02 settembre 2010

design_tendenze Fallo da solo

 
Dopo la musica, si ribella anche il design. E seguendo il monito punk “do it yourself”, si lancia sulla realizzazione di prodotti fatti a mano. Designer conosciuti e ignoti si cimentano nell'arte del saper fare...

di

Quando la musica, verso la fine degli anni ‘70, iniziò a
ribellarsi alle grandi major della discografia internazionale (sì sì, stiamo
parlando del punk), cominciarono a svilupparsi, una dopo l’altra, piccole
etichette indipendenti al grido di “d.i.y” (do it yourself).

Grido che riecheggia anche oggi, non essendo mai passato
di moda questo atteggiamento che guarda all’indipendenza come orizzonte unico.
Che cosa ha a che fare la musica con il design? Anche il design ha deciso di
ribellarsi alle regole di mercato, una piccola fetta ovviamente, singoli casi
che stanno diventando però sempre più diffusi. E così il disegno industriale,
per tradizione legato alle grandi aziende di produzione, strappa l’acronimo D.I.Y.
alla musica e segue il ritmo.

Do it yourself design, dunque, potrebbe essere il nuovo slogan di
progetti indipendenti, non per forza di designer-star, ma di semplici menti
creative che per necessità immaginano, progettano ma soprattutto realizzano un
oggetto a proprio uso e consumo.

Se ben si osserva, anche questo non è un fenomeno
scoppiato ora, ma probabilmente sempre esistito, semplicemente dimenticato. Lo
aveva già intuito, nel 1972, il saggio Bruno Munari con il suo “compasso d’oro a
ignoti”
, con cui
voleva attribuire un riconoscimento a progetti con un giusto equilibrio tra
forma, funzione e materiale. Munari si riferiva a oggetti di una “naturalezza
industriale”
di
cui semplicemente si ignorava l’autore perché sconosciuto o ai tempi non
ritenuto così importante da tramandarne il nome.

L’abilità del “do it yourself” è una contaminazione fra
arte e design in cui si cimentano designer affermati, giovani progettisti e
illustri sconosciuti. Lo slancio iniziale, che accomuna tutti questi creativi,
è dato dal recupero di materiali esistenti.

Tra la schiera dei professionisti riconosciuti dà il buon
esempio un designer d’eccezione come Paolo Ulian che, tra i suoi prodotti, ne
annovera molti cui si potrebbe applicare l’etichetta dell’handmade: dalla
lampada Anemone
fatta con biro bic al paravento Accadueò realizzato con bottiglie di plastica. Ci sono poi
i designer emergenti, che basano parte della loro progettazione sul riciclo,
come Vibrazioni art design di Alberto Dassasso, che realizza sedie esclusivamente
con vecchi bidoni.

Se negli oggetti realizzati da progettisti professionisti
c’è fin dall’inizio la finalità di arrivare a un prodotto propriamente inteso,
negli oggetti realizzati da ignoti c’è quella spontaneità legata alla creazione
di un oggetto per proprio uso e consumo. La vera essenza del d.i.y. Queste
invenzioni sono state riportate alla luce da Daniele Pario Perra e dal suo libro Low cost
design
(Silvana
Editoriale). Una
raccolta per immagini di progetti nati dal bisogno e costruiti da creativi
d’ogni sorta. Vi si possono trovare i cosiddetti “fattiapposta”, oggetti scaturiti da urgenze
personali e quotidiane che vanno dalla pallina da tennis applicata alla
maniglia, che permette al cane di aprire la porta, alla vecchia persiana
riadattata a portariviste, o alle bacchette di sushi con la molla per reggere
il bucato. Gli esempi sono tantissimi e il lavoro di Pario Perra è solo
l’inizio di quello che potrebbe essere un lungo censimento.

Un altro lavoro di ricognizione, molto particolare, è
stato merito della fotografa francese Chaterine Réchard che, nel volume Système P.
Bricolage
(Editions
Alternatives), raccoglie scatti di oggetti realizzati dai detenuti. La
creatività di persone recluse ha paradossalmente una maggior libertà e
restituisce utilità a oggetti diventati inutili.

“Come non si può rimanere affascinati dalla perfezione del
minimo?”
: così Philippe Starck introduce la
raccolta della Réchard e così anche noi veniamo sedotti da queste forme di
design spontaneo e inconsapevole. Gli esempi a questo punto rischiano di essere
più di quanti possiamo immaginare.
Se per strada doveste incrociare una ragazza con una borsa
realizzata con la rete arancione dei cantiere, non chiedetevi dove l’abbia
acquistata, ma come l’abbia realizzata!

articoli correlati

Ulian
in Triennale

Dassasso
e il junkdesign

Pario
Perra a Udine

Scritti
su Starck

video correlati

Munari
a Sassuolo

valia bariello


*articolo pubblicato su Exibart.onpaper
n. 67. Te l’eri perso?
Abbonati!

[exibart]

 

 

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui