16 luglio 2023

Dance Me To The End Of Love, i molti volti della memoria al PAC di Milano

di

A Milano torna Performing PAC, che ricorda i 30 anni dalla strage di via Palestro, affiancando ai documenti d’archivio una riflessione sul tema della memoria, attraverso le opere di nove artisti

Douglas Gordon, K.364, 2011, Installation view, ph. Nico Covre, Vulcano Agency

La notte del 27 luglio del 1993 un attentato di stampo terroristico-mafioso distrusse il Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano, causando la morte di cinque persone. A trent’anni dalla strage di Via Palestro, il PAC ricostruisce un memento che non guarda solo alla propria storia ma invita i nove artisti ospitati a creare una narrazione che ruoti intorno al concetto di memoria, per un canto collettivo composto da una pluralità di voci diverse. L’edizione 2023 di PERFORMING PAC prende infatti il titolo da una canzone di Leonard Cohen, Dance Me To The End Of Love, ispirata alle testimonianze di alcuni sopravvissuti ai campi della morte, affidando all’arte il compito di non dimenticare.

Il comitato scientifico attinge quindi al proprio materiale d’archivio esponendo ritagli di giornale e riproponendo attraverso documenti, fotografie e l’opera Entre-Temps, la mostra ULTIME NOTIZIE. Christian Boltanski, curata da Jean-Hubert Martin al PAC nel 2005. Sempre di matrice archivistica è l’opera di Giulio Squillacciotti La Storia, in generale, una coreografia scandita dai movimenti dei dipendenti di tre istituti appartenenti al contesto manicomiale dell’area torinese: l’ex Regio Manicomio di Collegno, dove le opere d’arte dei pazienti venivano prodotte, il Museo di Antropologia di Torino dove vennero conservate e l’Archivio “Mai Visti e Altre Storie” che mette in dialogo l’arte considerata irregolare con il sistema artistico contemporaneo.

Giulio Squillacciotti, La Storia, in generale, 2017-2023, Still da video, Courtesy l’artista

Il percorso ha però inizio con Malka Germania di Yael Bartana, che accoglie il visitatore con uno schermo di grandi dimensioni, al cui centro campeggia un’algida figura androgina, un possibile Messia in sella a un asino che solca le strade di Berlino, città fulcro della memoria collettiva europea. L’elemento musicale ritorna anche in K.364 di Douglas Gordon, racconto in due parti dei musicisti Avri Levitan e Roi Shiloach, i quali ripercorrono a ritroso le orme dei genitori in fuga dalla Polonia occupata, concludendosi con l’esibizione dell’omonimo componimento di Mozart. Il viaggio non è qui solo quello dei protagonisti, ma anche quello del pubblico, invitato a orientarsi all’interno di un percorso tracciato dai video e da un gioco di specchi. La quarta sala rinfresca lo sguardo in questo periodo di canicola estiva, grazie alla duplice proiezione di un torrente.

Dopo un primo momento di sollievo però, si instaura un climax ascendente di angoscia, generato dalle grida che sovrastano anche il vorticante intensificarsi del rumore dell’acqua. Treno è infatti il canto funebre che l’artista Clemencia Echeverri affida alle sponde del fiume Cauca, per ricordare le persone scomparse nelle campagne colombiane in seguito al conflitto armato, i cui corpi sono stati gettati nel fiume.

Clemencia Echeverri, Treno, 2017, Still da video, Courtesy l’artista

Al di fuori delle sale, pensate per creare un’atmosfera più raccolta e cinematografica, vengono presentate come reliquie in una teca, Untitled e Souvenir di Milano, opere di Maurizio Cattelan del 1994. Il parterre fa da cornice alla performance e installazione Così lontano così vicino di Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrini, dove i reperti audio d’epoca che si fondono alle parole prodotte dallo scambio epistolare dei nonni di Mocellin, volano su un tappeto di trucioli di matita, simbolo della monotonia del tempo e collegamento con il lavoro di cancelleria a cui il nonno, deportato in Germania, era stato «adibito».

Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrini, Così lontano così vicino, 2003, Performance all’Ambasciata italiana di Berlino 2015, Courtesy Galleria Lia Rumma, Milano, Napoli

Al piano superiore, seguendo le briciole lasciate dall’inquadramento storico minuziosamente ricreato dai giornalisti Simona Zecchi e Marco Bova, si giunge al ritratto filmico del regista portoghese Miguel Gomes che con Redemption ricostruisce la storia di alcuni paesi europei tramite il montaggio di materiale d’archivio e nuove immagini. Nella galleria speculare, chiude la mostra Green, Green Grass of Home di Maja Bajevic, una ricostruzione virtuale di un luogo famigliare, intriso di aneddoti, a partire dai ricordi annidati nella mente. Creando con i propri passi le fondamenta della casa dei nonni a Sarajevo e innalzandone le mura con la propria voce, l’artista affronta e cura il senso di perdita e sradicamento dovuto all’allontanamento dalla propria patria a causa della guerra, ricordando a tutti come ogni individuo sia uno scrigno prezioso di memorie individuali e collettive. Al di fuori dello spazio espositivo infine, l’autopompa dei Vigili del Fuoco intervenuta in occasione dell’attentato, si presenta come un’amara “madeleine di Proust”, la cui vista riporta a quella notte di metà estate.

Miguel Gomes, Redemption, 2013, Still da video, Courtesy Okta Film

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui