30 dicembre 2021

“La forma dell’oro”: intervista a Jean Bedez per BUILDINGBOX 2021

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BUILDINGBOX, a Milano, ospita da 12 mesi la mostra “La forma dell’oro”: ultimo artista a concludere il ciclo, Jean Bedez ci racconta la “sua” forma dell’oro

“La forma dell’oro” ha inaugurato a gennaio 2021 presso la galleria BUILDING di Milano e a dicembre 2021 il francese Jean Bedez chiude questa esposizione, lunga 12 mesi. Per l’iniziativa a cadenza annuale, che la galleria porta avanti dal 2018, all’interno dello spazio BUILDINGBOX si sono succeduti 12 artisti, uno al mese. Quest’anno è stata Melania Rossi a curare il progetto, con un focus sull’oro nell’arte contemporanea, di cui ci aveva parlato in questa intervista. Una specie di mostra collettiva “espansa”, che ha portato dietro la vetrina di via Monte di Pietà linguaggi artistici da diverse parti del mondo. 12 artisti accomunati dall’intento di esprimere personalmente un’unica forma: quella dell’oro.

12 forme dell’oro

Notando come, in varie forme, l’impiego dell’oro nell’arte perduri nei secoli, dall’antichità fino ai giorni nostri, Melania Rossi ha messo insieme il lavoro di dodici artisti. Così, all’interno di BUILDINGBOX si sono alternate varie interpretazioni contemporanee di questo metallo prezioso in “La forma dell’oro”. Dodici forme dell’oro: Paolo Canevari, Emiliano Maggi, Rä di Martino, Antonello Viola, Jan Fabre, Davide Monaldi, Delphine Valli, Alex McLeod, Sohpie Co, Giuseppe Gallo, Josè Angelino, Jean Bedez. «L’oro è un colore e anche un materiale, il suo fascino è rimasto incorruttibile in tutta la storia dell’arte (…) mi sono accorta che questo materiale tornava anche nei lavori degli artisti contemporanei, perdendo la patina del passato», spiega la curatrice.

Per esempio, i Golden Works di Paolo Canevari esposti in BUILDINGBOX risalgono al 2019 e rispondono all’inquinamento visivo quotidiano cui siamo sottoposti: un silenzio dorato di fronte al frastuono di un numero eccessivo di immagini. Invece, l’oro di Emiliano Maggi ci trasporta in una dimensione fantastica: le sue ceramiche dalle forme curve e bestiali ci accompagnano in un mondo fiabesco attraverso lo specchio dorato. Antonello Viola richiama le dorature medievali inserendo la foglia d’oro in una nuova geografia spazio-temporale.

Jan Fabre ricopre la sua testa d’oro in un autoritratto con corna da diavolo, “celebrando l’anarchia tutta umana dell’arte e della vita”. Alludono all’ascensione spirituale le vecchie scale a pioli di Sophie Ko, che l’artista rivitalizza rivestendole in foglia d’oro. In questa esposizione l’oro ha assunto varie forme, da quella più astratta alla più materica, fisica. Come nell’opera di José Angelino che con Resistenze (2021) ha trasformato BUILDINGBOX in un luogo in cui si snoda un flusso luminoso nel cui percorso interferisce proprio l’oro. «Ogni cosa si ossida e si decompone, mentre l’oro rimane eternamente giovane. Sarà questo il motivo per cui ispira attrazione e bellezza?».

La forma dell’oro secondo Jean Bedez

Dietro una vetrina della galleria milanese, 24/7, l’oro ha restituito il suo colore al cambiare della luce durante le ore del giorno. Jean Bedez è l’ultimo artista che conclude “La forma dell’oro” con un’interpretazione tutta sua. A ispirarlo il mondo antico, il mito e la statuaria classica greca. I suoi Ercole e Atlante disegnati interpretano fatiche senza tempo, ormai lontani da quella stirpe aurea di cui cantava il poeta Esiodo. Al loro fianco, il pendant animale in forma tre sculture: un toro mutilato carico di simbologie e significati provenienti da culti millenari. L’artista francese ci ha raccontato il suo intervento per questa mostra a BUILDINGBOX in un’intervista.

Hai utilizzato la tecnica che preferisci, quella del disegno, per rappresentare l’oro in maniera astratta e invece hai inserito concretamente l’elemento dell’oro nelle tre piccole sculture, che rappresentano un toro. Sin dal Paleolitico, l’uomo raffigurò il toro con le pitture rupestri nelle Grotte di Lascaux o in quelle di Altamira. Egizi, babilonesi, fenici, indiani, greci e romani: tantissime le civiltà che hanno rappresentato questo animale, legandolo ai propri culti, sacro e sacrificato. Tu stesso hai già inserito il toro in diverse tue opere. Cosa rappresenta questo animale per te? Perché dei tori mutilati a BuildingBox?

