06 marzo 2023

La matita e la tastiera, il disegno al centro: intervista ad Andrea Mastrovito

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Tra realtà aumentata e algoritmi, il disegno ha ancora la supremazia nell’arte? Ne parliamo con Andrea Mastrovito, spaziando da Giorgio Vasari alla Computer Generated Image

Andrea Mastrovito
Andrea Mastrovito, photo credit Nicola Zanni

Se gli orizzonti dell’arte digitale e della realtà aumentata si profilano sempre più prossimi, al punto che le mostre di arte digitale stanno attraendo maggior pubblico, c’è da chiedersi se la cosiddetta supremazia del disegno, postulata da Giorgio Vasari, abbia perso del tutto la propria consistenza e se il rapporto fisico tra la mente, la psiche e la mano dell’artista continui a costituire un gesto creativo olistico o sia invece destinato alla mediazione dello strumento digitale dei filtri degli algoritmi. A tal fine, ho intervistato Andrea Mastrovito, un artista che ha sempre puntato e punta al disegno come centro d’interesse del proprio progetto artistico. La sua ricerca è stata recentemente pubblicata in “To Draw is To Know“, volume edito da Magonza, che presenta un focus specifico sugli ultimi lavori, dal 2015 a oggi.

Andrea Mastrovito, To Draw is To know, Magonza Editore, 2022

Giorgio Vasari ha postulato la supremazia del disegno in tutte le arti. Ancora oggi il tratto del lapis sulla superficie pittorica pone problemi di carattere non solo ottico e prospettico ma soprattutto di tipo filosofico ed epistemiologico. La definizione vasariana del disegno trova oggi conferme ed attenzione anche da parte di neurofisiopatologi. Diceva Vasari che il disegno nasce dall’azione sinergica della mano e dell’intelletto. Proprio l’intima correlazione tra mano ed intelletto permette agli psicologi di studiare la mente la e la psiche tramite i disegni. La tua produzione artistica pare confermare e continuare la tradizione vasariana, forse spostando l’attenzione dalla descrizione dei corpi e delle masse alla descrizione di più intimi movimenti interiori o intersoggettivi. Che ne pensi?

«Molti anni fa, si parla del secolo scorso, stavo guardando Quark in televisione quando Piero Angela, introducendo credo un’animazione di Bruno Bozzetto, se ne venne fuori con questa frase: “…perché, come diceva Napoleone, un disegno vale più di mille parole”. Ora, non ho mai controllato se tale citazione fosse veritiera, ma fu qualcosa che mi colpì profondamente, tanto che rappresenta uno dei miei primi ricordi d’infanzia.

Se pensiamo al fatto che la parola, il linguaggio e, con esso, la capacità di narrare e comprendere il reale (e, di pari passo, creare la finzione), sono esattamente quanto ci distingue da tutti gli altri animali e che ha permesso l’evoluzione stessa della nostra specie, beh, allora dobbiamo per forza rimanere “a bocca aperta” (come il titolo di una nota trasmissione televisiva di quegli stessi anni) rendendoci conto che 1000 parole non valgono 1 disegno. E che quindi, ancora prima che alla parola, dobbiamo il nostro essere uomini, società e persino civiltà agli scarabocchi di qualche ancestrale antenato.

Se partiamo da questa presa di coscienza non possiamo che condividere il pensiero di Vasari ed anzi allargarlo a qualsiasi attività umana, e d’altronde la parola scritta, la scrittura – che ha permesso al racconto ed alla narrazione di attraversare i millenni accelerando infinitamente il processo evolutivo – non discende direttamente dal pensiero quanto dai primi disegni, tramite le ataviche rappresentazioni di simboli mnemonici, pittorici ed ideografici quali le incisioni rupestri, i glifi maya o egizi.

E quando Picasso affermava che “Dopo Altamira, tutto è decadenza” senz’altro guardava alla storia col suo sguardo obliquo e dobbiamo leggere quest’affermazione non solo come un’ambizione a rifarsi alle origini della storia (che appunto comincia con un disegno!) quanto piuttosto come sia evidente che dalle pitture rupestri (di Altamira, in questo caso) decada quindi discenda tutto, in una sorta di intimo decadimento orbitale che prevede la graduale diminuzione della distanza fra due corpi orbitali fino al punto di massima vicinanza. I due corpi in questione sono i due piani che contraddistinguono il nostro essere: il piano del pensiero e quello della realtà. Ed il primo punto di contatto fra loro corrisponde sempre alla punta di una matita. L’essere umano attinge al pensiero attraverso il disegno, trasportando il pensiero stesso sul piano reale facendolo scivolare lungo la matita (o la penna, o la penna ottica o il mouse) e pertanto disegnare è conoscere: conoscere il mondo ma, prima ancora, conoscere se stessi.

In tutto ciò, la pratica del frottage  – come registrazione, tracciamento, intuizione e svelamento – ricopre un’importanza fondamentale nella storia dell’uomo: da primo strumento utilizzato dagli archeologi per riprodurre fedelmente incisioni, bassorilievi, fossili utili a ricostruire l’evoluzione dell’umanità e del suo pensiero e quindi conoscerne le origini, sino alle sperimentazioni di Max Ernst in campo artistico nel secolo scorso, in cui tramite il disegno/frottage l’artista attua il principio surrealista dell’automatismo psichico, ovvero del passaggio diretto delle immagini (leggi “idee”) dall’inconscio (ovvero ciò che sta alla base dell’agire umano) al foglio e quindi alla realtà.

Nel mio lavoro cerco di portare al limite questa pratica in diverse direzioni, sia praticandola su scala ambientale sia caricando un unico segno di più significati, disegnando liberamente sul foglio posto su superfici scabre ed ottenendo dunque un di-segno che, con un solo gesto, racconti più storie contemporaneamente».

Andrea Mastrovito The Stranger, 2022 Frottage and collage on paper 135 x 76 cm, courtesy l’artista e Wilde Gallery, Ginevra/Basilea

L’avvento dell’arte digitale, secondo te, può interrompere il rapporto tra il mondo interiore ed intellettuale dell’artista e la sua mano?

«Assolutamente no. La parola stessa, arte “digitale” da cosa discende se non dal termine latino digitus, ovvero “dito”? E il dito non fa forse parte della mano? Quindi anche l’arte digitale non può in alcun modo prescindere dalla mano dell’artista.

C’è una tecnica di disegno, in particolare, che ha originato buona parte di ciò che noi oggi chiamiamo “arte digitale” se ci limitiamo al campo delle arti visive, ma che dobbiamo ribattezzare CGI (Computer Generated Image) se invece prendiamo in considerazione tutto il mondo delle immagini, dai colossal hollywoodiani ai semplici filtri su instagram che tutti noi utilizziamo.

Questa tecnica primigenia è il rotoscopio, ovvero quella pratica per cui, tramite un supporto traslucido, il disegnatore ricalca (anche qui c’è attinenza col frottage) le scene per un’animazione a partire da una pellicola girata in precedenza. È una tecnica che sin da inizio ‘900 permise di ottenere film animati assolutamente realistici, tanto che capolavori come Biancaneve e i sette nani e Cenerentola di Walt Disney vennero realizzati tramite rotoscopio. Negli anni tale pratica, sempre basata sullo studio tramite ricalco disegnato dei movimenti dei soggetti da riprodurre, si evolvette nel motion capture che ha varcato il limite tra realtà e finzione, rendendole inconfondibili caratterizzando la CGI e tanta filmografia di questo secolo, come il celebre Hulk plasmato sulle movenze di Mark Ruffalo o Smeagol/Gollum ricalcato sulle sembianze di Andy Serkis nella trilogia del Signore degli Anelli di Peter Jackson.

E se nel cinema la distanza tra il rotoscopio/disegno delle origini e l’odierna CGI crea oggi  una forbice che dimostra come la settima arte abbia assimilato dal rotoscopio essenzialmente l’ingegnerizzazione del processo di animazione, nel mondo dell’arte la libertà della ricerca permette ancora oggi, ancor più di prima tra l’altro proprio grazie all’aiuto dei computer, di sperimentare nell’ambito del rotoscoping e del disegno animato.

Io stesso nel 2017 realizzai NYsferatuSimphony of a Century, un remake animato del Nosferatu (1922) di Murnau ottenuto tramite 35.000 disegni eseguiti a mano tramite la tecnica del rotoscopio, ma montati e “fusi” uno nell’altro digitalmente, tramite programmi di grafica e montaggio. L’arte digitale quindi è solo una possibilità in più concessa agli artisti. Una risorsa, piuttosto che un impedimento».

