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FIC, la danza contemporanea si diffonde a Catania: gli spettacoli del festival
Danza
È un vasto contenitore di energia creativa esteso nel tessuto urbano. È un pulsare di connessioni e contaminazioni artistiche, di intrecci umani dialoganti, di linguaggi multidisciplinari e visionari all’insegna della contemporaneità e di una sconfinante “cultura performativa”. In una frase: un Focolaio di Infezione Creativa, che è anche il titolo del festival catanese, sintetizzato nella parola FIC – Catania Contemporanea. Giunto alla sesta edizione, promosso da Scenario Pubblico e dalla direzione artistica del coreografo Roberto Zappalà, il festival coinvolge diversi spazi cittadini, luoghi simbolici e culturali della città, fra cui Isola, Palazzo Biscari, la Fondazione Brodbeck, il Teatro Massimo Bellini, il CUT Centro Universitario Teatrale, oltre a Scenario Pubblico, luogo deputato degli eventi principali e sede della Compagnia Zappalà Danza.
L’apertura del festival, dopo la Love Parade di Ocram Dance Movement lungo il centro storico di via Etnea, ha avuto nella vasta, barocca Piazza Dante, davanti all’imponente facciata di San Nicolò l’Arena, un’anteprima site specific di Aspettando il Fuji, il nuovo lavoro di Zappalà il cui debutto è previsto a ottobre a Modena. Abbiamo seguito lo sharing della coppia di coreografi Guy Nader e Maria Campos, e quello di Vincenzo de Rosa, con un gruppo di 30 giovanissimi danzatori del workshop internazionale, selezionati tra 700 candidature, impegnati nello studio del repertorio di importanti coreografi.
Molti gli artisti coinvolti nel ricco programma del FIC, dal 29 aprile all’11 maggio. Di bel segno coreografico che fa del corpo un pulsare di emozioni, è la singola performance di due giovani danzatrici e coreografe: Camilla Montesi e Lunella Cherchi. La napoletana Cherchi, col suo assolo Tavolo 19, mette in scena una donna-marionetta che rivive un suo passato intimo, suggerito da iniziali proiezioni video di scene (vere) di famiglia, prima davanti a un catino illuminato da dentro e dal quale estrae un abito rosso col quale si veste; poi, mutata in una bianca sottoveste, dando vita a una danza vibratile accompagnata da espressioni facciali su un vociare di sottofondo; per finire, in una ritrovata dimensione bambina, con un movimento da carillon e lentamente svanire nel buio.

Con Caronte, ispirandosi alla figura mitologica, Camilla Montesi, artista residente a Scenario Pubblico, decostruisce l’immaginario dell’inferno come luogo ultraterreno da traghettare, utilizzando una colorata vaschetta gonfiabile dalla quale estrae un casco nero – indossandolo quale «Strumento d’accesso al superamento di un confine» -, per avventurarsi in un viaggio silenzioso da guardiano della mente. Percorre la scena dapprima di spalle, silenziosa, con scatti veloci e frenati, quindi, sulla musica di Michele Uccheddu, con un attraversamento intervallato da buio e luce, mutando posizionamenti e posture, e un fervore performativo trasmigrante che si chiude, smesso il casco, nell’adagiarsi quieta.
Tra i giovani talentuosi coreografi la cui cifra qualitativa è sempre più riconoscibile, c’è Roberto Tedesco, col suo affermato spettacolo Decisione consapevole. Dentro un rettangolo luminoso, quattro eccellenti danzatori – due donne e due uomini -, dalle diverse personalità e stili, intrecciano con gesti, movimenti astratti e posture, impulsi minimali e ritmi turbinosi, un racconto di relazioni umane attivate – sulla musica elaborata dallo stesso coreografo, rimestando elettronica, Bach e techno – da quattro parole chiave: isolamento, intimità, comunicazione, comunità.

Originalissima la versione de Le sacre du printemps della compagnia Dewey Dell (Premio Danza&Danza migliore produzione italiana 2023) che, sull’incalzante partitura di Igor Stravinskij, apre a un immaginario primordiale dando vita a diverse forme antropomorfiche attraverso la mutazione di maschere e costumi che celano i corpi e modificano la percezione visiva. Una metamorfosi animale, vegetale e umana, che diventa movimento rigenerativo, rito di passaggio, di morte e vita insieme.

Finché ci trema il cuore di Michael Incarbone è un duetto pulsante e sospeso, intimo e spaziale, sulle musiche originali di Filippo Lilli. Si muovono sulla soglia labile di un orizzonte di luce e ombra le due bravissime danzatrici Erica Bravini e Marina Bertoni, nella linea indefinita di un confine tremulo che cambia e si sposta con il loro fremere dei corpi, tra sospensione e dinamismo, tra distanza e svelamento, segnato da due aste tenute in mano delimitanti traiettorie ed equilibri.

Marco Di Nardo e Juan Tirado, danzatori e coreografi italo-spagnoli della Frantics Dance Company con sede in Germania, nel loro duetto Ordinary people, rivelano un background influenzato da breakdance, b-boying, arti marziali e danza contemporanea. Una fusione che si traduce in una coreografia potente in cui l’energia d’acciaio della coppia esprime uno sdoppiamento generato dalla mente dei singoli, del mondo complesso dell’inconscio che affiora e li anima. La musicalità che i corpi sprigionano, inizialmente sempre di schiena, speculari o spaiati, battaglieri o in osmosi, di rigoroso controllo e precisione nei continui movimenti teneri o combattivi, si evolve e si trasforma con forza poetica, manifestando nell’abbraccio finale il bisogno d’amore e di essere riamati.

Rende omaggio a Ezio Bosso, alla sua musica e alla persona, la bellissima coreografia Un amico di Virgilio Sieni, sul grande palcoscenico del Teatro Massimo Bellini a chiusura del Festival l’11 maggio. Sulle note della Sonata The Roots (2014) dedicata dal compositore all’amico violoncellista Mario Brunello – dal vivo insieme alla pianista Maria Semeraro -, e sulle tracce musicali di altri compositori – Pärt, Bach, Messiaen, Cage – un quintetto di danzatori, come onde molecolari che si creano, si dissolvono e si riproducono, danno forma e vigore, luce e colore, al potenziale espressivo delle note, inanellandole di immagini.
