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L’arte della disobbedienza civile: la mostra di Ulyana Nevzorova racconta la repressione della Bielorussia
Arte contemporanea
Memoria, politica, comunità, ricordo. Sono i cardini principali del lavoro che l’artista visiva Ulyana Nevzorova ha realizzato per Platea. Nella vetrina espositiva, in Corso Umberto 1 a Lodi, vi si può scorgere un fondale di tende bianche, sul pavimento una scatola trasparente straboccante di fogli di carta piegati a fisarmonica, vicino ad essi è proiettato un video con riprese delle proteste avvenute a Minsk nel 2020 (titolo: 100 days of protest) e, salendo per la scala a lato, è possibile ascoltare l’audio di queste manifestazioni.
La pratica di questa giovane artista e attivista bielorussa, costretta a lasciare il suo paese appena all’inizio della sua pratica artistica (nata a Minsk nel 2001, vive e lavora ad Amburgo dal 2021) si sviluppa da una riflessione sulla memoria come spazio condiviso, in cui vissuto individuale e traumi si legano in una narrazione collettiva. Il lavoro che porta avanti indaga la fragilità del ricordo e la possibilità di una trasmissione affettiva della storia. L’arte è soprattutto uno strumento importante di preservazione politica della memoria.
Questa concezione deriva da una necessità vissuta sulla propria pelle dall’artista: nel 2020 la Bielorussia è stata attraversata da un’ondata di proteste senza precedenti, scaturite dalla controversa rielezione di Aleksandr Lukashenko al settimo mandato consecutivo e dalla violenta repressione messa in atto dal suo regime autoritario. Questo momento, pur non rovesciando il governo, ha rappresentato l’emergere di un nuovo soggetto democratico collettivo, capace di ridefinire il senso di comunità e resistenza nel Paese.
Paperwork, a cura di Gabriella Rebello Kolandra e in corso fino al 24 agosto 2025, nasce proprio da una riflessione su questo nuovo soggetto democratico collettivo, cui si aggiunge la disobbedienza civile, che si sviluppa sia in grandi cortei che in piccoli atti silenziosi. Importante riferimento per Ulyana Nevzorova è il saggio Solidarity of the Shaken. On the Collective Subject of the Belarusian Revolution of 2020 della filosofa bielorussa Tatyana Shchyttsova, che analizza la genesi del movimento di protesta evidenziandone la dimensione collettiva della soggettività politica. Cuore di questo testo è il concetto di “solidarietà degli scossi” del filosofo Jan Patočka (Repubblica Ceca, 1907 – 1977). Esso ha due punti fondamentali: in prima istanza che con la scossa che avviene dopo la presa di consapevolezza del proprio stato di sudditanza sotto una dittatura vi sia una riflessione su sé stessi e sulla realtà; d’altro canto, un senso di fratellanza e solidarietà con chi è stato esposto agli stessi avvenimenti.

La resistenza intellettuale diventa così un vero e proprio atto morale poiché costituisce un ethos, ovvero una modalità di rapporto con se stessi e con gli altri. Secondo Patočka ciò che occorre fare, quindi, è «scuotere la quotidianità della gente». Questo corrisponde anche con l’azione pubblica, cioè con la politica. Tale concetto fu fondamentale per il movimento Charta 77, di cui il filosofo ceco fu tra gli iniziatori, che si oppose alla dittatura presente in Cecoslovacchia. La domanda fondamentale dietro al movimento era: come si fa a riscattarsi dalla condizione di prostrazione morale ed esistenziale?
Il lavoro di Nevzorova fa riferimento ad un atto che si ricollega a questa «solidarietà degli scossi», un gesto semplice ma radicale: nel 2020, per contrastare l’incerto destino delle schede elettorali, l’opposizione bielorussa ha sviluppato un conteggio approssimativo dei voti che non andavano al regime, ovvero piegare a fisarmonica la carta delle schede elettorali. Gesto sottile e silenzioso di disobbedienza civile organizzata, che permette il contatto visivo con le schede anche dopo il deposito nelle urne. Da qui l’utilizzo dei fogli piegati e della scatola trasparente di Paperwork. Il video 100 days of protest è inserito poi non solo per le immagini di protesta, ma soprattutto per l’utilizzo che i manifestanti fanno del canto come strumento per esprimere collettivamente le proprie voci; l’artista lo utilizza evidenziandone l’aspetto emotivo di questo nuova collettività. Ma anche la dimensione di ricordo che contraddistingue tutto questo, evidenziata dall’utilizzo delle tende.
Si comprende ancora di più la forza di un lavoro che ricostruisce un paesaggio di memoria affettiva e politica, una narrazione che interseca fragilità e lotta in un momento storico segnato dalla repressione ma anche dalla forza di una comunità.
L’intervento di Nevzorova si pone in dialogo diretto con il lavoro che Margherita Moscardini ha sviluppato per lo spazio di Platea con la sua esposizione Super Super: la scultura-scala realizzata da Margherita rimane come una presenza costante nello spazio durante gli interventi degli artisti del programma Nine Out Of Ten Movie Stars Make Me Cry, favorendo una lettura stratificata di tutto il palinsesto. Attraverso questo confronto si pongono in dialettica le diverse visioni che si compongono nel corso dell’anno all’interno della vetrina. In questo senso, Paperwork si configura come un capitolo di una narrazione più ampia, che intreccia le voci degli artisti che dialogano con la scultura – scala. A sua volta questa continua a dialogare con la strada, essendo la scala un luogo in cui è possibile andare e vedere le installazioni, e la città, da un’altra prospettiva, rileggendo lo spazio di Platea e il suo spirito partecipativo, enfatizzando la relazione con la città per «celebrare il potenziale politico, poetico ed estetico della strada».
Il programma di Platea va da settembre 2025 a gennaio 2026, proseguirà con le mostre degli artisti Rebeca Pak (São Paulo, Brasile, 1992), Vashish Soobah (Catania, Italia, 1994) e Marvin Gabriele Nwachukwu (Milano, Italia, 1996). Nine Out Of Ten Movie Stars Make Me Cry prende il titolo da una canzone del 1972 del musicista e scrittore Caetano Veloso (1942, Bahia, Brasile), composta e registrata mentre si trovava in esilio a Londra durante la dittatura militare in Brasile, e si ispira al progetto di Lina Bo Bardi per la compagnia Teatro Oficina a San Paolo, Brasile, che abbatte ogni barriera tra la vita e la finzione scenica, aprendosi alla strada.