25 ottobre 2019

La “Preghiera Profana” di Koltés debutta a Milano

di

Al Festival MilanOltre e alla Nid Platform di Reggio Emilia le suggestioni del monologo La notte poco prima della foresta di B. M. Koltés, tradotto in danza da Susanna Beltrami

ballade Photo_Augusto e Mirella De Bernardis
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Fluviale, come lo è il testo. Lirico come lo è la prosa. Divagante come lo è l’interminabile frase senza punti fermi dello scritto. Nello spettacolo Ballade / Preghiera profana di Susanna Beltrami (debutto al festival MilanOltre e alla Nid Platform di Reggio Emilia) ritroviamo queste e molte altre suggestioni de La notte poco prima della foresta di B. M. Koltés, il lungo, vertiginoso, potente, disperato monologo del 1977 dello scrittore francese – prematuramente scomparso a quarant’anni – al quale la coreografa milanese si è ispirata traducendolo in danza.

Ritroviamo tutta l’atmosfera del racconto di uno straniero alla deriva in una notte di pioggia battente, che abborda con pretesti confusi un ragazzo all’angolo di una strada chiedendogli una camera da dividere per la notte. È, il protagonista, una figura in preda a visioni e incubi, una sorta di vagabondo intellettuale che procede per rabbie e tormenti, che vive mondi notturni e disagiati, facendo i conti con uno status di esule, di migrante, di forestiero o di alieno che altro non può che rifugiarsi nella foresta che lambisce la città. Nel cercare un ormeggio impossibile ciò che lo muove è la ricerca di un luogo dove stare, dove poter essere: un luogo che si rivela sempre altrove.

“Dove si va? Dove si va adesso? …Ma la luce dov’è? Pioverà, pioverà, pioverà!” ripete continuamente in preda all’agitazione, stanco di scappare, di rincorrere. Stanco della solitudine in cui vive. La struggente ossessione del personaggio esiliato e sradicato che, sulla scena, si agita, si arrabbia, piange, ricorda, sta zitto, è restituita dalla voce sincopata del vocalist Claudio Santarelli che recita alcuni passaggi rappresentativi del monologo originale anche a mo’ di rap. Nerovestito, felpa e occhiali scuri, la sua presenza è in fondo alla scena, poi spostata in avanti, quindi in mezzo ai danzatori, forza energica dello spettacolo.

ballade Photo_Augusto e Mirella De Bernardis
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Quei tredici uomini, animali notturni, formano una massa potente che si muove ora compatta ora smembrata, sgretolata, strisciante a terra o carponi; un insieme che fluttua in uno spazio nebbioso e in costante penombra, diviso in due gruppi in lotta, che circospetti e nella foga di slanci e spinte, in prese di complicità, si bloccano e si sollevano tracciando linee con le braccia sempre in assalto, prima raggruppati in file laterali e frontali; poi distaccando assoli e duetti di vertiginosa vicinanza. Come quello che vede muoversi due danzatori – atletici ed espressivi, nel dinamico gioco gestuale, Giovanni Leone e Cristian Cucco – calzando e sfilandosi dalla stessa maglietta che li tiene uniti, svincolandosi e attraendosi con violenza e tenerezza, in un continuo bisogno l’uno dell’altro: raffigurazione eloquente di quel bisogno di contatto, inteso come incontro e come tentativo di costruire una relazione di comprensione reciproca, di qualcuno che ascolti la propria storia e accolga il disperato desiderio di amore. Lo stesso che anima due che si scoprono uguali e fratelli, annusandosi, intrecciandosi, giungendo poi a uccidere come altri Caino e Abele.

ballade Photo_Augusto e Mirella De Bernardis
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È, l’insieme, un clan di corpi, di posture, e di facce che disegnano gli schemi della società, le mappe del disagio di una condizione umana attualissima. Beltrami procede per quadri (e forse gioverebbero una maggior sintesi drammaturgica e qualche taglio, per evitare più finali e non disperdere la tensione anche visiva). La pioggia incessante presente nel testo qui è resa da una “meteorologia” mentale e dei corpi che ne fanno un rituale urbano, poi tribale, e purificatore, accompagnandolo con elementi scenici quali una lunga catena, dei corpetti specchianti a forma di esagono, dei catini pieni d’acqua accompagnati da spugne per lavacri espiatori, con i performer prima in pantaloni e t-shirt grigie, poi mutando fogge e colore dei costumi, indossando copricapo e dei lunghi guanti neri. Sono elementi che, insieme ad altre sequenze, rimandano a segni disseminati lungo il testo che la Beltrami scandaglia con acutezza e che, chi lo conosce bene, ritroverà in pieno. Nello spettacolo respirerà soprattutto l’atmosfera, la scrittura jazzata di Koltès, il suo blues disperato, grazie alla musica live del pianista Cesare Picco, autore di un’originale partitura che unisce alle note pianistiche un sound elettronico e di dissonanze. E il rumore della pioggia sancirà il finale con il protagonista nudo in penombra con, in mano, un martello col quale romperà l’incubo dopo una danza a terra attorno a lui.

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