02 dicembre 2019

Le soglie incastonate nell’ombra di Giuseppe Uncini

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Opere storiche in dialogo con lo spazio, in cui materia e spirito, pieno e vuoto, presenza e assenza, sono le costanti di una formidabile ricerca artistica: ecco Giuseppe Uncini, alla Fondazione Marconi di Milano

giuseppe uncini
Giuseppe Uncini, Fondazione Marconi di Milano

La “Conquista dell’ombra” come il titolo della mostra personale di Giuseppe Uncini (1929-2008) alla Fondazione Marconi di Milano suggerisce, inscena il superamento dei limiti della materia, volta alla scarnificazione, riduzione a cemento, ferro, mattoni, dell’oggetto per dare forma alla loro essenza nella luce in relazione allo spazio.

La ricerca dell’ombra secondo Uncini

Trasuda di metafisica tensione la mostra dell’artista marchigiano, dedicata alla ricerca dell’ombra, con opere realizzate tra il 1968 e il 1977, in collaborazione con l’Archivio Uncini. L’ombra per Uncini è l’alfa e l’omega della sua rigorosa tensione per dare forma al vuoto e, non a caso, il punto di partenza del percorso espositivo incomincia con la Grande parete Studio Marconi MT 6, 1976, in cemento armato e laminato (268x140cm), creata appositamente per la galleria milanese, centro propulsivo delle avanguardie artistiche del secondo Novecento, dove l’artista ha esposto nel 1973,1976, 1980,1995 e 2015, incentrata sul disegno.

Questa è un opera emblematica, che rappresenta la svolta di Giuseppe Uncini nel passare dalla tensione costruttiva di oggetti alla “solidificazione” dell’ombra, dalla struttura reale con il suo peso specifico, alla sua smaterializzazione nell’ombra e nella luce. Sembra facile a dirsi, ma questa virata zen, in cui il vuoto è più importante del pieno, bisogna proprio vederla, “toccare” con gli occhi le sue opere per capire come si palesa. Da questa grande soglia al piano terra della Fondazione Marconi, fino all’ultimo piano è un crescendo di messa in luce dell’ombra come struttura, sostanza ed essenza al tempo stesso, attraverso le opere in dialogo con lo spazio, in cui le antinomie materia e spirito, pieno e vuoto, presenza e assenza, sono le costanti della sua ricerca artistica. Dopo il ciclo di opere nominate Terre (1956-57), tavole realizzate con tufi, sabbia, cenere e pigmenti colorati nell’ambito del movimento Informale, si dedica alla creazione del ciclo di sculture geometriche Cementarmati (1957-1958), realizzate con ferro e rete metallica e cemento, che lasciano intravedere la struttura portante del loro farsi, in contrasto con le superfici compatte ruvide del cemento.

La carriera di Giuseppe Uncini

La prima personale a Roma alla Galleria l’Attico (1961), dove espone la cosiddetta Giovane scuola romana, composta da Angeli, Festa, Lo Savio, Schifano e Uncini appunto, che dagli altri artisti si distingue con la serie di Ferrocementi (1962-1965), unico per la sua capacità di imprimere di poesia e impalpabile “levità” del cemento-armato. Nel 1966 alla XXIII Biennale di Venezia, espone Strutturespazio, opere che palesano già il suo interesse per l’ombra. La mostra raccoglie un corpus di opere che raccontano l’investigazione di Uncini delle proiezioni dei volumi, dalle prospettive inedite suggerite dalle ombre, come Sedia con ombra e Finestra con ombra (1968), Colonne con ombra (1969), Ombra di un cubo sospeso (1973, e Muro con ombra T.23 (1976). Dall’Archivio Uncini provengono le opere Mattoni con ombra n.12 (1969), Parete interrotta (1971), Ombra di due parallelepipedi T.1 (1972), Ombra di parallelepipedo M.29, Ombra di tre quadrati M.30 (1975), in mattone e cemento, che per qualche arcana “non ragione” evocano atmosfere enigmatiche di Giorgio de Chirico e Lo Savio. Concretizzando, strutturando l’ombra, trasfigurando forme euclidee, muri, colonne, archi, portali, moduli quasi incorporei, entità formali che sembrano pronte per essere fruite con la realtà aumentata, prendono corpo nelle proiezioni di luce estensioni prospettiche essenziali che ci fanno pensare a un aforisma scritto da Simone Weil: “Due cose sono irriducibili a ogni razionalismo: il tempo e la bellezza”, e osservando le sue opere che deformano volumi , in cui la protagonista è la linea d’ombra che si espande nello spazio restiamo in silenzio, ci sentiamo esploratori e disertori di “soglie” incastonate nell’ombra.

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