11 gennaio 2002

Legge ‘del due per cento’: ipotesi di riforma

 
Prendendo spunto da alcune riflessioni emerse in un forum di Exibart dedicato all’arte pubblica, un nostro redattore prova a delineare una bozza di riforma di una delle poche leggi del nostro ordinamento giuridico che interessa direttamente l’arte contemporanea...

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La legge 29 luglio 1949, n.717, intitolata Norme per l’arte negli edifici pubblici, è conosciuta generalmente come legge del 2 per cento in quanto prevede il principio secondo il quale il “2 per cento” delle somme destinate alla costruzione di “edifici pubblici”, deve essere destinato obbligatoriamente “all’abbellimento di essi mediante opere d’arte”. Una legge di cui si fa generalmente menzione parlando della sua disapplicazione oppure, paradossalmente, della sua aberrante osservanza.
L’idea che aleggia sullo sfondo di essa, è quella che ogni volta in cui ci si accinga a costruire o ricostruire un edificio pubblico, ci si debba impegnare a realizzare non soltanto un prodotto “bello” ma complessi architettonico-artistici che esprimano i valori estetici del momento presente, in cui “le masse possano riconoscersi e ai quali possano venir educate”. Un’impostazione ch apparirà immediatamente animata da uno spirito totalitario e quindi in contrasto con i valori democratici repubblicani. In effetti, forse, l’inefficacia della legge risiede proprio nell’incapacità di dare un’interpretazione evolutiva serena a un testo fortemente caratterizzato ideologicamente.

Non va infatti sottaciuto che il vero artefice di questa legge è stato Giuseppe Bottai, ministro dell’Educazione Nazionale nel governo fascista dal 1936 e principale “legislatore” delle normative in tema di beni culturali ancor oggi in vigore (ad esempio la 1039/39 o la 1497/39). Il testo originario della legge “del due per cento” -“stranamente” ridatata al 1949- è infatti del 1942 (L. 11 maggio 1942, n.839) ed era il frutto di un’intenso dibattito culturale che Giuseppe Bottai aveva svolto su diverse pubblicazioni che lo vedevano promotore (in primo luogo la rivista “Primato/Lettere e Arti d’Italia”) alle quali partecipavano tra l’altro attivamente numerosi intellettuali che poi diventeranno nel dopoguerra i principali esponenti della cultura, anche di sinistra (Argan, Buzzati, Antonioni, Gadda, Longanesi, Montale, Quasimodo, Montanelli, Ungaretti…).

Condannato a morte in contumacia a Verona, e successivamente all’ergastolo dall’Alta Corte di Giustizia una volta finita la guerra, Giuseppe Bottai venne poi amnistiato nel 1947. La “sua” legge venne modificata parzialmente, ridatata (quasi fosse un fiore della Costituzione repubblicana del ‘48), e stese un velo su tutto l’impianto concettuale ed istituzionale che ne era alla base. Non dimentichiamo che Bottai intendeva portare avanti un progetto culturale e politico di ampio respiro in cui l’arte doveva svolgere un ruolo primario.Guttuso, Studio per Crocefissione
A capo di un ministero da cui dipendono le Accademie di Belle Arti, nel 1940 crea l’Ufficio per l’Arte contemporanea con il compito di svolgere attività di incoraggiamento del collezionismo privato e delle gallerie d’arte, nonché di coordinamento degli interventi in materia di arte contemporanea e che portò all’istituzione in varie città (ad esempio Asti, Milano, Torino, Palermo) di strutture di tipo associativo denominate Centri di azione per le arti, che ebbero un ruolo molto importante per gli artisti di quel periodo. Inoltre promuove direttamente premi d’arte come ad esempio il prestigioso Premio Bergamo (dal 1939 al 1942) nel quale, a differenza di altri concorsi per artisti in cui si cercava di compiacere il regime (come il Premio Cremona, ideato dal gerarca Roberto Farinacci) si vide emergere un dibattito artistico di una certa rilevanza e non privo di apertura di vedute a giudicare dal fatto che l’opera Crocifissione di Renato Guttuso, pregna di critica nei confronti delle brutture della guerra, e quindi del regime, vinse il Premio Bergamo nel 1942.

Ma può la legge del due per cento vivere al di fuori di un’idea in cui lo Stato si fa carico in senso profondo e “viscerale” della promozione delle arti? Non sembra proprio, vista la sua applicazione e (spesso) disapplicazione negli ultimi cinquant’anni. Una legge quasi sempre usata male o addirittura abrogata per desuetudine, malgrado il legislatore sia intervenuto più volte ad apportare modifiche per correggere criteri economici e meccanismi di scelta (L. n. 237/1960; L. n. 352/1997).
Il fatto è che occorre fare serenamente i conti con il passato e attribuire il giusto peso nel nostro ordinamento ad una legge in fondo buona, e che potrebbe dare un forte impulso all’arte e all’economia che ruota attorno al fenomeno artistico. Finora così non è stato. Nella legge-delega al governo per l’emanazione del testo unico in materia di beni culturali del 1997, la legge del due per cento fa ancora una volta capolino sulle pagine della Gazzetta Ufficiale ma non viene poi ad essere inclusa nell’importante raccolta normativa successiva. Il che la dice lunga sull’atteggiamento generale nei confronti di questa legge, quasi ad affermare platealmente che “l’arte negli edifici pubblici” è arte per modo di dire.

Abbastanza curiosamente la legge poi non è inserita neanche nelle raccolte normative sugli appalti pubblici, malgrado la “legge del 2 per cento” preveda sanzioni “teoricamente” gravi (ad esempio la non collaudabilità dell’edificio). Sanzioni gravi solo sulla carta perché mancano controlli e una vera coazione.
E così, al di fuori di un’impostazione che impone alle amministrazioni di fare delle scelte di ordine estetico ben precise e cioè delle scelte culturali e politiche sull’arte (ci vuole coraggio oltre che competenza), la legge diviene solo un “curioso” strumento normativo per la spartizione di fondi pubblici tra amici e conoscenti, favorendo clientelarismi. E, fatto ancor più grave, vengono a deturparsi piazze, cortili e corridoi (su cui il cittadino è costretto a poggiare gli occhi ogni santo giorno) con opere di pessimo gusto e prive di qualsiasi contenuto “estetico” e “storico”, prive di significato e di valore economico (questo è molto indicativo). Esistono delle eccezioni, ma questa è stata sinora la tendenza. Vi sono schiere di artisti che “vivono” di arte pubblica (e non li troveremo mai in nessun museo) e molti altri che sperano un giorno di essere favoriti da questa manna…

Si è persa del tutto la consapevolezza della ratio di questa norma. Addirittura in alcuni casi viene vista come un palliativo contro la disoccupazione dei giovani artisti… La legge dovrebbe invece essere letta in correlazione ai principi costituzionali secondo i quali “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura” e “L’arte e le scienze sono libere”, e “I pubblici uffici sono organizzati (…) in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione” di cui essa dovrebbe essere la più vera espressione. Applicare correttamente la legge dovrebbe cioè significare “fare cultura”, educare i cittadini all’arte, attraverso la preziosa vetrina degli spazi pubblici, ossia promuovere l’arte e non gli artisti (o il politico di turno).

