28 agosto 2021

Ritornare, e rivedere, Parigi

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Prima puntata di un "diario" degli ultimi mesi nella Ville Lumiére, Parigi. Tra disordini e contestazioni, tra l'arte del recupero delle voci femminili dimenticate e di una "transizione ecologica" che non fa che aumentare il senso di straniamento in una delle grandi capitali d'Europa

Elliot Erwitt, Tour Eiffel, Paris, 1989, Magnum Photo

Una Parigi fortemente segnata dalle vicende della pandemia, lentamente si riapre ai visitatori, come da noi con cautela e qualche incongruenza nella gestione della sicurezza sanitaria pubblica, mentre viene percorsa da manifestazioni e disordini.
Si presenta però diversa dalla città cui siamo abituati. La vita solitamente frenetica, percorsa dalle infinite attività e strutturata sulle esigenze degli abitanti, ora appare rarefatta, svuotata tanto da spingere a chiedersi quale sia il ruolo e il peso effettivo di turisti e visitatori nella sua vita ordinaria. La scelta ecologista “estrema” della sindaca che nel frattempo nel centro ha drasticamente ridotto, più che dimezzando, la capacità di traffico automobilistico privato a favore di bici e pedoni, per il momento rende ancor più diradata la presenza sia di persone che di auto sulle grandi strade e boulevard ora incredibilmente deserti. È come se l’organizzazione della fruizione pubblica fosse sconvolta: di giorno un’atmosfera agostale e solo di sera la città si ripopola di una folla che brulica nei locali pubblici e sulle strade che un po’ dappertutto sono state occupate da pedane per sedie e tavolini di caffè e ristoranti.

Rendering della nuova Samaritaine

La città sembra tuttavia intenta a ripensarsi: alcune delle opere iniziate prima della pandemia sono quasi ultimate e molte parti di città risultano rinnovate e modificate; ad esempio la profonda ristrutturazione urbanistica e sociale del quartiere di Porte de Clichy contestuale al completamento della nuova cittadella giudiziaria intorno al palazzo di giustizia di Renzo Piano o la riqualificazione del complesso art nouveau/art déco degli edifici di La Samaritaine da tempo in disuso, con un progetto – direi ardito in questi tempi di crisi – che non fa rivivere solo l’antico “grande magazzino” La Samaritaine Pont-Neuf, ma prevede l’insediamento dell’hotel di lusso Maison Cheval Blanc, la nuova sede di Luis Vuitton, uffici e residenze pubbliche. L’attento e accurato progetto di restauro e ripristino è tuttavia segnato dal discusso intervento di sostituzione dell’edificio su rue de Rivoli, ora caratterizzato da una dirompente facciata continua ondulata in vetro – un’intercapedine almeno utile sia per la regolazione termica che per la resistenza al fuoco – ad opera dello studio giapponese SANAAA (gli autori della sede del Louvre-Lens Museum).
Comunque in generale ci si muove un po’ come in un grande cantiere, perché anche se non se ne parla si stanno attuando le opere e le misure di trasformazione urbana programmate per la prossime olimpiadi del 2024 – e Dio solo sa con quale tranquillità ora venga perseguita questa prospettiva – nel quale anche la gestione della cultura ha messo in programma numerose riconversioni e recuperi delle strutture esistenti. Tra queste sono in corso le opere, oltre che nel grande cantiere di Notre Dame, sul Grand Palais che ha interrotto le attività e sarà oggetto di una profonda riconversione, per il Centre Pompidou ancora in parte attivo che subirà un intervento di adeguamento tecnologico e messa in sicurezza, nel Théâtre des Vaudevilles, che già riconvertito negli anni ‘30 nel cinema Paramount Opéra è oggetto di riqualificazione per creare il centro Pathé Capucines comprendente un cinema a 7 sale, uffici per la futura sede di Pathé, su progetto di Renzo Piano come già per la sede della Fondation Jérôme Seydoux-Pathé.

