06 maggio 2020

Storytelling al tempo della pandemia: prove e risultati

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Che cosa significa documentare? E cosa hanno scatenato il lockdown, la paura, l'incertezza nella composizione di storytelling? Resoconto di alcuni esempi tra Italia e Stati Uniti, a volo d'uccello tra cronache famigliari e visioni più poetiche

Brooklyn, aprile 2020, foto di Mila Tenaglia

Le mura sono diventate la nostra nuova fortezza, per alcuni rifugio ma anche barriera alla nostra quotidianità. Ci siamo adattati a qualcosa di inaspettato e l’arte si plasma per ri-adeguarsi, perché è questa la sua forza. Stiamo assistendo a un blocco drammatico del settore delle arti e della produzione cinematografica. Cosa sta accadendo al mondo della creatività dietro la camera?

Avvolti da una inevitabile foschia cognitiva ci siamo trovati a fare i conti con il proprio io. Un giorno in un frammento temporale non troppo definito, il mondo si è svegliato trovandosi in un ecosistema distopico. Non è nuovo, ma sicuramente è poliedrico. La storia ce lo insegna, si ripetono nei secoli gli errori e le atrocità, ma inevitabilmente questi si diversificano perché evolve l’essere umano e il mezzo tecnologico, nuove ragnatele conoscitive si diramano.

Le paure ancestrali rimangono dentro di noi fagocitate dal lato oscuro, le grandi calamità che hanno attraversato il passato venivano spesso considerate una punizione divina per i peccati dell’umanità o l’effetto di una congiunzione astrale, come la peste descritta nel Decamerone da Boccaccio.

Brooklyn, aprile 2020, foto di Mila Tenaglia
Brooklyn, aprile 2020, foto di Mila Tenaglia

Riflettersi per Riflettere: documentare al tempo del Covid-19

Ed ecco che, in assenza di delucidazioni scientifiche e complottismi da giustificare, per legittimare lo smarrimento si è creato quel processo inquisitorio dell’accusare, come avvenne per la caccia alle streghe, in questo caso all’untore, si è sentito il bisogno di un capro espiatorio. In questo oceano di dubbie certezze si è creata una rete digitale che si affaccia sulla nuova realtà dello storytelling, specialmente nel settore dei documentari e dei ritratti fotografici, come una finestra per guardare all’immobilità di quello che sta accadendo. Si documenta per non dimenticare, per dare forma ai ricordi, si scolpiscono emozioni per creare forme di memoria nella quale l’appropriazione delle immagini si riferisce a quella culturale del tempo in cui viviamo durante la quarantena.

Drammaticità, caos e informazione sono così diventati stimolo creativo per registi, producer e videomaker. Ognuno nella propria città e nel proprio confine domestico ha provato a raccontare cosa stesse accadendo al tempo del covid-19, riuscendo grazie al leitmotiv della tecnologia, a produrre storie e raccontare la realtà. Non bisogna necessariamente disporre di un drone, in tempi così basta anche un cellulare. Come scrive Donna Haraway in Chthulucene: sopravvivere su un pianeta infetto (Nero editions, 2019), “Cosa succede quando il genere umano, dopo aver irrimediabilmente alterato gli equilibri del pianeta Terra, smette di essere il centro del mondo? E nel pieno della crisi ecologica, che relazioni è possibile recuperare non solo tra individui umani, ma tra tutte le specie che il pianeta lo abitano?”

Stanchi della retorica dell’#andràtuttobene, del bombardamento mediatico in cui si decantano le mostre e le fiere da “visitare” , le letture da divano e i film da non perdere, questo storytelling emergente richiama un po’ il lavoro dell’etnografo che armato di macchina fotografica perlustrava il mondo setacciando e documentando comportamenti sociali, usi e costumi di una data cultura.

La pandemia ha aperto un vaso di pandora dove si sono sprigionate angosce, paure e dubbi ma che hanno costituito una base solida nell’ambito documentaristica combinando sapere scientifico con quello dello sguardo umano.

E così con i tasselli del tempo che si incastrano rigidi in questi mesi, il mondo è stato spettatore di una rapida e repentina produzione di documentari, in cui le combinazioni del racconto sono tante e variabili e il comune denominatore è un virus che non conosce caste e classi sociali perché aggredisce tutti. È come avere tra le mani il cubo di Rubik, dove storie multiple si intersecano e si è alla ricerca di una combinazione che è ancora difficile da trovare.

Coronavirus Pandemic

Mille e uno modi di documentare

Penso alla PBS, Public Broadcasting Service, Frontline, Discovery Channel che ha prodotto Pandemic: COVID-19, e COVID-19 – Battling The Devil – che hanno affrontato l’argomento dal punto di vista scientifico esaminando cosa succede quando negli States la politica e la scienza si scontrano; format più brevi dove l’umanità è al centro del racconto che rende la visione più scorrevole come Lockdown Diaries della BBC, o Message from Quarantine del New York Times, che hanno giocato sul fattore emozionale e architettonico delle strade vuote e dei balconi, degli sguardi e del silenzio raccontando un’Italia mai vista prima.

Non sono mancate in Italia le produzioni di gruppi di professionisti che hanno deciso di lanciare progetti documentativi attraverso le testimonianze dirette a medici, artisti e famiglie rinchiuse in casa, come il progetto Don’t panic we are Italian che nasce grazie al lavoro di Overclock crew con la voglia raccontare “come gli italiani abbiano saputo dimostrarsi ancora una volta capaci di rispondere all’emergenza con la voglia di rialzarsi mettendosi in gioco, insieme”.

E ancora la TRT World, canale di news turco, che ha pubblicato in questi giorni un ritratto intimo di cinque italiani sparsi per l’Italia che hanno raccontato la loro vita lavorativa e non. Sono tantissime le richieste da parte di enti europei, come City Europe Project e registi che invitano gli italiani all’estero a raccontare come stanno vivendo la quotidianità al tempo della pandemia.

È in un momento sui generis come questo che allora la creatività è di stimolo nell’elaborazione di immagini evocative per farci sentire meno soli anche quando c’è un oceano o un continente che ci separa dalla nostra terra che sta soffrendo. Riflettersi per riflettere e forse chiudere gli occhi e respirare.

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