23 dicembre 2022

Il magnate francese Bernard Arnault acquista l’antica Vigna di Leonardo a Milano

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L'uomo più ricco del mondo si fa un regalo storico: Bernard Arnault è il nuovo proprietario della Casa degli Atellani, dimora monumentale di Milano, con annessa vigna di Leonardo

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È da poco diventato l’uomo più ricco del mondo, con un patrimonio dichiarato di circa 186 miliardi di dollari, e per celebrare degnamente l’avvenimento ha deciso di farsi un bel regalo: Bernard Arnault ha comprato Casa degli Atellani a Milano, dimora storica situata in Corso Magenta, fatta edificare da Ludovico Maria Sforza, detto il Moro, sul finire del Quattrocento e restaurata nel 1922 da Piero Portaluppi, influente architetto e urbanista meneghino. A parte la magnificenza delle sale, comunque molto rimaneggiate dal restauro novecentesco, il tesoro è in giardino. Qui è stata infatti reimpiantata filologicamente, in collaborazione con l’Università degli studi di Milano, la cosiddetta Vigna di Leonardo da Vinci – del tipo Malvasia di Candia – che fu donata dal Duca di Milano al Genio del Rinascimento come ricompensa per le sue opere: una peculiarità di non poco conto, visto che Arnault, oltre a essere un collezionista d’arte e un mecenate, è il proprietario di LVMH, il conglomerato del lusso che, tra i propri marchi, oltre a Dior, Bulgari e Fendi, può annoverare anche i vini Moët & Chandon, Veuve Clicquot e Hennessy.

Dalle feste di Ludovico il Moro al rifacimento di Portaluppi

Ludovico il Moro, l’Arbitro d’Italia, protagonista della politica del Quattrocento e tra i fautori del Rinascimento milanese, acquistò la dimora nel 1490 dai Landi, conti di Piacenza, per donarla alla famiglia degli Atellani, suoi cortigiani. Qui furono organizzate feste, ricevimenti ed eventi entrati anche nelle cronache dell’epoca e nei quali si riunivano le personalità più in vista della corte sforzesca. Fu sempre il duca di Milano a regalare a Leonardo – impegnato nell’Ultima Cena nel refettorio di Santa Maria delle Grazie, lì a due passi – la vigna di circa 8mila metri quadrati, impiantata nei terreni retrostanti, ricostituita nel 2014 e inaugurata in occasione di Expo 2015.

Dopo vari movimenti di proprietà, dai conti Taverna ai Pianca, nella seconda decade del Novecento la Villa fu acquistata da Ettore Conti, politico e imprenditore che, in quel periodo, era anche presidente di Confindustria. Fu Conti ad affidare il restauro della dimora a Portaluppi, che aveva sposato la figlia di Conti e che, in linea con l’attitudine dell’epoca, giocò tra l’antico e le aggiunte moderne. La facciata fu completamente rifatta, andando a inglobare quattro medaglioni con scolpiti i ritratti degli Sforza, mentre della struttura originale rimangono le quattordici lunette affrescate con i busti della famiglia Sforza, ritenute opera del pittore leonardesco Bernardino Luini e ora nelle sale dei musei del Castello Sforzesco. Superstiti anche alcuni affreschi nel cortile quattrocentesco, il cui porticato presenta soffitti a ombrello a otto spicchi.

Quale destinazione per Casa degli Atellani?

Dai Conti ad Arnault, dunque, per una cifra non dichiarata ma per un passaggio che entrerà nella storia. Peraltro, nel 2013, Arnault aveva già acquisito un altro storico spazio milanese, la Pasticceria Cova di via Montenapoleone, una istituzione dolciaria della città, proprio affianco alla Scala.

Cosa farà Arnault della sua nuova proprietà? Non è stato ancora reso noto ma non è da escludere un utilizzo di “rappresentanza”. La Casa degli Atellani è stata già usata come set per eventi e sfilate da vari brand di moda, come Swarovski, Dolce & Gabbana e la stessa Dior. Prima dell’ultimo passaggio, la dimora era aperta al pubblico e disponibile anche per brevi soggiorni, chiaramente a un prezzo in linea con la nobile storia degli ambienti.

Suggestivo immaginare uno spazio espositivo per progetti di altissimo profilo che, a quel punto, potrebbero provare a fare “concorrenza” alle sedi a Palazzo Grassi e Punta della Dogana, a Venezia, della Fondazione dell’eterno rivale – rigorosamente nel campo dell’arte – François Pinault. Certo, due sedi sono meglio di una ma un vigneto leonardesco è qualcosa di unico.

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