Cantiere a Notre Dame

È ultimato invece il Museo Carnavalet, che ha riaperto dopo un restauro eccellente ad opera di Chatillon architectes con l’introduzione di elementi funzionali a creare un percorso “cronologico” di visita, quali le preziose scale su progetto dello studio Snøhetta, e in un riallestimento a dir poco intensivo. Anche l’Hôtel de la Marine, l’altro edificio monumentale che affiancato al gemello Hotel de Crillon affaccia su Place de la Concorde, dopo un lungo restauro a cura del Centre des Monuments Nationaux (CMN) ha riaperto al pubblico con l’importante obiettivo di ripristinare gli spazi dell’originale funzione di Garde-Meuble de la Couronne. E si è svolta finalmente dopo lunga attesa la travagliata inaugurazione dell’ambiziosa galleria della collezione Pinault realizzata nella Bourse de commerce restaurata da Antoine Gatier e rifunzionalizzata dall’impeccabile intervento di allestimento di Ando Tadao. Ad operazione conclusa c’è da ritenere che il rifiuto opposto a Pinault per costruire la sua galleria all’Ile Seguin, dove è stata realizzata invece la Seine Musicale, spostando la scelta su questo monumento prestigioso crocevia fra il Louvre e il Centre Pompidou abbia condotto a una soluzione che è per tutti tutt’altro che un ripiego.

Tadao Ando La Bourse de Commerce Collection Pinault Parigi

In questo quadro movimentato quanto perturbato non sembra cessato il fervore dell’elaborazione culturale che si è articolato in un insieme di ricerche, riflessioni e ripensamenti su diversi campi. Ad esempio sul tema del contrasto alla supremazia maschile nella storia dell’arte moderna intorno al quale hanno lavorato e si sono fatti condizionare nelle scelte, tre grandi mostre – singolarmente sono state già recensite nel giornale – che valutate nella loro contemporanea apparizione offrono un contributo di forte interesse per la definizione delle caratteristiche del processo di affrancamento del mondo artistico femminile dalla condizione di subalternità dall’800 ai nostri giorni.
Si comincia dal Musee du Luxembourg con la mostra “Peintres femmes 1780 – 1830”. Il senso della scelta delle opere è quello di far emergere come i moduli figurativi di quel periodo storico non sono stati realmente stravolti dalle turbolenze e dagli sconvolgimenti sociali e culturali e che tuttavia l’affermazione dei talenti artistici femminili, frutto del loro dirompente desiderio di rivalsa intrinseco alle istanze della rivoluzione, sia stata foriera di ispirazione e di un intenso scambio con la metà maschile dominante anche se successivamente è stata gradualmente negata pee ripristinare l’ordine gerarchico precedente.

Seconda tappa al Centre Pompidou con la mostra “Elles font l’abstraction“. Risultato della collaborazione con AWARE (Archives of Women Artists, Research and Exhibitions) questa “altra storia dell’astrazione nel XX secolo” – che si svolgerà poi al Guggenheim di Bilbao – espone circa 500 opere di oltre 200 artiste che hanno lavorato anche in discipline come danza, arti applicate, fotografia, cinema e performance art dall’America Latina, Medio Oriente, Asia, Europa e Stati Uniti.
Un’esposizione sterminata che suona come una provocazione che non può non suscitare disorientamento e senso di colpa nello spettatore medio soprattutto se maschio.
Viene presentato un numero incredibile di artiste poco note e ignorate dai più che a partire da un’incursione senza precedenti nel 19° secolo con la riscoperta del lavoro di Georgiana Houghton degli anni ‘60 pioniera nel disegnare opere astratte e complessi dipinti ad acquerello, che dichiarò essere ispirati dalle pratiche spiritualiste d’oltreoceano procede via via, fino a noi proponendo opere che si rivelano come una messe inesauribile di spunti, di invenzioni e di elaborazioni per lo sviluppo dei percorsi artistici della modernità di cui il mondo maschile si è appropriato, all’interno di strette relazioni amorose o amicali, di gruppi politici o di scuole e movimenti artistici. L’originalità delle artiste sovietiche, delle presenze femminili nelle invenzioni dadaiste e nel primo novecento britannico o nella rivoluzione del pop americano solo per citare qualche fase delle culture del novecento sono un patrimonio pervicacemente sottostimato e messo in sordina.

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