15 dicembre 2021

Il David di Michelangelo ci parla e impara, grazie a un chatbot

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Sul sito della Galleria dell’Accademia di Firenze, un chatbot ci fa parlare con il David di Michelangelo, che racconta la sua storia e impara dalle nostre domande

La leggenda narra che quando Michelangelo Buonarroti terminò il suo colossale e terribile Mosè, realizzato per la tomba di Giulio II in San Pietro in Vincoli, gli sembrò così vivido al punto da rivolgergli la parola. Dopo averlo colpito sul possente ginocchio di marmo, il creatore domandò alla sua creatura: «Perché non parli?». Si tratta di un aneddoto senza alcuna veridicità storica ma verosimile, considerando il carattere burrascoso di Michelangelo, eppure chi l’avrebbe detto che, più di 500 anni dopo, sarebbe diventato un po’ reale? E così, a parlare con noi, a rispondere ai nostri quesiti – magari meno esistenziali – è il David delle Gallerie dell’Accademia di Firenze che, in effetti, tecnicamente, non parla con noi, piuttosto chatta, visti i tempi.

Sul sito della Galleria dell’Accademia il David di Michelangelo prende voce grazie a un chatbot, un software automatizzato in grado di interagire con gli utenti. Sviluppato a partire da un’idea di Cecilie Hollberg, direttrice della Galleria dell’Accademia di Firenze, con il sostegno dell’Associazione degli Amici della Galleria dell’Accademia di Firenze, il chatbot del David è stato sviluppato da Querlo, società di New York specializzata nella produzione di applicazioni tecnologiche tramite l’intelligenza artificiale. L’opera iconica, canone di bellezza maschile, emblema del Rinascimento, simbolo di Firenze e della fu Repubblica Fiorentina, originariamente collocata in Piazza della Signoria, si racconta, divulgando informazioni di tipo storico, artistico, religioso ma anche con aneddoti e curiosità.

E non solo racconta ma impara anche. Lo sviluppo del David chatbot avviene attraverso il sistema del Deep Learning, che prevede un accrescimento progressivo delle sue capacità di comprensione e di risposta, seguendo le richieste poste dagli utenti. Insomma, il fatto che adesso si presenti come “David” pronunciato all’inglese (à la Beckham, per intenderci) potrebbe essere solo una di quelle vanitose intemperanze dovute alla giovinezza.

Sviste fonetiche a parte, i contenuti sono precisi: per la loro produzione la Galleria dell’Accademia ha collaborato con l’Accademia di Belle Arti di Firenze, coinvolgendo, sia nella fase di elaborazione che di test, un gruppo di studenti del corso di Didattica per i musei, seguiti dalla professoressa Federica Chezzi, oltre che numerosi studenti di altre università e nazionalità, a cui è stato chiesto di immaginare cosa potrebbe chiedere un turista al David.

«L’idea del chatbot nasce dalla volontà di portare questo Museo nella modernità e per essere aggiornati bisogna rivolgersi ai giovani, come gli studenti universitari italiani e non, coinvolti nel progetto, che con la freschezza del loro approccio, dettato da uno spirito libero, sono in grado di comunicare la curiosità verso un’opera d’arte, quindi rendere l’emozione che si prova davanti al David per scoprire cosa realmente rappresenta», ha spiegato Cecilie Hollberg. «Questa esperienza con l’intelligenza artificiale può essere considerata un primo approccio oltre che un modo giocoso per attirare l’attenzione di chi non è solito avvicinarsi all’arte».

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