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Il Tribunale Civile di Cagliari ha dichiarato Maria Sofia Pisu, nipote di Maria Lai, erede esclusiva dei diritti di autore su tutte le opere della grande artista sarda, inibendone qualunque utilizzo da parte della Fondazione Stazione dell’Arte, istituita nel 2004 dalla stessa Lai, insieme al Comune di Ulassai. Il Museo Stazione dell’Arte, un unicum nel panorama museale italiano, nacque da quell’accordo, simbolico e “anagrafico” per Maria Lai che, nel 1919, lì, nel piccolo comune in provincia di Nuoro circondato dai caratteristici “tacchi” calcarei, nacque, rimanendovi sempre legata.
Situato nei locali dell’ex stazione ferroviaria di Jerzu, finanziato dal Comune, con complessivi 2,4 milioni di euro, e dalla Regione, con 560mila euro, il Museo espone 50 tra le opere più significative dell’artista, donate quando era ancora in vita. Adesso, a seguito della sentenza del Tribunale di Cagliari, dei diritti di queste opere potrà disporre esclusivamente la nipote, erede universale, la professoressa Maria Sofia Pisu, che aveva costituito nel 2016 un Archivio delle opere di Maria Lai e nel 2018 una Fondazione Maria Lai.
Le tappe della querelle e il diritto d’autore
Nel marzo 2020, Pisu, come erede universale, reclamava la titolarità dei diritti di utilizzazione economica su tutte le opere realizzate da Maria Lai, comprese quelle donate dall’artista alla Fondazione Stazione dell’Arte, di cui due per gli spazi museali esterni, il Monumento a Gramsci (2007) e il Telaio del Vento (2007). L’istanza cautelare avanzata da Pisu riguardava anche la vendita dei libri attraverso il bookshop annesso al Museo, gestito fin dal 2006 dalla Fondazione Stazione dell’Arte in collaborazione con il Comune di Ulassai.
D’altra parte, lo statuto della Fondazione, stipulato dalla stessa artista, prevede che le opere donate facciano parte del patrimonio della Fondazione e che i proventi derivanti dall’utilizzo delle opere, come biglietti, libri, poster, siano considerati di proprietà della Fondazione e per la realizzazione degli scopi dello statuto, a sostegno della divulgazione dell’arte di Maria Lai.
Il giudice Bruno Malagoli del Tribunale di Cagliari ha dato ragione alla nipote, in virtù di una interpretazione letterale dell’art. 109 della legge sul diritto d’autore, per la quale «La cessione dell’opera non comporta, salvo patto contrario, la trasmissione dei diritti d’autore». In sostanza, secondo la sentenza, Maria Lai avrebbe inteso trasferire alla Fondazione la sola proprietà fisica delle opere, il cosiddetto “corpus machanicum”, non comprendendo i diritti di utilizzazione economica delle stesse, il “corpus misticum”.
Ma se «La cessione di uno o più esemplari dell’opera non importa, salvo patto contrario, la trasmissione dei diritti di utilizzazione, regolati da questa legge», pure la «Trasmissione dei diritti di utilizzazione deve essere provata per iscritto», si legge nell’art 110 della Legge del Diritto d’Autore, il che, secondo il reclamo avanzato dalla Fondazione e dal Comune e firmato dai legali Giacomo Bonelli, Massimo Lai, Omar Cesana e Francesca Milani, «Esclude la necessità di formule sacramentali, come invece si desume dall’ordinanza reclamata».

Le conseguenze possibili per il Museo Stazione dell’Arte
Le conseguenze di una simile sentenza sarebbero gravissime, pregiudicando la stessa esistenza della Fondazione: il Museo dedicato a Maria Lai dovrà essere chiuso, dal momento che l’esposizione delle opere donate e la vendita dei biglietti per accedere al Museo, proventi utilizzati per la sussistenza del Museo, costituiscono forme di utilizzazione economica delle opere. Uno smacco anche per il Comune di Ulassai, che nel corso degli anni ha sempre sostenuto economicamente le attività della Fondazione e del Museo.
E un danno per l’intera comunità di Ulassai, «con la quale Maria Lai costruì un unico, formidabile e generosissimo rapporto, simboleggiato dalla opera/performance collettiva Legarsi alla montagna», ricordano nel reclamo. E pensare che – come ricordava Davide Mariani, Direttore della Stazione dell’Arte, in questa nostra recente intervista – proprio nel 2021 ricorre il quarantennale della storica performance, svoltasi l’8 settembre 1981, caposaldo internazionalmente riconosciuto dell’Arte Relazionale.
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