06 ottobre 2021

Rifare Bach. L’ecologia dei suoni e dei corpi nella danza di Zappalà

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In “Rifare Bach”, sulle musiche del grande compositore, il coreografo catanese Roberto Zappalà crea un mondo di animali in un Eden senza tempo

bach zappalà
Rifare Bach, ph. Salvatore Pastore

Godere di Bach, della sua musica attraverso la danza. Godere di Bach, per elevare un inno alla bellezza. Della natura, del creato, dell’uomo. Godere di Bach, per ascoltare il silenzio e poter sentire altri suoni, percepire altri mondi, respirare altra poesia. E come quando si vuole ascoltare una sua toccata o una fuga o una passacaglia non bisogna far altro che entrare silenziosi e lasciarsi prendere per mano, così anche per lo spettacolo Rifare Bach, della Compagnia Zappalà Danza, non serve altro che abbandonarsi al piacere della pura danza.

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Rifare Bach, ph. Salvatore Pastore

Del compositore tedesco, dichiaratamente prediletto, il coreografo Roberto Zappalà ha utilizzato molte musiche per le sue creazioni. Quest’ultima, fresca di debutto al Campania Teatro Festival, e successivamente a MilanOltre, la interpretiamo come una dichiarazione d’amore, un ritornare ancora una volta alla sua musica cristallina e concreta, fonte inesauribile d’ispirazione, nella quale Zappalà identifica la propria estetica, quel linguaggio di danza pura che lo caratterizza. Il tappeto sonoro sul quale l’artista catanese incastona la scrittura coreografica dello spettacolo, spazia dalle Variazioni Goldberg alla Toccata e fuga in re minore per organo, dal Concerto per violino in La minore all’Aria sulla quarta corda, dalla Cantata n° 29 alla Messa in si minore Crocifixus. Altri brani ancora, alcuni dei quali remixati con interventi elettronici, aggiungono lievi contaminazioni all’architettura musicale e alla densità ritmica dello spettacolo.

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Per Zappalà la perfezione di Bach si accompagna a quella del corpo. Che la danza esalta. Rifare Bach reca il sottotitolo La naturale bellezza del creato. Ed è dentro una natura incontaminata che siamo subito immersi udendo, tra la fitta nebbia che si dirada avvolgendo il palcoscenico, prima l’ululato di un lupo, poi cinguettii di uccelli, fruscii di volatili; in altri momenti, tra una sequenza e un’altra, lo scalpitio di un cavallo, il canto della balena, il bubolare di un gufo, il ronzio di api e ulteriori versi e suoni di una variegata fauna che percepiamo riflessa nelle intriganti posture e nei movimenti dei dieci danzatori dai vellutati costumi colorati (di Veronica Cornacchini) e gli occhi intensamente truccati.

Quelle mani a ventaglio, sfarfallanti sopra la testa e in avanti, che sono sporgenze, becchi e piume; quelle braccia aperte in tutte le direzioni, che si elevano e strisciano su tutto il corpo; quelle gambe piegate, molleggiate, ritte in tensione; quei busti inarcati e roteanti; quei visi che guardano oltre, in alto, in basso, che aprono la bocca, fanno versi e sgranano gli occhi; quei piedi che sono zampe da flettere, da intrecciare, da sollevare; queste e altre pose in movimento, sensuali e istintive, energiche e calme, non vogliono illustrare nessuna specie d’animali. Sono la ri-creazione immaginaria di una sorta di Eden primordiale, di un’Arca di Noè prima del diluvio, di una terra sospesa ancora da esplorare.

Rifare Bach, ph. Salvatore Pastore

Come lo è, sospesa, per tutto il tempo della performance, quella evanescente e compatta nube bianca, forse uno strato di superfice sotto il quale vive quel brulicante mondo animale tra luci cangianti. Zappalà inventa un luogo astratto, un giardino idilliaco, uno spazio inviolato, circondato da quinte trasparenti dalle quali s’intravedono i danzatori muoversi o sostare, per poi uscire saltellando, scrutare il territorio, formare il gruppo, girare compatti, distaccarsi per vibrare in assoli, duetti, terzetti e ritornare sempre nella schiera. Sono movimenti che riflettono le fughe, i canoni, e i contrappunti bachiani, creano pieni e vuoti nello spazio, aprono visioni nell’anima.

Come nel finale, quando in due punti diversi del proscenio, cadono sui danzatori leggeri fiocchi di neve e altri di petali rossi, mentre le voci della Messa in si minore Crocifixus si spengono lasciandoci nel silenzio l’immagine di un duetto che vuole non aver fine.

Al Teatro Elfo Puccini di Milano per il festival “MilanOltre”, il 9 ottobre; al Teatro Sociale di Trento per “InDanza” il 23 ottobre; al Teatro Comunale di Modena il 4 novembre; al Teatro Massimo Bellini di Catania dal 21 al 28 dicembre; in tournée nel 2022.

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