La vera pecca della legge del due per cento è, a ben vedere, anzitutto quella di non imporre a priori un giudizio effettivamente competente sulla importante scelta da operare. Si stabilisce infatti che “La scelta degli artisti per l’esecuzione delle opere d’arte (…) è effettuata, con procedura concorsuale, da una commissione composta dal rappresentante dell’amministrazione sul cui bilancio grava la spesa, dal progettista della costruzione, dal soprintendente per i beni artistici e storici competente, e da due artisti di chiara fama nominati dall’aministrazione medesima” (art. 2).
Per fare un esempio irriverente è come se un’operazione a cuore aperto venisse fatta dal capo dell’ufficio bilancio della USL, dal progettista del tavolo operatorio, da un dentista e da altri due malati…

In un concorso indetto da un Comune avremo quindi in commissione: il sindaco (nessuna preparazione richiesta), il progettista della costruzione (ingegnere, architetto o geometra), il soprintendente ai beni artistici e storici competente (laureato in lettere: preparazione di tipo storico-artistico), due artisti “di chiara fama” (basta insegnare in una scuola d’arte e avere un’opera esposta in qualche museo privato di provincia e si diventa subito a pieno titolo artisti “di chiara fama”). Tra l’altro la presenza degli artisti in commissione non è altro che il retaggio del corporativismo fascista e che risulta oggi del tutto anacronistico e fuorviante. Manca invece del tutto, e questo è gravissimo, nella previsione legislativa, la figura del critico d’arte contemporanea che in una scelta specifica del genere dovrebbe avere ovviamente un peso prevalente. Questo è il punto su cui dovrebbe appuntarsi la riforma che proponiamo.

Si potrebbe ad esempio stabilire l’istituzione a livello nazionale di un albo di soggetti qualificati -come direttori di musei d’arte contemporanea, docenti universitari di arte contemporanea, critici d’arte “di chiara fama” (si possono stabilire dei criteri)-, al quale di volta in volta le amministrazioni territoriali possano attingere per costituire le commissioni cui è rimessa la scelta delle opere da collocare negli edifici pubblici di nuova costruzione. L’articolo 2 della legge 717 del 1949 potrebbe essere quindi ad esempio così riformulato: “La scelta degli artisti per l’esecuzione delle opere d’arte (…) è effettuata, con procedura concorsuale, da una commissione composta dal rappresentante dell’amministrazione sul cui bilancio grava la spesa, dal progettista della costruzione, dal soprintendente per i beni artistici e storici competente, e da tre critici d’arte designati dall’aministrazione medesima sulla base dei nominativi presenti nell’apposito elenco depositato presso il ministero dei beni culturali” (art. 2).
In questo modo ci sarebbe un bilanciamento tra le diverse esigenze: politiche, tecniche, di tutela del patrimonio artistico esistente, di scelta sull’arte che deve essere creata quale testimonianza dei nostri tempi.Crocifissione Guttuso 1941

Inoltre, nel quarto comma dell’art. 1 che prevede i casi nei quali la legge non debba trovare applicazione, sarebbe opportuno eliminare la previsione secondo la quale “gli alloggi popolari” non usufruiscano di tale beneficio. Si tratta di un’esclusione introdotta nel ’49 forse per un motivo di grave penuria di risorse finanziarie, che appare oggi però visibilmente antidemocratica e miope, se si pensa a tanti felici esempi di edilizia popolare “artistica” in Europa, come le case popolari di Hundertwasser a Vienna, visitate ogni anno da migliaia di turisti.
Altro aspetto importante è quello di garantire l’effettiva osservanza di questa legge, e ciò può essere conseguito anche attraverso apposite strutture ministeriali di monitoraggio sulla sua concreta applicazione.

Concludiamo: i meccanismi di scelta delle “opere d’arte” attualmente previsti dalla legge non fanno che rendere l’importante settore dell’arte pubblica un ambito ormai quasi del tutto sterile e praticamente sottratto al mondo dell’arte della nostra epoca, impedendo anche qualsivoglia ipotesi di rinnovamento dell’idea stessa della monumentalità pubblica.

forum correlati
il forum sull’arte pubblica
apparati
Legge 29 luglio 1949, n.717 (in G.U. 14 ottobre 1949, n.237) – Norme per l’arte negli edifici pubblici. (testo in vigore: così come novellato dalle LL. n. 237 /1960 e 352/97)
Legge 11 maggio 1942, n.839 (in G.U. 5 agosto 1942, n.183) – Legge per l’arte negli edifici pubblici.

Ugo Giuliani

[exibart]

31 Commenti

  1. Cara Gaia,
    vorrei ricordarti che tutte le opere d’arte eseguite fino quasi ai giorni nostri, partendo dall’arte persiana e babilonese, dal Partenone e dalla statua crisoelefantina di Fidia, il discobolo di Mirone, passando dai Fori Romani al Panteon, l’arco di Costantino, e poi le cattedrali gotiche, il Palazzo della Signoria a Firenze, la Torre di Giotto, i Musei Vaticani, le opere di Raffaello e Leonardo, i Palazzi barocchi, le opere di Canova e tutto il resto …
    Sono stati commissionati proprio da quelli che tu chiami Stato (con la s minuscola peraltro).
    Quindi il tuo qualunquismo è fuori luogo.
    Oppure pensi che la cupola del Brunelleschi era la mansarda di un commerciante di birra?
    Ciao, Biz.

  2. Un articolo davvero pieno di spunti interessanti per riflettere sulla reale condizione dell’arte contemporanea pubblica in italia.

  3. Rutelli, quando era sindaco di Roma voleva dedicare una via a Giuseppe Bottai, e si era in tempi non sospetti…
    Certo che per i beni culturali ha fatto moltissimo.Non sapevo di questo suo interesse per l’arte contemporanea. Ben vengano questi momenti di riflessione!

  4. Parlare di “tempi non sospetti” quando si tratta di Pericle, Giovanni Gentile, Napoleone, o Gesù Cristo, mi parrebbe lecito.
    Ma farlo pensando a Rutelli che sta qui da due minuti mi sembra davvero azzardato.
    Ciao, Biz.

  5. E così la previsione che le case popolari non dovessero avere opere d’arte pubblica viene previsto nel ’49, mentre nel ’42 questo era invece pacifico? Alla faccia della democrazia!!!
    Arte per tutti…e chhecavolo!L’importante che non siano le ciofeche che abbiamo visto negli ultimi tempi…

  6. Ma le cose come stanno allora negli altri paesi europei (quelli non citati nell’articolo)? Non sarebbe opportuno creare delle norme omogenee a livello di comunità europea, sempre nel rispetto delle necessità di tutti gli stati coinvolti?
    Grazie, ciao

  7. nella speranza che questo ministero, questo governo, ma soprattuto questo parlamento (e basterebbe un solo parlamentare sensibile) recepisca quanto scritto sopra! Inoltre la ‘riscoperta’ di Bottai da parte di Giuliani potrebbe anche suggerirci da quale parte politica potrebbe provenire questo parlamentare…La newsletter di exibart arriva a non pochi indirizzi che dopo la chiocciola portano le dicitura camera.it o senato.it: FORZA!!!

  8. questa di arruolare i critici d’arte comtemporanea non mi pare una grande idea. Ma li vedete all’opera o no? quanti di questi signori sono in grado di garantire giudizi e scelte culturalmente obiettive e non legate a esigenze da bassa corte? quanti sono indipendenti da pressioni mercantili? quanti hanno dimostrato nel tempo di aver avuto un pensiero lungimirante e di avere individuato o promosso serie riflessioni sull’arte in atto che, comunque, è pur sempre prodotta dagli operatori specifici che, se non sbaglio, sono gli artisti?

  9. Nel precedente editoriale sull’Euro, se non sbaglio si diceva che i disegni, le figure delle banconote in EURO, è stata decisa da una commissione di storici e critici d’arte (di livello europeo), mi sembra evidente che non dovessero essere i bozzetisti a decidere su che cosa scegliere….Sono quindi a favore della riforma proposta da Exibart!

  10. Proprio in radicale ottemperanza ai dettati Costituzionali citati:

    La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura. L’arte e le scienze sono libere.
    I pubblici uffici sono organizzati (…) in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione.

    Posto che i criteri qualitativi sono, in ogni caso, motivi irrinunciabili di valutazioni e analisi critiche per chi l’arte la fa, la guarda, la vive, la studia e quant’altre cose, non si capisce perché mai lo Stato dovrebbe di nuovo stabilire, criteri competenze, commissioni, albi etc….

    Qualità e competenze sono i mondi dell’arte che le esprimono, le agiscono, le modificano, le ripetono, le guardano, siamo noi.

    Alora domanda:
    qual’è l’utilità, oggi, “la più vera espressione” di questa Legge.
    A partire da analisi siginificato per significato, utilità concreta per utilità concreta, di ogni singolo articolo.

    Revisionare, ovvero modificare di nuovo, una stessa Legge non sempre produce gli effetti sperati; spesso ripropone la pecca che denuncia; cambiano le forme ma si complicano comprensioni e utilità.

  11. LUCA, provo io a rispondere, e la risposta è nella tua stessa domanda, almeno in parte.

    Nel sistema dell’arte contemporanea le scelte su cosa abbia un valore artistico (e non in senso generico: non stiamo parlando qui di artigianato o roba simile) sono i critici d’arte, in subordine il pubblico e il mercato. Piaccia o no questa è la situazione (io personalmente non ci trovo niente di male, forse è sempre stato così…mutatis mutandis).

    Ogni istituzione seria fa riferimento per ogni acquisto, alla valutazione di un pool di critici, curatori, esperti d’arte ecc..
    Le opere costano miliardi e non si può prendere una decisione con leggerezza.

    Forse la statua da mettere nella piazzetta interna del tribunale ecc. di nuova costruzione è gratis?
    (costerà alla collettività mai meno di mezzo miliardo)
    Forse la gente non vi poserà gli occhi giorno dopo giorno?
    (Peccato, un’occasione persa per avvicinare la gente all’arte, qualora sia ad essa lontana)
    Forse l’arte pubblica non è una testimonianza che lasceremo ai posteri?
    (io spero di si, almeno per lealtà nei confronti di chi ci ha preceduto: abbiamo forse paura di fare delle scelte culturali?).

    Detto tutto questo, perchè a giudicare sull’arte pubblica devono essere delle persone incompetenti per definizione (qui la legge è carente!)? E’ un’assurdità.Sono d’accordo con chi ha scritto l’articolo.

    Le cose che si possono fare, secondo me, sono quindi solo due:

    1) riforma la legge (la revisione è cosa ben diversa, mi scuserai la precisazione terminologica, frutto certamente di un lapsus…si sottopongono a “revisione” le sentenze in casi veramente eccezionali, l’automobile ogni tot anni…ecc. non le leggi)
    2) sua abrogazione per evitare sperpero di denaro pubblico.

    il 2% della spesa necessaria a realizzare un’opera pubblica è una somma colossale!

    Se proprio li dobbiamo sprecare questi soldi assumiamo nuovi magistrati che ce ne sarebbe estremo bisogno.

  12. Luca ha scritto:
    domanda:
    “qual’è l’utilità, oggi, “la più vera espressione” di questa Legge.
    A partire da analisi siginificato per significato, utilità concreta per utilità concreta, di ogni singolo articolo.”

    Mi sembra di capire che questa legge che si vuole modificare è un fossile del regime fascista che è stato ripescato per il rotto della cuffia facendogli un po’ di maquillage…

    Magari sotto il regime fascista aveva un senso oggi non ha più senso almeno come è formulata adesso. Se lo Stato si impegna a promuovere la cultura, e quindi l’arte contemporanea, deve farlo seriamente, e quindi non può essere il sindaco o il capomastro a decidere se una scultura è bella o no…ragazzi è una cosa pazzesca!

    Che siano i critici a prendersi questa responsabilità come fanno sempre esponendosi in prima persona. Di un eventuale referendum sulle opere d’arte pubbliche (in USA si fa anche questo per suffragare le decisioni prese), in Italia siceramente non mi fiderei molto…chissà cosa si sceglierebbe!! Una gigantografia di Berlusconi stile Saddam Hissein? AGGHH…!

  13. Mi meraviglia come il sig. Sigismondo Maffei, così esperto di diritto, non si sia accorto del vizio, o meglio dell’errore, contenuto nell’illustrazione della composizione della Commissione data in questo articolo.

    Il Sindaco non presiede proprio nulla in quella Commissione (vedasi art. 107 D.Lgs. 267/2000).
    Sono anche io d’accordo con quanto emerge dall’articolo di Ugo Giuliani, ma se il punto di partenza è scorretto, l’esattezza della conclusione ne risulta necessariamente inficiata nella sua efficacia.
    Ciao, Biz.

  14. Era solo un esempio dei tanti possibili.

    “Art. 2 – La scelta degli artisti per l’esecuzione delle opere d’arte di cui all’articolo 1, è effettuata, con procedura concorsuale, da una commissione composta dal rappresentante dell’amministrazione sul cui bilancio grava la spesa, dal progettista della costruzione, dal soprintendente per i beni artistici e storici competente, e da due artisti di chiara fama nominati dall’aministrazione medesima.” (legge del 2%)

    Il sindaco è in commissione e de facto (o de iure, dipende dai bandi di concorso) “presiede” la commissione giudicatrice. Comunque sia (non cambia molto) dice la sua, fa valere il suo peso politico, le pressioni che gravano su di lui ecc.
    Non dico che la sua voce non si debba sentire, ma che queste pressioni non debbano essere prevalenti e che siano contemperate dal parere di alcuni critici d’arte.

  15. Ringrazio tutti quanti per la vivacità del dibattito e BIZ per la precisazione.

    Il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (dlgs 267/2000), all’art.107 definisce le funzioni e le responsabilità dei dirigenti, prevedendo che :
    -“Sono attribuiti ai dirigenti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dai medesimi organi, tra i quali in particolare, secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell’ente:
    a) la presidenza delle commissioni di gara e di concorso;
    b) la responsabilità delle procedure d’appalto e di concorso;
    (…)”

    Io ho fatto un esempio tratto dalla mia esperienza personale (abito in Sicilia) e in un certo concorso (che un po’ ho seguito) il Sindaco era in commissione (ne hanno parlato tutti i giornali), forse anche perchè ex art. 1 di questo stesso decreto legislativo “Le disposizioni del presente testo unico non si applicano alle regioni a statuto speciale (…)” (come la Sicilia).

    Ma ecco, non mi sembra che la sostanza cambi poi molto. Abbiamo una commissione che decide su una materia che normalmente è rimessa a soggetti dotati di una preparazione specifica (Curatori e critici d’arte).
    Stranissima cosa. E i risultati (pietosi) poi si vedono.
    Cambiamo la legge!

    Grazie a tutti

  16. Per il Sig. Ugo Giuliani:

    Carissimo Giuliani,
    Nel confermarle la mia stima e l’apprezzamento incondizionato al suo articolo, che ho avuto modo come lei sa di esprimerle anche in sede privata, la ringrazio perchè ha compreso lo spirito del mio intervento.
    E’ fuori discussione il fatto che sposo totalmente la sua iniziativa e darò il mio umile contributo affinchè si possa addivenire finalmente ad una Legge onorevole che tratti la materia, a sua volta onorevole.
    Anche se devo esprimere le mie solite riserve quando si parla di “Critici d’arte”, i quali non trovano da parte mia alcun sussiego intellettuale e per i quali non ho quasi mai entusiasmo, usando un eufemismo.
    Evidentemente, che sia il Sindaco o il Dirigente di Settore a presiedere la Commissione non cambia di una virgola il significato del suo impegno profuso in questo bellissimo articolo.
    Ma come dissi al Direttor Tonelli, se l’obiettivo è raggiungere le sedi istituzionali preposte a recepire le nostre richieste, occorre essere credibili, e quella contraddizione in termini avrebbe potuto essere attaccata ed usata per dirci che le cose non stanno come ha denunciato lei.
    Le assicuro che la politica ha affondato tante iniziative per molto meno.
    Ribadisco dunque il mio appoggio a quanto da lei denunciato e la ringrazio vivamente per averci reso partecipi.
    Grazie, Biz.

