11 febbraio 2022

10 milioni di posti di lavoro persi nella cultura: il rapporto UNESCO

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Nel recente rapporto UNESCO sulle industrie culturali e creative, è emerso che, nel 2020, sono stati persi in tutto il mondo circa 10 milioni di posti di lavoro: una situazione paradossale

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Circa dieci milioni di posti di lavoro sono stati persi nel settore delle industrie culturali in tutto il mondo, durante la pandemia di coronavirus, mentre altre migliaia rimangono in bilico. Queste e altre cifre tutt’altro che rassicuranti vengono snocciolate in “Re|shaping policies for creativity”, nuovo report dell’UNESCO che, pubblicato pochi giorni fa, delinea quella che viene definita senza mezzi termini come «Una crisi senza precedenti nel settore culturale». E l’emergenza sanitaria ha solamente scoperto le carte visto che, secondo quando emerge dal rapporto (e come del resto abbiamo avuto modo di mettere in evidenza ormai già diverso tempo fa, in un nostro sondaggio), i problemi sono stati esacerbati da anni di tagli della spesa pubblica nell’ambito.

«La rete di previdenza sociale per gli artisti in molti Paesi era già inadeguata, tuttavia la pandemia ha messo in luce quanto siano vulnerabili i lavoratori nei settori culturali e creativi», si legge nel rapporto, invita i governi a garantire una maggiore tutela del lavoro per l’industria creativa, comprendendo anche la definizione di un salario minimo per gli operatori culturali – come recentemente proposto in Irlanda – nonché migliori piani pensionistici e una retribuzione in caso di malattia per i liberi professionisti. «Anche nei Paesi con sistemi di previdenza sociale progettati per liberi professionisti o lavoratori autonomi (che costituiscono una parte importante della forza lavoro dell’economia creativa), una percentuale significativa di tali lavoratori era spesso non ammissibile», continuano nel report UNESCO sulle industrie culturali.

Secondo un altro rapporto UNESCO, pubblicato a giugno 2020, realizzato in collaborazione con l’ICOM – International Council of Museum sono state85mila le istituzioni culturali costrette a chiudere temporaneamente le porte nel 2020, circa il 90% dei musei in tutto il mondo. 1600 invece i musei internazionali (13%) che hanno dichiarato la chiusura definitiva, con il 20% dei lavoratori dei musei che ha già perso il posto di lavoro.

Il paradosso della crescita

Si tratta a tutti gli effetti di un paradosso, perché quello della cultura è una di quelle economie più avanzate e in crescita rapida, anche solo grazie alle enormi possibilità date dall’accesso digitale ai contenuti e ai prodotti. La domanda culturale è infatti aumentata esponenzialmente e l’impatto economico del settore, a livello globale, è pari al 3.1%, con il 6.2% di lavoratori sul totale di forza lavoro. Ma alla crescita della domanda non è corrisposta una bilanciata distribuzione delle opportunità di lavoro e della sua tutela. Il settore così è rimasto endemicamente vulnerabile, tra budget pubblici risicati e chiusura degli investitori privati. Nel 2020, secondo l’UNESCO, il valore lordo globale dell’industria creativa si è contratto di 750 miliardi di dollari, nonostante diversi programmi di sovvenzioni per artisti, lanciati dai governi nazionali e amministrazioni locali.

Nel rapporto, l’UNESCO raccomanda di intraprendere non solo una campagna di investimenti pubblici ma anche delle azioni specifiche per colmare le disparità di reddito che sussistono, per esempio, tra i servizi di streaming – sempre più ricchi e quotati – e i creativi che producono i contenuti digitali. Negli ultimi due anni, il processo di digitalizzazione è diventato sempre più «Centrale per la creazione, la produzione, la distribuzione e l’accesso alle espressioni culturali. Di conseguenza, le multinazionali dei servizi online hanno consolidato la loro posizione, facendo però diventare più evidenti le disuguaglianze nell’accesso a Internet», si afferma nel rapporto, aprendo dunque un’altra questione sulla reale accessibilità delle risorse culturali.

Qui è possibile leggere il rapporto completo.

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