08 dicembre 2020

Resistenza e rinascita: intervista a Virginia Zanetti

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In occasione della sua partecipazione alle commemorazioni per il XXX anniversario della Strage del Salvemini l'opera "I pilastri della Terra" di Virginia Zanetti entra a scuola, per riflettere su nuove costruzioni condivise

Virginia Zanetti, I Pilastri della Terra, opera permanente, per ITCS Salvemini, Casalecchio sul Reno, Bologna

Era il 6 dicembre del 1990 quando un velivolo militare in avaria precipitò sull’allora Istituto Tecnico Commerciale Gaetano Salvemini a Casalecchio di Reno (BO) causando 12 vittime e 80 feriti tra gli studenti.
Attraverso il ciclo di lavori I Pilastri della Terra (un video e due fotografie monumentali), Virginia Zanetti racconta una storia di resistenza e di rinascita che attraversa il tempo abbracciando più generazioni. Una delle due grandi opere fotografiche sarà installata in via permanente all’interno della scuola così da far incontrare in modo simbolico i giovani del 1944/1990/2020. L’altra verrà presentata in una mostra personale e donata al Museo della Resistenza di Bologna.

Ne I Pilastri della Terra – opera realizzata per il XXX anniversario della Strage del Salvemini – parli di resistenza e di rinascita: cosa significano per te questi termini e come vengono rappresentati nel tuo lavoro?
Il lavoro esplora questi concetti attraverso il cambiamento della prospettiva: le persone che si mettono insieme nella posizione della verticale – portando il peso del corpo sulle mani e alzando le gambe verso il cielo – sovvertono la forza di gravità, superando le leggi di causalità naturali, e ribaltano la postura naturale con un atto di volontà. Questo gesto assume così un importante valore simbolico, diviene un atto di sfida nei confronti della morte intesa anche in senso metaforico. Tutto il mio lavoro cerca di trasformare degli stati di crisi in visioni che ripensano il reale.

Virginia Zanetti, I Pilastri della Terra, scatto fotografico realizzato durante la performance collettiva, Calanchi di Sabbiuno, per Museo della Resistenza, Bologna

In quali altre parti del mondo hai realizzato questa performance collettiva e quali sono le differenze e/o le affinità più rilevanti che hai notato nella risposta del pubblico nei diversi luoghi?
Questo lavoro è iniziato in India e poi ha toccato moltissimi luoghi, spesso rurali e periferici, del mondo. Non è un caso che abbia iniziato il progetto in una nazione fortemente spirituale ma al contempo connotata da un veloce sviluppo capitalistico. L’azione oltre a porre la domanda invita ad immaginare come la rivoluzione di un singolo individuo, insieme agli altri, potrebbe concorrere alla trasformazione dell’intero pianeta; potenzialmente contiene molteplici significati anche opposti ed assume un senso diverso rispetto al luogo ed alla comunità coinvolta: talvolta prevale il senso di rivoluzione, altre volte di rinascita oppure di resistenza. Nel caso di Bologna, la performance fatta sui calanchi del Monte Sabbiuno, dove furono trucidati 100 partigiani dai nazifascisti, ha assunto un’accezione di resistenza all’atteggiamento dominante di chiusura: resistenza degli ideali partigiani di rispetto della dignità della vita e dei diritti umani fondamentali.

Il tuo lavoro rappresenta un modello di arte sociale, pubblica: cosa vuol dire per te lavorare a contatto e in collaborazione con le varie comunità? In che modo l’arte può avvicinarsi al territorio, esaltarne le peculiarità e lasciarvi un segno?
I Pilastri della Terra nasce da una visione condivisa con la comunità, visione che si esplica in un’azione collettiva per trovare poi compimento nella realizzazione di un’opera corale; è un progetto in divenire: le persone camminano verso un luogo significativo per la loro realtà e assumono la posizione della verticale. Tentano di trasformarsi in pilastri della terra, innescando assieme un processo di costruzione di nuovi punti di vista, nuovi pensieri da utilizzare per trasformare il presente e disegnare nuove vie.

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