    Per il sig. Sigismondo Maffei:

    Egregio Signore,
    devo ribadire che il Sindaco non è in alcun modo Presidente di alcuna Commissione di Concorso, nè de facto, nè de iure, nè per quello che vuole lei.
    Sintomatico è quanto riporta anche il Sig. Giuliani a proposito delle “Regioni a Statuto Speciale”.
    Anzitutto per il motivo indicato nell’art. 107 del D.Lgs 267/2000, che io ho citato e che il Sig. Giuliani ha gentilmente riprodotto. Se lo legga bene.
    In secondo luogo perchè il Sindaco NON è il “rappresentante dell’amministrazione sul cui bilancio grava la spesa”, che invece è da individuarsi dapprima nel Dirigente che redige il P.E.G. (Piano Economico di Gestione), e poi nel Responsabile del Centro di Spesa, che è sempre il Dirigente e non il Sindaco.
    Il Sindaco, se proprio ce lo vogliamo ficcare dentro, presiede la Giunta Comunale che questo piano lo approva in vista degli indirizzi politici.
    E sul PEG è indicato in obiettivo il futuro espletamento di un concorso, non già a chi il posto verrà affidato.
    Il Sindaco, dunque, non presiede un bel tubo di niente in merito alle procedure concorsuali.
    Immagino, in ultimo, che non le verrà difficile comprendere l’assunto secondo il quale prima di riformare una Legge occorre conoscerla!
    Resto, Signore, il suo umile servitore.
    Ciao, Biz.

  17. Infatti le risposte possono stare nella domanda e nelle premesse; in questo caso i dettati Costituzionali mi sembrano importanti spunti per riflessioni.

    Ho parlato di qualità appunto come criteri irrinunciabili di analisi e valutazioni su quanto i mondi dell’arte creano e sono.

    Riformare una Legge, questa legge!!!!!!????????

    Cesoiarla, cioè abrogarla. Bene!!!!
    Per far fare un’altra Legge: quale????????!!!!!!

    Lo dicano prima, grazie

  18. Non è un caso che questo articolo sia seguito da così tanti commenti; è intelligente e molto interessante, anche (molto) attuale.
    I miei complimenti a Ugo.

  19. Cara Valentina di Palermo,
    ti assicuro che in genere gli articoli idioti hanno anche più commenti, cerca un pò in Exibart e resterai sorpresa.
    Certo, altre sono le cose che scriviamo.
    Diciamo che questo articolo si distingue per la qualità, anche se pecca di acume.
    Ma non la considererei una patente, un passaporto.
    Vedremo il prossimo.
    Ciao, Biz.

  20. ho letto anch’io articoli brutti seguiti da commenti altrettanto idioti. Volevo dire che qui almeno si accenna al dibattito. Anche i suoi commenti, gentile signor biz, a volte sono sprecati per articoli che proprio non lo meritano.

