16 maggio 2023

Roma, rivoluzione all’Accademia di San Luca: la parola al neopresidente Marco Tirelli

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Aria di cambiamenti all’Accademia Nazionale di San Luca, che vuole aprirsi al contemporaneo: ce ne parla il presidente Marco Tirelli, recentemente eletto, in questa intervista in esclusiva

Accademia Nazionale di San Luca, Pinacoteca. courtesy Accademia Nazionale di San Luca

Sono indiscussi il prestigio e il valore della storia dell’Accademia Nazionale di San Luca, ma è vero che nel sentire comune, a volte anche degli stessi artisti, essa è stata percepita come un’istituzione arroccata nel passato e dedita alla preservazione di sé stessa, una “corporazione” autoriferita ed estranea alle dinamiche attuali dell’arte. Ma l’aria è già cambiata. Come risulta evidente da questa intervista esclusiva che ci ha rilasciato il neopresidente Marco Tirelli.

Marco Tirelli, ph. Giovanni De Angelis

Sei ormai un esperto conoscitore della macchina culturale dell’Accademia di San Luca, di cui sei stato vicepresidente, prima di ricoprire, dal 1° gennaio, il ruolo di presidente. Insomma, hai di sicuro le idee ben chiare e sai dove mettere le mani. Da cosa comincerà la tua presidenza?                         

«L’Accademia deve tornare a essere la Casa degli artisti, perché è questa la sua naturale vocazione fin dalla sua fondazione. Inoltre, deve affermare la sua presenza nella costellazione dei centri più attivi e prestigiosi dell’arte contemporanea. Dunque, da un lato dobbiamo tornare all’idea di Accademia platonica come centro di scambio e costruzione di pensiero e di visione; un punto di incontro in cui gli artisti si identifichino, si ritrovino e possano scambiare ciò che sta loro più a cuore e, da artista, so quanto tutti noi sentiamo il bisogno di confrontarci, ricostruendo quel tessuto ideale e, perché no, utopistico che ci ha animati e motivati nel nostro percorso artistico.

Dall’altro lato, portando in Accademia e promuovendo i nomi più coraggiosi, problematici, autentici e trasversali della ricerca artistica e della critica, potremo riattivare il protagonismo della nostra istituzione. Questo è un processo lungo e complesso ma già avviato: la scorsa estate ho promosso una mostra di Grazia Toderi, attualmente è in corso una mostra di Giulio Paolini, curata da Antonella Soldaini, e sono già in calendario le mostre di Arcangelo Sassolino, Daniele Puppi e Remo Salvadori. In più, sto attivando un nuovo spazio per mostre dentro la nostra sede di Palazzo Carpegna; un bellissimo e grande spazio-laboratorio, un luogo atto, per esempio, a ospitare installazioni, la presentazione di una serie di opere particolari, performances, etc…».

Accademia Nazionale di San Luca, Palazzo Carpegna, courtesy Accademia Nazionale di San Luca

Sei stato l’ideatore del progetto di giornate di studio su Germano Celant. Come è nata questa idea e qual è l’aspetto o il dibattito emerso più interessante, a tuo avviso, sul grande critico?

«Sfogliando il libro del 2021 sulle mostre di Germano Celant, The story of (my) exhibitions, ho avuto definitivamente chiara la dimensione dell’attività di quest’uomo e il suo assoluto protagonismo nell’arte a lui contemporanea. Mi è apparso irrinunciabile che l’Accademia Nazionale di San Luca promuovesse un’iniziativa su Germano Celant e ho coinvolto lo Studio Celant, che ha raccolto subito questa sfida e ha preso in mano l’organizzazione di questi incontri tematici che si sono svolti in collaborazione con: Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Fondazione Giorgio Cini, Fondazione Prada, MAXXI-Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Museo d’Arte Contemporanea Donnaregina-Museo Madre e Triennale Milano.

Molte sono state le testimonianze sulla sua straordinaria attività e molti gli interrogativi emersi e ancora senza risposta sulle innumerevoli caratteristiche e sfaccettature di quest’uomo formidabile ma, soprattutto, si è resa evidente la luce che ancora oggi la sua figura continua a emanare sull’arte contemporanea e sul suo sistema».

Accademia Nazionale di San Luca, Giardino Interno, courtesy Accademia Nazionale di San Luca

Come si finanzia l’Accademia e qual è il suo budget annuale a disposizione?

«La nostra contabilità è di pubblico dominio. L’Accademia possiede un cospicuo patrimonio immobiliare, donato da artisti accademici e filantropi che si sono succeduti nei secoli. Il ricavo che deriva dal reddito di questi immobili consente la gestione delle spese: dipendenti, manutenzione, restauri, attività culturale. Questo è un aspetto molto importante perché, trattandosi di fondi propri dell’Accademia, permette una grande libertà operativa e indipendenza nella promozione delle attività culturali da noi organizzate e promosse, senza dover rispondere ad altri. Inoltre riceviamo, in piccola parte, finanziamenti dal Ministero della Cultura, dalla Regione Lazio e da privati».

