11 febbraio 2021

Il caso 5Pointz: dalle origini alla memorabile sentenza (I PARTE)

di e

Cosa accade se un graffito viene cancellato? Quale tutela per le opere di street art? Ripercorriamo una controversia che è passata alla storia

5Pointz. Photo Pelle Sten
5Pointz. Photo Pelle Sten

La vicenda in esame riguarda il famoso caso “5Pointz”. “5Pointz”, inizialmente denominato “Phun Phactory”, era un complesso industriale fatiscente sito a Long Island City nel Queens, luogo ove dilagava la criminalità e gli artisti, senza alcun controllo, erano liberi di disegnare graffiti sulle pareti dell’edificio. Nel 2002 il proprietario dello stabile, Gerald Wolkoff, decise di affidare la gestione del sito a un famoso artista di street-art, Jonathan Cohen, noto anche con il nome di “Meres One”, affinchè quest’ultimo lo trasformasse in uno spazio espositivo per artisti di graffiti.

In particolare Jonathan Cohen fungeva da curatore dell’area, sceglieva gli artisti (che solitamente prendevano anche in affitto delle stanze dello stabile come studio) e le opere che riteneva meritevoli che a turno venivano realizzate. Vi erano “muri rotanti a breve termine”, in cui le opere venivano esposte per poco tempo per poi essere coperte e ridipinte da altri artisti, e “muri di lunga durata”, riservati ai migliori street artists, in cui i lavori rimanevano esposti più a lungo. L’edificio, che assunse il nome di “5Pointz” (punto di incontro dei cinque distretti di New York), grazie a questi murales acquistò in poco tempo fama mondiale, tanto da venir soprannominato “la mecca dei graffiti”. Ospitò più di 10.000 opere d’arte, diventò un’attrazione turistica per visitatori provenienti da tutto il mondo e fu inserito tra i “Must-see di New York” nella maggior parte delle guide turistiche.

L’inizio della controversia nel 2013

La controversia in questione è sorta nel 2013 quando il proprietario Gerald Wolkoff decise di demolire il complesso di magazzini per costruirvi una serie di appartamenti di lusso. Venuto a conoscenza di ciò Cohen, il curatore, cercò di prevenire la distruzione chiedendo alla New York City Landmark Preservation Commission di riconoscere “5Pointz” come sito di importanza culturale. Tuttavia l’iniziativa non ebbe successo e allora, insieme ad altri diciassette artisti, in data 10 ottobre 2013, fece causa a Wolkoff chiedendo un provvedimento ingiuntivo preliminare volto ad impedire la distruzione di “5Pointz”. Nell’immediatezza gli stessi ottennero dal Tribunale Distrettuale di New York un’ordinanza restrittiva temporanea (di 10 giorni) che vietava a Wolkoff la distruzione dell’edificio, la quale però una volta scaduta non fu rinnovata.

Il Tribunale tuttavia in quella sede dichiarò che avrebbe motivato con un parere scritto il mancato rinnovo dell’ingiunzione. Wolkoff non lo attese e la notte stessa, precisamente il 12 novembre 2013, ordinò che “5Pointz” fosse imbiancata. Furono dipinte di bianco, all’insaputa degli autori, oltre 49 opere d’arte. Solamente otto giorni dopo, in data 20 novembre 2013, il Tribunale emise il proprio parere scritto dichiarando che, sebbene alcuni graffiti avessero raggiunto una certa importanza, tale questione andava risolta con un processo. Inoltre per il carattere transitorio della maggior parte delle opere un’ingiunzione era inappropriata. Il 17 giugno 2014 Cohen e i diciassette artisti presentarono un ulteriore ricorso dinnanzi al Tribunale Distrettuale di New York sostenendo che le proprie opere fossero state intenzionalmente distrutte e che questo avesse leso i propri diritti morali.

VARA, il Visual Artists Rights Act

Al riguardo quest’ultimi invocarono il “Visual Artists Rights Act” del 1990, in breve “VARA”, ovvero la legge federale americana che tutela i diritti morali degli artisti di arte visiva e in particolare consente loro di impedire la distruzione intenzionale delle proprie opere da parte di altri, qualora queste siano dotate di “recognized stature” (concetto che si spiegherà nel proseguo non essendo definito dalla legge ma affidato all’interpretazione giurisprudenziale). Il “VARA” consente inoltre agli artisti di chiedere un risarcimento in denaro se l’opera è stata distorta, mutilata o altrimenti modificata a danno del loro onore o della loro reputazione. Tuttavia nell’agosto 2014 Wolkoff demolì definitivamente l’edificio. Il 3 giugno 2015 altri dieci artisti presentarono ricorso contro Wolkoff, sulla base delle medesime argomentazioni svolte da Cohen, chiedendo un risarcimento per la distruzione illegale delle proprie opere. Iniziò così il processo dinnanzi al Tribunale Distrettuale ove furono riunite le due cause.

Wolkoff si difese sostenendo che gli artisti fossero al corrente che il complesso industriale un giorno sarebbe stato sostituito da condomini residenziali. Inoltre lo stesso sottolineò il carattere temporaneo delle opere ivi realizzate escludendole, proprio per questo motivo, dalla tutela prevista dal VARA. Il giudice dal canto suo ritenne di non accogliere tale tesi in quanto priva di riscontro legale e specificò che il VARA distingue solamente tra opere rimovibili e non rimovibili prevedendo che le opere inamovibili, incorporate in un edificio, possano essere rimosse solo con il consenso dell’artista a meno che questi non rinunci ai propri diritti con atto scritto e sottoscritto anche dal proprietario dell’edificio, mentre per le opere rimovibili gli autori abbiano diritto ad un preavviso scritto di 90 giorni, onde consentir loro di recuperare le opere. Pertanto il VARA, secondo il giudice di primo grado, non contiene alcuna eccezione di tutela per le opere temporanee.

Importante per il Tribunale fu la testimonianza di Harriet Irgang Alden, esperto di conservazione di dipinti presso Art Care NYC, il quale dichiarò che attraverso l’impiego di recenti tecniche sarebbe stata possibile la rimozione delle opere d’arte dalle mura di “5Pointz”. Ma, secondo il Tribunale, Wolkoff rese impossibile per gli artisti salvare il proprio lavoro dal momento che non fornì agli stessi alcun preavviso scritto prima di distruggere le opere né, se le opere fossero considerate inamovibili, fu firmata una rinuncia scritta da parte di questi.

Quanto al necessario requisito della “recognized stature”, il cui significato non è definito dal VARA, esso è stato inteso dalla giurisprudenza nel senso che l’opera d’arte deve essere meritevole di tutela ovvero ricoprire un’importanza tale da essere riconosciuta da esperti d’arte o dalla comunità scientifica o da almeno una parte della società. A tale riguardo, il giudice ritenne che quasi tutte le opere in questione fossero di “importanza riconosciuta”, ciò anche per il fatto che i graffiti dipinti sulle mura di “5Pointz” erano stati selezionati con attenzione e cura da parte di Jonathan Cohen per il riconoscimento, anche al di fuori di “5Pointz”, ottenuto dagli artisti. A ciò doveva aggiungersi la testimonianza a favore dei ricorrenti resa nel corso del processo da tre esperti altamente qualificati; tra questi Renee Vara, ex capo esperto di belle arti presso Chubb Insurance e professore di arte alla New York University. Questi illustrò una ad una le opere d’arte riconoscendo l’abilità e la maestria degli artisti e senza dubbio la loro “recognized stature”.

Il Tribunale: risarcimento da 6,75 milioni per i graffiti di 5Pointz

Passando al risarcimento del danno, il Tribunale ritenne di corrispondere una somma a titolo di danni legali, più che di danni effettivi, in quanto difficile sarebbe stato determinare il valore di mercato delle opere distrutte. Tale giudizio si fondò sull’intenzionalità della condotta di Wolkoff. Infatti il Tribunale ritenne che Wolkoff fosse consapevole che gli artisti stessero rivendicando la protezione del VARA e che la sua condotta fosse “un atto di puro risentimento e vendetta per il coraggio dei querelanti di citare in giudizio per tentare di prevenire la distruzione della loro arte”. Oltre allo stato d’animo dell’autore della violazione il Tribunale considerò anche altri fattori ai fini della determinazione dell’ammontare dei danni legali: le spese risparmiate e i profitti guadagnati dall’autore della violazione; le entrate perse dal titolare del copyright; l’effetto deterrente sull’autore della violazione e su terzi; la collaborazione dell’autore della violazione nel fornire prove sul valore del materiale oggetto di violazione e la condotta e l’atteggiamento delle parti in generale.

Sulla scorta di tutto ciò, in data 12 febbraio 2018, il Tribunale Distrettuale di New York, nella persona del giudice Frederic Block e con una sentenza di cento pagine (ove sono state riportate le fotografie di tutte le opere distrutte) ritenne che 45 su 49 opere appartenenti a “5Pointz” fossero dotate di “recognized stature” e che Wolkoff le avesse intenzionalmente distrutte, riconoscendo agli artisti un risarcimento a titolo di danni legali, nella misura massima di 150.000 dollari per ciascuna delle 45 opere, per un totale di 6,75 milioni di dollari.

– Studio Legale Furin Grotto

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui