24 aprile 2020

Se si ammala l’elefante #3: vita e arte in India, durante e dopo il Covid-19

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Sette artisti raccontano la situazione sociale, economica e culturale dell'India ai tempi di Covid-19: oggi leggiamo Jitish Kallat, Dhruvi Acharya e Annu Palakunnathu Matthew

An Indian from India - Red/Brown courtesy Annu Palakunnathu Matthew and sepiaEYE
An Indian from India - Red/Brown courtesy Annu Palakunnathu Matthew and sepiaEYE

Exibart ha chiesto ad alcuni tra i più affermati artisti indiani che lavorano tra Mumbai (Druvy Acharya, Atul Dodhya, Archana Hande, Jitish Kallat) e New Delhi (Raqs Media Collective e Mithu Sen) e a un’artista che vive tra L’India e gli Stati Uniti (Annu Palakunnathu Matthew) di raccontare come stanno vivendo, dal punto di vista professionale e personale, questo momento così straordinario e drammatico, e in che modo pensano che il loro Paese potrà affrontare l’emergenza Covid-19. Qui potete leggere le altre puntate, di seguito le ultime interviste e la conclusione.

Vita e arte nell’India del Covid-19: la parola a Jitish Kallat, Dhruvi Acharya e Annu Palakunnathu Matthew

A Jitish Kallat – artista che indaga sul rapporto tra collettività ed individuo, presente anche lui alla Biennale di Venezia 2019 – abbiamo chiesto come pensa che la chiusura delle frontiere possa influire sullo sviluppo dell’arte indiana. E se, in generale, l’economia dell’India risentirà dell’isolamento a cui l’ha costretta questa situazione.

«La chiusura delle frontiere e le ansie sanitarie cambieranno il mondo per molto tempo a venire. Avevamo visto ondate di de-globalizzazione emergere con il crescere del nazionalismo e della xenofobia, ci mancava solo il Covid-19… In questo contesto la scena artistica e l’economia indiana soffriranno (e si trasformeranno anche) proprio come, immagino, in tutto il mondo.

Il distanziamento sociale, i divieti di viaggio e la cancellazione di mostre ed eventi sono diventate la nuova norma, è incredibile come una piccola entità microscopica abbia invaso il modello di vita della specie più dominante del pianeta. Probabilmente questo è un test per vedere se possiamo ricalibrare il nostro rapporto con l’ambiente. Forse una pandemia planetaria di questa portata ci costringe ad andare in isolamento per riflettere veramente sulla nostra interconnessione.

A proposito di chiusura delle frontiere io sono riuscito a rientrare appena in tempo dagli Stati Uniti, ero a Nashville dove, solo una settimana prima del global lockdown, è stata inaugurata al Frist Art Museum la mia mostra dal titolo Return to Sender. E, a dimostrazione del modo in cui questa pandemia ha rivoluzionato il nostro modo di vivere, nel giro di pochissimi giorni il museo – che naturalmente ha dovuto chiudere le sue porte ai visitatori – si è organizzato per mettere on line la mostra, ora visibile a tutti virtualmente»

Dhruvi Acharya si concentra sugli aspetti psicologici ed emotivi della vita della donna con uno stile sottile, talvolta cupo e spesso ironico, in questo periodo dalla sua quarantena sta esplorando nei sui dipinti l’impatto della pandemia sugli aspetti psicologici, sociali e fisici. A lei abbiamo chiesto come pensa che possa reagire ad un evento così straordinario il sistema dell’arte contemporanea.

«Una volta che ci saremo orientati in questa nuova, difficile situazione, penso che il mondo dell’arte si riunirà per raccogliere fondi per coloro che ne hanno bisogno.

Personalmente penso che il mondo dell’arte potrebbe beneficiare di questa situazione e rallentare un po’, così gli artisti possono avere più tempo per lavorare prima di esporre. Anche la vendita di opere d’arte ne risentirà sebbene, naturalmente, i ricchi potranno continuare ad acquistare il lavoro di artisti affermati.

Chi ne risentirà di più saranno soprattutto gli artisti che sono a metà della loro carriera e quelli che l’hanno appena iniziata. Il mondo dell’arte dovrà sostenere i giovani artisti più meritevoli sia economicamente, che con forniture di materiale, o spazi per lavorare. Inoltre, dal momento che gallerie e musei sono chiusi, le mostre online potrebbero diventare la nuova normalità, almeno fino a quando non avremo un vaccino. Rendendo le loro collezioni accessibili on line, il mondo dell’arte contemporanea ha l’opportunità di rendere l’arte alla portata di chi oggi la vive come inaccessibile. Io credo fermamente che l’arte abbia il potere di guarire i cuori e le menti».

Annu Palakunnathu Matthew usa le fotografie d’archivio come fonte di ispirazione per esaminare concetti di memoria e per riesaminare la storia individuale e collettiva. La sua famiglia vive in India e lei vive a lavora negli Usa. Quale pensi che sia la cifra più significativa che marca la differenza con cui i due Paesi affrontano questa situazione così difficile?

«A febbraio, sono tornata negli Stati Uniti dopo una borsa di studio Fulbright di sei mesi in India. Ero incredula che ci fossero così pochi casi di contagio segnalati in India. Soprattutto con la densità abitativa, il commercio e gli scambi con la Cina e l’Asia orientale, non aveva senso. L’India ha preso misure improvvise ed estreme, con poca pianificazione per le masse di svantaggiati.

Una volta rientrata negli Stati Uniti, ho avuto modo di constatare che qui la leadership non ha affrontato l’imminente pandemia e non ha fatto pressioni sulle precauzioni che avremmo potuto prendere per ridurne l’impatto. Mentre attraversavamo in auto il paese dalla costa orientale a quella occidentale, per finire in California, la crisi si è scatenata davanti ai nostri occhi, lasciandomi la sensazione che i passi che erano stati fatti fossero tardivi.

Ho parlato con i miei amici e familiari in India che sono disposti chiudersi in casa fino a quando questa pandemia passerà. Ma il fatto che loro ed io abbiamo la possibilità di farlo riflette una grande differenza di classe, perché molti dei poveri non hanno una casa e sono affamati. Le immagini nei media indiani sono strazianti e sembrano echeggiare quelle bibliche della carestia del Bengala del ‘43, o della Partizione del ‘47.

Nel mondo dell’arte le fiere sono state cancellate, i musei e le gallerie chiuse. Sono sicura che ci saranno grandi impatti economici se e quando riapriranno. Alcuni musei sono stati creativi nel coinvolgere il pubblico attraverso i loro archivi e i social media».

Come abbiamo detto all’inizio, quello che sta accadendo in India è la più imponente quarantena cui sia mai stato sottoposto un Paese nel mondo. Eppure le notizie che arrivano da noi sono poche e incomplete, ma è inimmaginabile che una situazione così straordinaria non travolga come un tsunami tutto quello che incontra: persone, economie, culture e, naturalmente, il mondo dell’arte. Non possiamo, quindi, non guardare con enorme preoccupazione, angoscia, ma anche interesse a tutto quello che accade nella seconda nazione più popolosa del mondo, un Paese di enorme complessità sociale, culturale, economica, come l’India.

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