 1930 in cui un grande filone di pane, eretto verso il cielo, si appoggia a uno sgabello da scultore da cui pare sia disceso ora è poco, come da un basamento su cui aspiri nuovamente a salire per un offertorio ancora più monumentale e solenne; l’altra è La grande conchiglia del 1927, invenzione strepitosa nell’ostensione a tutto campo dell’architettura della conchiglia, addossata al primo piano della scena e avvitata verso il cielo con le volute delle sue spirali, quasi fosse il coronamento stupefacente di una cupola borrominiana».

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Filippo de Pisis
Il marinaio francese, 1930
Olio su tela, 60 × 50 cm
Collezione privata
© Filippo de Pisis by SIAE 2019

Il carattere distintivo di Palazzo Altemps, quello del bello antico delle sue collezioni, in che modo entrano in relazione con le opere di de Pisis?

«La mostra dà ampie prove di come abbia influito la suggestione dell’antico sull’immaginazione di de Pisis: un dipinto come Le cipolle di Socrate del 1926, L’archeologo del 1928 o Il piede romano del 1933 sono altrettanti esempi di quel sentimento evocatore dell’antico che attraversa, con abbondanza di testimonianze, l’intero catalogo della pittura dell’artista, e che trova in Palazzo Altemps la culla più accogliente capace di farne risaltare l’intensità e la malìa».

de Pisis ha anche vissuto e lavorato a Roma. A suo avviso, l’artista cosa ha portato con sé nella vita e nella ricerca del suo soggiorno romano?

«de Pisis si stabilisce a Roma nel 1920, inizia a visitare i musei, le gallerie, ad ammirare la pittura del Seicento e a frequentare gli scrittori della Ronda: conosce Armando Spadini, Mario Broglio, prepara scritti per la rivista Valori Plastici e, soprattutto, riprende a dipingere, dopo il tempo degli studi universitari bolognesi e del prevalente impegno letterario. Gli anni dei soggiorni romani – de Pisis lascia la Capitale per trasferirsi a Parigi nel 1925 – sono l’incubatoio fertilissimo che decide la formazione del pittore e il suo destino di artista».

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Filippo de Pisis
Le cipolle di Socrate, 1926
Olio su tela, 73 × 38,2 cm
Musée de Grenoble
Ph. J.L. Lacroix
© Filippo de Pisis by SIAE 2019

Pensa che oggi, a livello nazionale e internazionale, de Pisis abbia avuto il riconoscimento che merita? In caso di risposta negativa, per quale motivo è sottostimato? Pensa che possa aver contribuito anche il gran numero di falsi intorno al suo lavoro?

«Benché abbia goduto di una ricca e titolata fortuna critica e di importanti occasioni espositive in cui essere conosciuta e ammirata, la pittura di de Pisis – che è indubitabilmente uno dei maggiori artisti italiani tra le due guerre – è purtroppo ancora sottostimata nella sua importanza, soprattutto sul piano internazionale, dove per contro meriterebbe di essere annoverata tra le testimonianze più significative dei maestri dell’arte indipendente del Novecento. È difficile comprenderne le ragioni, ma non credo che la minore attenzione prestata all’artista rispetto a quella riservata ad altri protagonisti dell’arte del secolo, a de Chirico, per fare un esempio, sia da imputare alla circolazione di falsi, esistendo peraltro, a presidio dell’autografia delle opere assegnate all’autore, un ottimo catalogo generale curato da Giuliano Briganti e, da tempo, la sorveglianza del lavoro condotto dall’Associazione per Filippo de Pisis e dagli studiosi del suo comitato di esperti. Sono piuttosto propenso a credere che, al di là dell’apparente accostabilità, la pittura di de Pisis sia una pittura non “facile”, ma impegnativa e intellettualmente raffinata: non per tutti, in una parola».

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