20 novembre 2019

Quel certo numero di cose di Cesare Pietroiusti

di

Una mostra retrospettiva che abbraccia un periodo lungo quanto la vita dell'artista e che mette in scena la magica possibilità di trasformare “un certo numero di cose” in qualcosa d’altro. Al MAMbo di Bologna

Cesare Pietroiusti Partita a scacchi con papà Cortina d’Ampezzo (?), agosto 1963 Fotografia a colori, cm 8,9 x 13

Parlare e scrivere della mostra di Cesare Pietroiusti “Un certo numero di cose” in corso al MAMbo di Bologna (3 ottobre – 6 gennaio 2019, a cura di Lorenzo Balbi con l’assistenza curatoriale di Sabrina Samorì) non è davvero cosa semplice. Gira che ti rigira è cosa certa fare una frittata di riflessioni, conseguenza della pratica di pensiero che caratterizza tutto il lavoro dell’artista. Identica situazione deriva dall’osservazione e dalla lettura del libro che, con autonomia di risultato, accompagna la mostra mediante un sistema parallelo di narrazione (Un certo numero di cose, 1955 – 2019, edizioni Nero, Roma, 25,00 €). Ciò nonostante – o forse dovrebbe dirsi ancor più motivatamente – la scrivente conosca da molto l’artista e vi siano state occasioni di collaborazione. Ciò nonostante il ruolo di operatore culturale – certamente non marginale – che l’artista copre in questi anni a Roma. Ciò nonostante il ruolo attrattivo ed empatico che l’artista ha sviluppato e sviluppa su diverse generazioni di artisti e operatori culturali.

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Cesare Pietroiusti
Slow Food, 2005
Performance
Foto e still da video: Emilio Zanenga e Linda Fregni Nagler
Courtesy l’artista

Un allestimento in 64 + 1 tappe

Una prima considerazione di merito per questo progetto espositivo va rivolta a Lorenzo Balbi per aver pensato e curato la prima mostra antologica dedicata da un’istituzione a Cesare Pietroiusti, oggi 64 anni di vita di cui circa 42 di lavoro consapevole come artista visivo. Non solo per averla pensata ma anche realizzata grazie al sostegno del programma Italian Council alla sua IV edizione con un consistente contributo di 145mila euro a fronte del costo complessivo di 200mila (come volutamente esplicitato nel comunicato stampa dell’istituzione). La seconda nota al merito va rivolta all’allestimento della mostra: immersa in un’atmosfera quasi costante di bianco e nero, sostiene la nostra attenzione per almeno due ore, su immagini, oggetti ed opere di cui le didascalie (narrazioni – racconti) sono il fronte principale. Spazio, luce, ritmo oggettuale e della narrazione rendono attrattivo il tempo consumato dentro la storia di una vita raccontata in 64 + 1 tappe. Un allestimento in proprio che nel suo farsi e lasciarsi percorrere diventa opera. Ciò secondo una strategia di svolgimento/narrazione che è a sua volta un tipico esempio del lavoro di Cesare Pietroiusti. Nel concreto una auto-narrazione attraverso le opere prodotte dall’artista e mescolate ad oggetti (scacchi, cartoline, quaderni, fotografie, dischi, lettere …) suggestioni (pagine di diario, schizzi), episodi, azioni, comportamenti e ricordi riferiti alla propria vita, a partire dall’anno di nascita, il 1955. Una risposta autoriale, questa di Cesare Pietroiusti, a fronte di una richiesta complessa e forsanche imbarazzante: quella di una mostra retrospettiva.

In questa logica la mostra Un certo numero di cose (63 oggetti – anno con lunghe didascalie) diventa quindi un’opera nell’opera nella quale la memoria e la narrazione dell’artista ci accompagna passa passo sollecitando una sorta di voyeurismo partecipativo che passa dalle opere mai esposte alle immagini dell’artista bambino.

La quarta nota al merito va all’apertura della mostra con la sala delle opere che Pietroiusti, nel tempo, ha auto-censurato. Presentate al MAMbo per la prima volta, ci fanno entrare nella testa dell’artista per la porta di servizio, partecipi delle sue incertezze, ingenuità e gestualità rapsodiche. Siamo quindi partecipi di una fragilità che, se condivisa, diventa energia rassicurante, ingegnosa e sottile modalità per evidenziare un piano comune e paritetico che, in un gioco tra paradossi e contrari, nega e mantiene la distanza certificando il potere dell’autorialità.

Una parte della mostra, questa, che è a sua volta una retrospettiva dentro la più vasta retrospettiva il cui passaggio di connessione sta nell’opera – qui nuovamente porta di accesso – Bar di Radda in Chianti, 14 agosto 1988: la porta di un bagno che nel suo lato interno presenta, come spesso avviene, una sorta di diario/delirio collettivo che Pietroiusti nel 1988 riproduce e sovrappone anche al lato esterno della stessa porta. Porta sostituita a fine mostra con una nuova per il bar di Radda, porta acquistata dal gallerista Sergio Casoli, porta oggi in comodato presso il Mambo.

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Cesare Pietroiusti
Un certo numero di cose / A Certain Number of Things
Veduta di allestimento della mostra presso MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, 2019
Foto Giorgio Bianchi | Comune di Bologna

Una restrospettiva-opera che apre al dibattito

Al centro di tutta la mostra infine l’oggetto – anno 2019 destinato al Madre di Napoli: un ring aperto che è opera in fieri realizzata attraverso un laboratorio condotto da Pietroiusti con il MAMbo e il Grazer Kunstverein di Graz. Concretamente un lungo workshop che coinvolge studenti e giovani artisti, con l’obiettivo di riprodurre – secondo un processo di co-autorialità – gli oggetti esposti in forma fisica, performativa e narrativa.

Artista dalla pratica performativa e relazionale, Cesare Pietroiusti, che si è sempre mosso tra sperimentazione linguistica e riflessione concettuale, anche in questa esposizione che possiamo definire come una grande retrospettiva – opera 1955/2019 consolida il suo interesse per situazioni e oggetti apparentemente comuni, poco significativi o meritevoli di attenzione, spesso paradossali, sempre nella direttiva auto-certificata della sua formazione di medico psichiatra.

Per questo, ripartendo dalla frittata e pescando dalla stessa scrittura dell’artista ad introduzione del volume della mostra, rimane, fra le tante, una considerazione: siamo certi che questo cervellotico gioco di rimandi (decisamente carico di evocazioni letterarie e cinematografiche) fra testi e oggetti, fra materiale e immateriale, soddisfi in modo obliquo il narcisismo dell’artista in merito a ciò che ha detto e fatto. Ma siamo altrettanto certi che avvalori l’ipotesi che ci sia ancora molto da dire e da fare – a più mani – e che l’opera, anche a costo di perdere la sua distinguibilità, non sia confinata nel solo passato? Infine siamo certi che appartenga in particolare all’Artista la magica possibilità di trasformare le cose in qualcosa d’altro attraverso incontri e relazioni potenzialmente illimitati?

Penso che la migliore risposta possa essere quella, di volta in volta diversa, che deriva da una visita in prima persona alla mostra. Per questi e molti altri motivi Un certo numero di cose è un progetto significativo, un’operazione centrata, un’occasione di riflessione che certamente apre al dibattito.

 

Cesare Pietroiusti, Un certo numero di cose / A Certain Number of Things

A cura di Lorenzo Balbi con l’assistenza curatoriale di Sabrina Samorì

Istituzione Bologna Musei | MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna

4 ottobre 2019 – 6 gennaio 2020

 

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