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Magazzino porta un’installazione di Maria Lai e Antonio Marras a New York
Arte contemporanea
di redazione
Dal 17 maggio al 28 luglio 2025, Magazzino Italian Art porterà per la prima volta negli Stati Uniti, a Cold Spring, New York, Llencols de aigua, un’installazione monumentale firmata da Antonio Marras e Maria Lai. L’opera accompagna la retrospettiva Maria Lai. A Journey to America, prima mostra monografica statunitense dedicata all’artista sarda, a cura di Paola Mura.
Realizzata nel 2003 ad Alghero e mai esposta fuori dall’Italia, Llencols de aigua – “lenzuola d’acqua” in catalano – è una tessitura poetica di stoffe, memorie e gesti cuciti. I lunghi teli bianchi, intrecciati con camicie da notte antiche e frasi raccolte da bambini durante un progetto didattico, si fanno archivio sensibile di un sapere collettivo, fragile e sommerso. L’opera, proveniente dalla collezione privata di Marras, troverà spazio nella sala isotropa del nuovo Robert Olnick Pavilion, progettata da Alberto Campo Baeza, un cubo aperto alla luce, che amplificherà la qualità immateriale e vibrante dell’installazione.
Antonio Marras e Maria Lai, un incontro iniziatico
«L’incontro con Maria Lai ha segnato il mio approccio con l’arte e non solo», così, come un incontro iniziatico, Marras, stilista e artista profondamente radicato nella cultura sarda, racconta il suo incontro con Lai: «Per me ha significato una vera e propria svolta. Maria mi è subito apparsa come una fata, un angelo creativo, una creatura venuta da un altro mondo, un’eterna bambina di 94 anni. Con lei ho avuto un rapporto speciale, una sintonia di interessi e di idee che continuano a vivere, immutati».
«Il legame tra Maria e me ha radici profonde: è stata proprio lei la prima persona ad aver visto e sostenuto i miei lavori», continua Marras, che è nato ad Alghero nel 1961. «Entrambi siamo accomunati dalla volontà di ridare vita a scarti e frammenti, di ridare nuovi significati a oggetti dismessi. La vedo davanti alla grande parete in cemento del mio studio, voleva lavorarci come a una tela. Aveva già realizzato dei bozzetti ma non era convinta. Fissava quello spazio completamente vuoto, in assoluto silenzio. Ricordo che, a un certo punto, la guardai, sembrava non vedermi e continuava ad osservare quel muro. “Non parla- disse sconfortata – il muro non parla. Non c’è niente da fare”. E poi finalmente il muro si decise».
«Nel 2003, ad Alghero, la grande installazione Llencols de algua. Lunghe lenzuola bianche cucite corrono lungo una grande parete. Sulle lenzuola sono attaccate a grandi punti rossi fatti a mano vecchie camicie da notte ricamate con le frasi recuperate da Maria in un lavoro con i bambini delle elementari, “Prima che la scuola li rovini”, come usava dire».

Il filo di Maria Lai, dall’Ogliastra agli Stati Uniti
«Maria Lai concepiva l’arte come un intreccio di molti fili: estetici, etici, narrativi e relazionali», afferma Paola Mura, direttrice artistica di Magazzino Italian Art. «Le sue collaborazioni con Antonio Marras, tra tessuto e memoria, rivelano non solo il suo impegno nel dialogo, ma anche la convinzione che la creazione sia un atto plurale. Attraverso questi incontri, l’arte diventava, per la Lai, non un oggetto finito, ma una conversazione in continuo divenire. Non collaborava per condividere la scena, ma per ampliare il palcoscenico. Con gli architetti costruiva spazi e memorie. Con i musicisti faceva cantare il filo. Con Antonio Marras, vestiva l’invisibile».
La mostra e l’installazione si inseriscono in un progetto più ampio di riscoperta internazionale di Maria Lai, figura chiave dell’arte italiana del secondo Novecento, spesso sfuggita alle classificazioni canoniche, con la sua ricerca che fondeva scrittura, tessitura e narrazione, intrecciando linguaggi artistici e saperi tradizionali.

Nata a Ulassai, nel 1919, in Ogliastra, Maria Lai studiò all’Accademia di Belle Arti di Venezia e a Roma. A partire dagli anni ’60 doveva abbandonare la pittura per avvicinarsi alla scultura e al libro cucito, trasformando il filo in medium espressivo e simbolico. La svolta arriva nel 1981 con Legarsi alla montagna, un’azione collettiva nel suo paese natale che coinvolge l’intera comunità: un’opera-manifesto sul potere dell’arte come legame. La sua pratica ha attraversato le principali rassegne italiane ed europee, anticipando molte delle istanze dell’arte partecipativa contemporanea.
Nel corso della sua vita, terminata il 16 aprile 2013, nella sua Sardegna, Mai Lai ha costantemente operato attraverso le varie discipline e in collaborazione con poeti, musicisti, architetti, designer e intere comunità. Tra i tanti progetti realizzati in collaborazione con artisti attivi in altri ambiti, si ricorda Per Ille, la performance musicale con Ille Strazza del 1984 a Roma, attualmente in mostra all’Istituto Italiano di Cultura di New York, sempre a cura di Paola Mura. E poi Frammento della casa della stazione, nel 1996, un progetto per la Biennale di Architettura di Venezia con l’architetto Giovanni Maciocco, fino alla scena d’artista per il Festival Internazionale Time in Jazz, ideato dal trombettista Paolo Fresu, nel 2002.
Llencols de aigua è stata esposta in Italia, oltre ad Alghero nel 2023, anno della sua realizzazione, alla Triennale di Milano nella mostra Nulla die sine linea (2016–17) e in Trama Doppia, Maria Lai e Antonio Marras nel Museo Nazionale di Matera, Palazzo Lanfranchi, in occasione di Matera Capitale Europea della Cultura (2019–20).
Il simposio a Magazzino
A coronamento dell’iniziativa, il 17 maggio Magazzino ospiterà un simposio interdisciplinare dedicato alla vita e all’opera dell’artista. Coordinato da Nicola Lucchi, l’evento vedrà alternarsi studiosi di rilievo – come Alessandro Giammei (Yale), Michele D’Aurizio (UC Berkeley), Saskia Verlaan (CUNY) – insieme a testimoni e artisti come Mila Dau, Marcello Maloberti, Melissa McGill e Martha Tuttle.
«Portare Llencols de aigua e la voce di Maria Lai in America – sottolinea Adam Sheffer, direttore di Magazzino – significa colmare una lacuna nella narrazione dell’arte italiana del dopoguerra. Lai è un anello mancante tra le poetiche dell’Arte Povera e le pratiche relazionali più radicali. Il nostro compito è far emergere la sua complessità e attualità».