  21. L’articolo affronta un tema scottante, sul quale ho avuto modo di dare in certo qual modo il “LA” su un forum di exibart.
    Per anni nel sindacato artisti delle Cgil si è discusso in merito all’uso della legge del 2%. Purtoppo, ahimé, ho dovuto constatare che quelli che più ne parlavano nel gruppo dirigente nazionale, sono gli stessi che in base a oscuri canali ne hanno maggiormente usufruito (vedasi l’opera che adorna l’aeroporto di Genova). Per quanto concerne il suo rilancio, ed il suo corretto uso sono perfettamente in sintonia con l’articolo di Ugo Giuliani. Non ne condivido però un aspetto, quello relativo alla figura del cosiddetto “critico d’arte”. Così come oggi è difficile distinguere un artista da un imbianchino è parimenti difficile dare sostanza al “critico d’arte”. Io sono invece daccordo alla presenza, nell’ambito di una commisione composita, di uno “storico dell’arte” la cui chiara od oscura fama è sempre discutibile come del resto la qualità di un artista. Ormai la mia concezione dell’arte è quella di artista come soggetto che tramanda una cultura finalizzata al messaggio simbolico (arte esoterica) per cui sono lontano anni luce dalle false estetiche della cosiddetta “arte moderna”. Sono invece persuaso che una buona leva di nuovi maestri artisti – artigiani ha bisogno di strumenti di tutela legislativa che ne garantisca quantomeno il diritto ad una pensione.

  22. Personalmente mi fido solo degli “storici” dell’arte contemporanea. Non dei “critici”. Per quanto riguarda le leggi, cerco di consolarmi pensando che il testo unico è stato approntato con l’intenzione di essere una legge di passaggio, in attesa di una vera legislazione. Subito dopo mi dispero pensando che la legge precedente sui beni culturali è datata 1939. Saranno necessari altri 60 anni prima di avere una LEGGE e non un calderone di contraddizioni?

  23. Cara Sara,
    tu sei convinta che uno “storico” sappia individuare un Loris Cecchini, un Francesco Vezzoli, un Botto&Bruno o un Bianco-Valente per finalmente non detupare gli uffici del pubblico impiego?? Io purtroppo credo che gli storici dell’arte contemporanea si interessino più di Cassinari che della Beecroft, più di Tadini che della Toderi, più di Salvatore Fiume, di Aligi Sassu, di Sandro Chia,

  24. Caro Janaz,
    ciclicamente sono in accordo o in disaccordo con te;
    In entrambi i casi mi piace leggerti, sempre.
    Questa però è la volta del disaccordo.

    Se condivido lo spirito del tuo intervento, che mi sembra piuttosto lucido e non troppo lontano dalla verità, devo tuttavia trovare la ragione più in ciò che ha scritto Sara Magister.
    Gli storici dell’arte forse non daranno attenzione alla Beecroft, di contro mi pare che i critici ne diano troppa a Rabarama & friends e a prodotti commerciali che costruiscono a loro piacimento, o per compiacere quel direttore o quella Galleria, o semplicemente per proporre una loro “scoperta” mutuandola dalla caruccia decorazione all’Arte, per pura autoesaltazione, manco fosse una lotteria.
    E’ il risultato dell’egemonia concettuale americana della seconda metà del ‘900, che se ci ha consegnato molti artisti di talento e di valore ed ha supplito alle lacune europee, ci ha anche costretto a sopportare l’avvento dell’Arte-Supermarket di cui, ripeto, Rabarama ne è un olimpico esempio.
    In media virtus.
    Ciao, Biz.

  25. La conoscenza della storia ci può aiutare a sbagliare di meno. Sono per la cancellazione totale della legge truffa prima merce di scambio in seguito. Essendo chiamato a partecipare come commissario o come artista in altri casi non ricordo una volta che sia andata liscia. Pressioni politiche, di strilloni di corte, storici d’arte che di storico e solo la lo dati di nascita, ma tanti tantissimi rappresentanti dell’ignoranza dotta. I risultati si possono notare in Italia ma anche in Europa in parlamento come in publici orinatoi. Per sintetizzare i papi o le famiglie nobili incaricavano persone di loro fiducia per il parco, per gli spazi architettonici e le loro esigenze estetiche funzionali rappresentative, di certo si abbasserebbe la soia del brutto clientelarismo e del funzionale brutto o del bello esteticamente e vuoto di tutto. Potrei andare avanti ma meglio finirla qui.

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