Accademia Nazionale di San Luca, Galleria Gipsoteca, courtesy Accademia Nazionale di San Luca

È utile anche capire come funziona la governance dell’Accademia, la successione nelle cariche apicali, per assicurare parità di diritti e di rappresentatività tra le sue tre anime: quella degli architetti, dei pittori e degli scultori. Ce ne puoi parlare?

«L’Accademia è guidata dalla Presidenza che è costituita da un vice presidente, un presidente e un ex presidente, ciascuno appartenente a una tre delle classi in cui è suddivisa la nostra istituzione: pittori, scultori e architetti, che devono sempre essere rappresentati. Ognuna di queste cariche ha la durata di due anni, al termine dei quali avviene una rotazione.

In questo momento, per esempio, abbiamo un vicepresidente architetto, Francesco Cellini, ci sono io, pittore, come presidente, e Paolo Icaro, presidente uscente, scultore. Della Presidenza fanno parte anche il Segretario Generale, Claudio Strinati e l’Amministratore Pio Baldi. Vorrei anche sottolineare che le classi dei pittori, scultori e architetti sono composte da artisti italiani e stranieri di assoluto livello e che fanno parte del tessuto dell’Accademia anche “cultori” e “benemeriti”; critici, storici dell’arte e studiosi internazionali».

Su quali punti ci sarà continuità e su quali discontinuità rispetto alla gestione del tuo predecessore?

«Paolo Icaro è stato il mio predecessore e con lui totale intesa e armonia. E oggi, come ex presidente, Paolo continua a essere una grandissima ricchezza per l’Accademia. Un motore per riflessioni e nuove azioni sempre stimolanti».

L’Accademia di San Luca ha una storia lunga e gloriosa. Come intendi rafforzare e valorizzare la continuità tra storia e futuro? 

«La linfa vitale dell’Accademia sono gli artisti, lo sono oggi come lo erano a metà del Quattrocento, quando è stata fondata, e lo sono sempre stati. Come ho avuto modo di dire in altre occasioni, penso alla storia dell’arte come a un grande cristallo trasparente che muta la sua forma esterna nel tempo, espandendosi, ma che consente sempre di guardare al suo interno, al suo passato. Noi artisti siamo le infinite facce del cristallo, in una continua e cosciente relazione tra presente, passato e futuro. Occorre sicuramente rafforzare l’attenzione alla contemporaneità, agli artisti del presente, che animano il dibattito e ne orientano il senso, come già abbiamo iniziato a fare con una serie di mostre, incontri tematici e conferenze con uno sguardo interdisciplinare e sempre aperto ai molteplici aspetti del sapere contemporaneo.

Tutto ciò senza dimenticare i nostri pilastri, gli artisti del passato (ne siano una prova la mostra che stiamo dedicando a Canova e la prossima del pittore olandese Michiel Sweerts), dei quali l’Accademia conserva, tra l’altro, prestigiose opere, spesso oggetto di prestiti per importanti mostre internazionali nei più grandi musei del mondo.  Ma, soprattutto, l’Accademia deve ribadire il suo ruolo di laboratorio culturale, evidenziando come l’arte non sia estranea alle discipline della conoscenza, anzi come da esse tragga il proprio nutrimento, in una visone alta, disinteressata e orientata verso il futuro».

Accademia Nazionale di San Luca, Sala Paesaggi, courtesy Accademia Nazionale di San Luca

L’Accademia ha pagato negli scorsi anni il pregiudizio di essere un’istituzione sicuramente autorevole ma legata al passato. Il risultato è stato un allontanamento delle nuove generazioni di artisti. Come intendi intervenire su questo pregiudizio?

«Questa è l’idea che dobbiamo rompere, ed è in questa direzione che mi sto impegnando, promuovendo e sostenendo progetti che riportino l’Accademia a essere un punto di riferimento nel contesto del sistema dell’arte contemporanea e che rimettano in moto, nelle nuove generazioni, il desiderio di farne parte. In un sistema dell’arte sempre più irrigidito e predeterminato, abbiamo un potenziale incredibile: siamo un’associazione di artisti indipendenti e questo ci consente di poter decidere liberamente il nostro destino, i nostri obiettivi e la direzione per perseguirli.

In parallelo, dobbiamo superare dei problemi tecnici di Statuto che, attualmente, rendono difficili e macchinose le elezioni dei nuovi accademici, anche su questo tuttavia abbiamo già iniziato a lavorare con la Presidenza e tutto il Consiglio Accademico».

Come intendi valorizzare e arricchire la già straordinaria collezione d’arte?

