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Una storica residenza nel cuore di L’Avana diventa centro d’arte contemporanea
Arte contemporanea
Il centro culturale Línea Centro de Arte nasce senza scopo di lucro per la promozione dell’arte contemporanea a L’Avana, Cuba. L’obiettivo della spazio è dare visibilità alla produzione artistica nazionale e internazionale per sensibilizzare la comunità locale e il pubblico estero. Il programma di esposizioni e di eventi si propone di far comunicare «Differenti punti di vista, estetiche, modalità di creazione e discipline».
L’idea nasceva nel 2014, quando l’artista cubano Wilfredo Prieto acquistò l’immobile storico. Costruito nel 1888, l’edificio è tra le prime costruzioni coloniali del Vedado, quartiere habanero a oggi giovane e in fervente sviluppo, che si trova tra il Centro de L’Avana e il quartiere Playa. Lo spazio prende il nome della via in cui si trova, calle Línea, al numero 508, tra la calle D e E, ma le persone che hanno contribuito alla sua nascita e che vi lavorano lo chiamano simpaticamente “casona”. Línea è riconosciuto come “Valor de Protección”, quindi bene da salvaguardare, nel Registro de Monumentos Nacionales dello Stato. Proprio per questa ragione, i permessi, i controlli ingegneristici e i seguenti lavori di restauro e rinnovo, sono durati ben nove anni.

Alla ricerca di chi avrebbe potuto seguire il progetto, Prieto incontra a una festa Fernando Martirena e Anadis Gonzáles. I due, ancora studenti, fingono di essere già laureati e pronti a sviluppare l’idea di rinnovo. Línea è stato il primo lavoro dei due che, a oggi, hanno il loro studio di architettura, infraestudio, sempre nel quartiere Vedado, a pochi metri dal mare. In una nazione come Cuba in cui «L’architettura è illegale», dice Fernando Martirena, così come avere una galleria d’arte commerciale o essere curatore, non è semplice poter lavorare come uno studio privato di architettura. La professione non viene riconosciuta e di conseguenza i progetti non possono essere firmati.

Chiaramente nella nazione esistono queste professioni poiché il governo le tollera, sebbene non siano considerate tali. Per lo Stato, formalmente, gli architetti privati risultano «Decoradores de fiestas» (decoratori di festa), come se addobbassero temporaneamente dei luoghi per matrimoni o feste di compleanno, anche se tutto ciò che hanno fatto finora, compreso questo progetto in stretta collaborazione con Prieto, sembra lasciare intendere esattamente il contrario.

Anticamente, l’edificio era una residenza signorile di campagna immersa nel verde. Dopo anni di disuso e abbandono, l’approccio di infraestudio all’architettura è stato un po’ come quello di Prieto all’arte: un intervento quasi invisibile ed estremamente rispettoso della storia del luogo, in cui il loro operato si è inserito magistralmente tra le crepe dell’antico.

Ci sono fratture e macchie di umidità, l’intonaco non è uniforme, come se Línea fosse una rovina. Invece no, lo spazio, adesso, si rivela un sito “archeologico” perfettamente tenuto, in cui si può vivere e creare. La pianta è simmetrica, con un’ampia sala iniziale che accompagna al corridoio principale, per accedere alle sei sale – quattro maggiori e due minori – speculari tra loro e comunicanti. In fondo si trovano, a destra, l’ufficio e i bagni, a sinistra, la biblioteca, composta interamente da libri donati. Le uniche costruzioni nuove sono il tetto in legno, le scale in cemento, volutamente grezze, che portano all’ampia terrazza, e un lucernario molto discreto che fa entrare la luce naturale nel cuore della struttura, altrimenti buio, senza attirare l’attenzione. Se ne vede la luce ma non l’apertura che la filtra.

L’architetto Martirena racconta come il più grande complimento ricevuto sia stato quello di un suo anziano professore universitario che all’inaugurazione gli ha detto: «Allora quando iniziano i lavori?».

L’Avana, come tutta Cuba, non è perfetta, anzi, è aggiustata, rattoppata, e la riparazione è ben visibile. La parte mancante dello stipite di una porta è stata aggiunta «Come una protesi senza chirurgia estetica». Lo spazio espositivo è così, come un volto anziano che mostra con fierezza la sua storia, senza il bisogno di mascherarla. In più di 100 anni di vissuto, le sue pareti hanno accumulato vari livelli di intonaco e gli architetti hanno giocato con questa stratificazione temporale: ogni stanza infatti possiede un colore differente a seconda di quanto hanno tolto e quanto hanno deciso di lasciare; le nuance sono disomogenee e si muovono sulla parete come paesaggi visti a volo d’uccello, però tutto è ben fissato con tecniche high-tech di mantenimento, che annullano la porosità della superficie.

In questo modo la visione è rilassata e non si deve scontrare con quel classico pensiero del “bello, ma era meglio prima”. L’architettura sparisce. Come un’opera d’arte concettuale la formalizzazione non dev’essere mai eccedente rispetto al pensiero che possiede. Il contenitore più grezzo conserva un contenuto lucido e ben rifinito. «La radicalità del progetto sta nel non fare».

Línea non è un luogo semplice. Sebbene fosse una casa, la costruzione suggerisce allo spettatore di entrare in un luogo di culto, come se fosse stata una chiesa con la navata principale e le cappelle laterali. Come in un gioco di specchi, le persone sono disorientate: non ricordano in quale stanza siano già stati. Proprio per questa ragione, è complesso per un artista inserirsi nello spazio ma Ariel Schlesinger ci è riuscito.

L’esposizione Mierda y Mariposas (Merda e Farfalle) di Schlesinger mostra la precarietà dell’esistenza ma, al tempo stesso, la sua instabile durevolezza. “Panta rei”, tutto scorre. Attribuita al filosofo greco Eraclito, questa frase si estrinseca in ciò che l’artista riesce a formalizzare con la sua opera: la fluida tensione tra forze opposte in mutamento. «È un ritratto della natura strano, inquietante e spesso in contraddizione con il mondo ecologico. Creazione e decadenza, vita e rovina annunciano la possibilità di non tornare allo stato naturale».

Così, una bicicletta emana due piccole fiamme dalle ruote da cui dovrebbe provenire l’aria che le gonfia e permette loro di andare, delle lattine sospese in orizzontale sulla parete emanano quella stessa piccola fiamma costante, invece un accendino non accende, ma vede la sua fiamma risucchiata e una forbice perde la sua funzione di tagliare, poiché le sono stati uniti i manici. L’umanità rischia di non poter tornare indietro.

Secondo la legge dell’entropia che misura il passaggio da uno stato all’altro, una volta che il tempo è lacerato, tutto porta alla distruzione per cui la metamorfosi non è più reversibile. In un mondo che sta tendendo sempre più al massimo stato di entropia, non resta che tentare di vedere il mondo un po’ come lo vedeva Fabrizio De André, quando scriveva: «Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori».
