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Santa: a Reggio Emilia, l’arte è una danza da seguire con cuffie silent disco
Danza
Davvero curioso, e divertente, e spiazzante, trovarsi, a un certo punto di un percorso itinerante, dietro a un’apecar, seguendo, come in una processione, la riproduzione della scultura di Maurizio Cattelan L.O.V.E., che raffigura una mano con tutte le dita mozzate tranne il medio (monumento a tutti noto perché installato davanti alla Borsa di Milano). Prima ancora ci eravamo trovati davanti a un clochard accovacciato a terra, un’altra opera di Cattelan della serie Homeless, sculture raffiguranti senzatetto realizzate con stracci e indumenti e collocate in spazi urbani. In ultimo, a conclusione del percorso, ecco la testa scultorea dell’artista che fa capolino da una buca scavata nel pavimento (in quest’opera, presentata nel 2002 al Museum Boijmans Van Beuningen di Rotterdam, in una sala dedicata ai maestri olandesi del XVIII secolo, Cattelan si immaginava protagonista di una scena tratta da un film di rapina).
Guide di questi inediti transiti, incontri e scoperte, sono quattro performer (in pantaloncini azzurri, bretelle, fiocchetti e camicie bianche, calze e scarpe nere), a condurci attraverso corridoi lunghissimi, spiazzi all’aperto o nascosti, terrazze, scale metalliche e reticolati, vecchie macchine industriali, trainati dalla loro gestualità disarticolata, da movimenti vigorosi, da posture scultoree, entrare in dialogo col luogo vivificandolo. Sono apparizioni, presenze che emergono e svaniscono nel segno della danza.

Ci troviamo nell’area del Reggiane Parco Innovazione di Reggio Emilia, un ex polo industriale simbolo della storia della città (da industria di treni e di aerei, a fabbrica di armi contro la cui costruzione si ribellarono gli operai), oggi riconvertito in spazio polivalente, un polo di eccellenza tecnologica, universitaria, di ricerca, e anche un polo della socialità. Gli ampi spazi interni ed esterni hanno visto questo luogo animarsi di un originale performance site specific, itinerante e immersiva, coniugando la danza con l’architettura e l’arte contemporanea di Cattelan, tra evocazioni, ironia e straniamento.

Artefice del progetto artistico, dal titolo SANTA, è il Centro Coreografico Nazionale/Aterballetto, diretto da Gigi Cristoforetti, insieme al critico d’arte e divulgatore culturale Nicolas Ballario – che firma anche la drammaturgia – e alla coreografa Lara Guidetti, direttrice artistica della compagnia Sanpapié. Evocativo e provocatorio, il titolo – che prende il nome definisce la tensione tra sacro e profano, spiritualità e corporeità, e porta con sé un immaginario stratificato. «La santità non è qui uno status spirituale o religioso – sottolinea Ballario – ma una condizione simbolica, una possibilità poetica di ridefinire lo sguardo sul corpo, sul desiderio, sul potere e sulla fragilità».

Coinvolgente come poche altre performance similari, il pubblico partecipa dotato di cuffie silent-disco, guidato, tra musiche e clangori, dalla voce e dalle riflessioni di Ballario – che compare anche in presenza in due momenti, seduto a leggere – sull’arte e sulla storia, seguendo il flusso coreografico dei danzatori, e incontrando, nel percorso, le opere dell’inafferrabile ed enigmatico Cattelan, il quale, sappiamo si prende gioco del sistema dell’arte con la beffa. Qui danza e arte contemporanea si soggiogano a vicenda, si confondono. L’insieme sovverte le logiche percettive e amplifica lo straniamento temporale e spaziale.

«È un dialogo, un gioco di echi e di scambi tra ciò che il corpo è e ciò che il corpo può diventare – continua Ballario -. Si dice che l’arte non deve dare risposte, ma fare domande. Ecco, a noi non interessa nemmeno fare le domande, perché poi rischiamo di trovare qualcuno che la risposta la trova, alla fine. Se una cosa può essere ridotta a un messaggio chiaro e cristallino, è artisticamente morta. L’arte non ha un intento diretto e unico, altrimenti è un problema che è già stato risolto, e non c’è più nulla di interessante».

In sintonia con la storia e le memorie sociali e rivoluzionarie del luogo – le battaglie dei lavoratori, l’occupazione della fabbrica, la riconversione -, la coreografa Guidetti elaborando la danza attinge sia alla fiaba dei Musicanti di Brema quale paradigma di chi non si arrende di fronte alle avversità – fa indossare ai danzatori, in una sequenza mescolati in mezzo al pubblico, delle grandi maschere zoomorfe, come nel racconto dei fratelli Grimm, di un asino, un cane, un gatto e un gallo -; sia alle canzoni di Giovanni Lindo Ferretti facendo iniziare il percorso musicale con la sua bellissima Ave Maria, e finire con Annarella dei CCCP. Nel mezzo Beethoven e Čajkovskij, e altre sonorità. La performance genera suggestioni diverse nel viverla alla luce del giorno (com’è stato per l’anteprima) o al calar del sole fino a sera.

Un’esperienza immersiva da non perdere, fruibile ancora per due fine settimana: il 26, 27 e 28 giugno; e il 3, 4 e 5 luglio. Il 2 luglio sono state aggiunte tre repliche straordinarie.