«Il toro nelle più antiche religioni del bacino mediterraneo incarna la forza invisibile che feconda la natura. Era l’animale sacro che veniva identificato o sacrificato agli dei. Emblema della forza bruta, è associato a figure di combattimento sia nel simbolismo cristiano che pagano. Evocativo della tentazione di Sant’Agostino, il combattimento nell’arena crea fascino e repulsione negli animi dei suoi spettatori. La scultura qui è un’estensione dei miei disegni dove estraggo il soggetto del toro (dal disegno De Ordine).

Per me il toro si riferisce all’arte del combattimento, è un motivo ricorrente nel mio lavoro. Mi interessa il tema dei combattimenti tra animali perché rappresenta la forza tellurica e divina e qui evoca Apollo, l’animale sacrificato al dio è rappresentato con corna d’oro. Il toro è mutilato, riferendosi a sculture antiche che si sono degradate nel tempo, estratte dal loro sito originale o danneggiate durante combattimenti e saccheggi. Una composizione dinamica, al limite della rottura dell’equilibrio, cattura il momento del salto e dello slancio, a testa bassa. L’energia che sta per esplodere viene raccolta nella forza del busto, nella tensione della colonna vertebrale e nei muscoli di tutto il corpo. Come un sogno di movimento che nasce dallo spessore della materia».

Jean Bedez in “La forma dell’oro”. Photo credit: Ilaria Maiorino

Nel caso di Atlas portant le monde (2021) e Hercule tuant Cacus avec une massue (2021), hai scelto di interpretare la forma dell’oro attraverso il filtro della tradizione mitologica greca. Perché questa scelta?

«Nel disegno di Hercule tuant Cacus avec une massue, eseguito sulla base di una scultura di Michelangelo Buonarroti, Ercole abbraccia il gigante caduto in un abbraccio mortale; l’oltraggio degli anni privò l’eroe della sua integrità fisica e della sua arma, senza riuscire a cancellare l’impressione di potenza e forza insita nel mito. La mitologia greca permea tutto il mio lavoro e mi permette di offrire rappresentazioni del mondo contemporaneo che funzionano come allegorie moderne. Continuo a nutrirmi degli antichi maestri, traendo ispirazione dalla scultura fiorentina dal Rinascimento all’arte del disegno nel Settecento. Questo disegno ispirato a una gigantomachia è portatore di luce e oscurità in un paesaggio che sublima la natura».

L’Atlante come metafora della condizione umana in seguito all’involuzione dalla stirpe dell’oro a quella del ferro. Il toro emblema dei rapporti di dominio della nostra società. Associandolo a qualcosa di “terreno” (come la fatica o la frustrazione), hai umanizzato l’oro, materiale e colore che invece tradizionalmente rappresenta il divino. Nelle tue opere per La forma dell’oro emerge qualcosa di molto umano: la sofferenza. Il drammaturgo greco Eschilo reputava che il soffrire fosse necessario per conoscere, divenire saggi, concetto concretizzato nella locuzione πάθει μάθος (pathei mathos). Questa potrebbe essere una lettura quasi salvifica per i tuoi soggetti, cosa ne pensi?

«“Capire attraverso l’esperienza” è per Eschilo la legge che gli dei assegnano agli uomini. Non so se l’arte apra le vie della saggezza ai mortali, ma certamente apre interrogativi sull’essere, sul suo rapporto con il tempo e la finitezza. Ogni opera che si ispira alla mitologia è attraversata prima o poi quasi ontologicamente dalla tragica consapevolezza dell’enigma di un’esistenza fragile e precaria. Le mie opere esprimono uno stupefatto rapporto con la precarietà di un mondo sottoposto alla prova del tempo e, paradossalmente, è questa fragilità che l’arte coglie per restituire in modo salvifico tutta la bellezza del mondo».

L’età dell’oro cui fai riferimento, come quella del ferro, sono raccontate da Esiodo in Le opere e i giorni, dove la storia dell’uomo è divisa in cinque età (quelle dell’oro, dell’argento e del bronzo, poi degli eroi e infine del ferro). Se tu dovessi dare un nome all’età in cui viviamo, come la chiameresti?

«Non saprei qualificarla, ma di certo stiamo entrando in un’epoca in cui il vivente sta riacquistando i suoi diritti, il dominio dell’uomo senza condivisione sul mondo è messo in discussione e stiamo senza dubbio assistendo alla fine del nostro modello Antropocene».

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