«Questo è un tema sensibile. Negli spazi di Palazzo Carpegna, l’Accademia conserva una straordinaria collezione d’arte, dal XV secolo a oggi, che si è costituita attraverso le donazioni avvenute nei secoli da parte degli stessi artisti. Questa pratica è tutt’ora in uso, e noi accogliamo sempre molto volentieri donazioni tese a incrementare il valore e la rappresentatività della nostra collezione, salvo vaglio del Consiglio, che insindacabile ente, giudica sulla qualità e il valore delle opere che ci vengono offerte. Purtroppo, però, cominciamo ad avere seri problemi di spazio e per questo, prima ancora di una strategia ulteriore, occorre risolvere il problema pratico, trovando spazi consoni a ospitare e conservare adeguatamente una così ricca collezione».

Accademia Nazionale di San Luca, Salone Primo Piano, courtesy Accademia Nazionale di San Luca

Quali progetti intendi portare avanti sul fronte della biblioteca e della casa editrice dell’Accademia?

«Riguardo alla nostra casa editrice siamo sempre stati molto attivi e continueremo a esserlo senza nessuna riserva. Per quanto riguarda la nostra prestigiosa biblioteca e il nostro vastissimo e interessantissimo archivio, pur continuando a incrementarli e attualizzarli, stiamo andando incontro allo stesso problema di spazio cui accennavamo prima riguardo alla collezione.

In questo senso, sarebbe sicuramente auspicabile una collaborazione con enti esterni, affinché possano essere individuati ulteriori luoghi ove collocare adeguatamente la nostra biblioteca, i documenti e le collezioni. Parliamo di una quantità inverosimile di documenti di altissima qualità, che coprono un ampio arco temporale e che meriterebbero una fruibilità pubblica».

Che tipo di rapporto vuoi instaurare con la città e con le sue istituzioni pubbliche e private spesso isolate tra loro, con scarsa attitudine a fare rete e a collaborare insieme?

«Abbiamo già scambi costanti e accordi con molte istituzioni con le quali collaboriamo reciprocamente nell’ambito della programmazione culturale e stiamo intessendo ulteriori rapporti, proprio in un’ottica di rete, a partire dalle istituzioni romane a noi vicine per prossimità, come l’Istituto Nazionale per la Grafica e affinità, come l’Accademia di Belle Arti e tutti gli interlocutori culturali pubblici e privati del sistema dell’arte: dai Musei alle gallerie private, dall’Università agli Archivi, alle Fondazioni e agli Istituti culturali esteri. Approfitto per chiarire che il privato non dev’essere un tabù, purché tutto avvenga sotto la luce della qualità e del valore di ciò che si sta affrontando».

Quali sono le urgenze, a tuo parere, fondamentali per la ripartenza dell’intero settore dell’arte contemporanea?

«Mi fai una domanda per cui non basterebbe l’intera rivista per risponderti. Allo strapotere del mercato, il sistema dell’arte sta rispondendo in maniera opaca e ambigua. Dirò solo che ciò di cui avverto maggiormente la mancanza è l’autorevolezza della critica. In passato, personaggi, per esempio come Celant, avevano un ruolo di riconosciuta autorità, avevano il coraggio di schierarsi determinando campi magnetici diversi e, alle volte, anche contrapposti ma fortemente identitari.

Invece, in questo momento storico ho l’impressione che si stia verificando una sorta di entropia di energie per cui tutto tende a un’equivalenza valoriale tiepida e manieristica, fortemente disorientante. Quello che voglio dire è che la critica dovrebbe riguadagnare il suo valore arbitrale, uscendo da una dimensione troppo spesso giornalistica e di semplice presa d’atto di quanto avviene».

Da artista e da presidente di un’istituzione rappresentativa come l’Accademia, quali sarebbero le prime tre richieste di intervento che rivolgeresti al neoministro della Cultura?

«Non ti do tre risposte perché, anche in questo caso, sarebbero infiniti i punti di cui discutere. Una delle cose che temo di più è “l’indifferenziato”, ovvero quando tutto si equivale, perdendo di senso e diventando semplice forma, aspetto, apparenza. Credo dunque che sia particolarmente importante investire e intervenire nella formazione di uno spirito critico e nella capacità di relazionarsi con il nostro meraviglioso patrimonio culturale, materiale e immateriale.

Ho l’impressione che l’inseguimento di un pubblico a tutti i costi e dei grandi numeri di visitatori per musei, mostre e siti archeologici, vada nella direzione di un concetto di cultura svuotato di senso, una cultura da guardare e da fotografare come fosse un set cinematografico…ma non bastano gli occhi, bisogna preparare le menti e credo che la promozione e valorizzazione del nostro patrimonio debba partire da qui. In un processo che inizia dalla scuola in avanti a creare un “sentimento dell’arte”. Creare, in senso umanistico, persone prima che spettatori».

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