Andrea Mastrovito, Tristes presentimientos de lo que ha de acontecer, acto I y acto II, (dettagli), 2022, matita litografica su mobili e infissi di recupero, frottage a matita su carta, dimensioni ambientali, veduta dell’allestimento presso Espacio Proa21, Fundación Proa, Buenos Aires
Andrea Mastrovito, Tristes presentimientos de lo que ha de acontecer, acto I y acto II, (dettagli), 2022, matita litografica su mobili e infissi di recupero, frottage a matita su carta, dimensioni ambientali, veduta dell’allestimento presso Espacio Proa21, Fundación Proa, Buenos Aires

Come la decisione di spostarsi da Bergamo e dall’Italia a New York ha influito sulla tua produzione artistica?

«Beh, naturalmente stare a Bergamo non poteva portarmi molte opportunità e, ad un certo punto, verso la fine dei primi anni 2000, mi ero reso conto che a Milano il mondo dell’arte cominciava a piegarsi su se stesso, autocitandosi ed autoincensandosi in un modo che rendeva la metropoli lombarda più simile a città come Roma (dove, all’interno del perimetro del Grande Raccordo Anulare, si può essere delle vere e proprie celebrità, senza aver poi voce al di fuori di esso) piuttosto che a grandi realtà internazionali come, all’epoca, Berlino, Londra o appunto New York. Così approfittai della vittoria del Premio New York nel 2008 per trasferirmi lì a partire dagli anni successivi.

Non amo particolarmente questa città, che negli ultimi tempi offre molto meno di quanto richiede, ma non posso non riconoscerle questa qualità straordinaria: ancora oggi è “la città”, ovvero il luogo in cui la civiltà si manifesta nelle sue espressioni (positive o negative che siano) più contemporanee. In questi quindici anni ho visto nascere in questo piccolo angolo di mondo a cavallo del 41° parallelo nord tutti quei movimenti sociali e politici e quelle tendenze artistiche che hanno caratterizzato il nostro tempo. Che piaccia o no, da qui tutto parte e si diffonde nel mondo occidentale.

E così il mio lavoro ha risentito tantissimo dell’influenza non tanto dell’arte che qua si può osservare ovunque (dalle gallerie ai musei ai parchi alle stazioni della metro agli angoli delle strade) quanto dell’approccio alla vita stessa che New York ti costringe ad avere ogni dannato giorno.

Questa città mi ha insegnato a concepire il mio lavoro, ed in particolare il disegno (sempre sia lodato il Drawing Center di Soho!) come un collante, un continuum tra vita e opera, tra opere ed opere, tra gli oggetti trovati e la loro rielaborazione e, infine, tra realtà e finzione.

E tutto ciò vale non solo per le opere prodotte e concepite negli anni a New York, come le prime Conversazioni o il sopra citato NYsferatu (che è ambientato tra l’altro proprio in città), ma soprattutto per quanto realizzato fuori, in risposta alla vita newyorkese ed alla sua durezza.

Penso ad esempio a Tristes presentimientos de lo que a de acontecer, creato ed esposto lo scorso ottobre a Buenos Aires all’Espacio Proa21 della Fondacion Proa: l’opera (che apre il volume “To Draw is to Know”, dedicato alla mia produzione recente e appena pubblicato da Magonza) nasce per strada, da tutto quanto raccolto per le vie della Boca nel mio mese di residenza. Una volta raccolto, il materiale è stato rimasticato e digerito attraverso la pratica del disegno e del frottage, raccontando una visione disincantata del nostro tempo. Ecco, quest’attenzione allo scarto, al rifiuto, alla strada, a ciò che ha fallito ed alle sue potenzialità inespresse, sono tutte figlie del mio stare a New York in questi anni.

E per questo motivo mi trovo sempre in debito verso questa città, sebbene cerchi di scapparle lontano appena possibile per rientrare a Bergamo e respirare aria di casa e di umanità. Ma poi, ogni volta, mi richiama a sé perché in fondo è un luogo in cui rispecchiarsi e ri-conoscersi: da nosce te ipsum a NYsce te ipsum è un attimo».

Andrea Mastrovito, Tristes presentimientos de lo que ha de acontecer, acto I y acto II, (dettagli), 2022, matita litografica su mobili e infissi di recupero, frottage a matita su carta, dimensioni ambientali, veduta dell’allestimento presso Espacio Proa21, Fundación Proa, Buenos Aires

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