19 novembre 2004

design_talenti Droog design

 
Dieci anni (più uno), ma non li dimostra. Il segreto sta nel nome e in un’attitudine tutta olandese. Che dosa praticità, definizione teorica, ironia ed un senso naturale per… l’asciutto. Piccolo viaggio nel mondo di Droog Design…

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Prima di essere interior, furniture o fashion design, quello di Droog è pensiero. Lucido, asciutto, ironico. Dry, dicono loro. O meglio droog, che traslato letteralmente significa all’incirca secco. Un’attitudine, questa, tutta olandese, sarà forse perché molto di quanto è progetto nei Paesi Bassi ha avuto a che fare con l’acqua e con il fatto di doversene tirare fuori e allora parlare d’asciutto somiglia ad una vera e propria way of life. Che secondo Gijs Bakker -deus ex machina di Droog fin dalla prima mostra nel 1993- si traduce in pochi pezzi facili: ironia scevra di orpelli, sano senso pratico, istintobless, bag collector naturale per le domande, soprattutto quelle scomode.
Né studio, né agenzia, né brand, o almeno nessuna di queste cose strictu sensu, Droog progetta e produce, organizza eventi, mostre, allestimenti. Progettare è per Droog una sorta di sintassi universale, che funziona per l’oggetto, per l’interno da plasmare ex novo, per il libro o per l’esposizione temporanea: così, particolarmente significative sono le collaborazioni con altri designer, da Martì Guixè, a Tord Boontje, a Hella Jongerius o Tejo Remy. Che siano reiterate o puramente occasionali poco importa, sono parte fondamentale del modus operandi della vulcanica crew olandese: solido nella struttura più intima, nella definizione teorica, nello sguardo implacabilmente critico eppure, duttile, aperto, divertito, straordinariamente contemporaneo.
Difficile circoscrivere un campo d’azione, quello di Droog è totale: dall’interno del flagship store parigino di Mandarina Duck (affidato a NL Architects e risolto con un sorprendente effetto sorpresa), alla recente Coffee Dutch Room a San Pietroburgo, united statements, 50 differently priced bags vero e proprio incunabolo: dalle sedie customizzate di Jurgen Bey ai lampadari di Tejo Remy, alle uniformi delle cameriere realizzate con pezzi vintage da Connie Groenewegen, al semplicissimo Bar Europe di Bruxelles, inaugurato in occasione della presidenza olandese dell’Unione europea. E in Italia? Interessante è stato Go slow geniale installazione presentata durante il Fuorisalone, nel tour de force della Design Week milanese: elogio della lentezza dove impazza la mondanità e occasione per vedere –tutti insieme- alcuni gioielli del Droog pensiero (uno per tutti, la shopping bag sui generis, firmata dal duo Bless).
Pensiero che procede lungo il binario di una scarna, efficace funzionalità (che vuol dire anche riuso, ma in chiave totalmente diversa rispetto al riciclo festoso dei Campana) intrisa d’ironia: un tocco leggero, che alla fine atterra senza scampo. Esempio calzante le 50 Differently Priced Bags (di United Statements, 2003): cinquanta borse in feltro –un pezzo basic- assolutamente identiche, il prezzo che sale metodicamente ordinato da uno a cinquanta euro e un interrogativo scontato (ma non troppo): in base a cosa le persone sceglieranno la propria borsa? Come dire: signori, fate il vostro gioco.

link correlati
www.droogdesign.nl 

mariacristina bastante

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1 commento

  1. Gli amici olandesi si esprimono al meglio anche quando fanno manganellare dalle proprie forze dell’ordine disabili italiani allo stadio, oppure quando, per vendetta, si cimentano ardimentosi nell’incendio di qualche moschea dei paraggi.
    Attitudini tutte olandesi, che dosano praticità, definizione teorica, ironia ed un senso naturale per… l’asciutto.

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