30 settembre 2022

exibart prize incontra Laura Amato

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Ogni nuova opera, che sia figurativa, astratta o tessile è come una pagina di un diario che aggiorno ogni volta che l’intensità di una emozione spinge per essere portata alla luce, all’esterno e condivisa.

 

Qual è stato il tuo percorso artistico?

“It runs in the family” è il mio primo pensiero. In famiglia c’è sempre stata una propensione artistica, verso la pittura in particolare: tele, colori, pennelli, spatole e diluenti, un mix di immagini e sensazioni olfattive che avvolgono la mia infanzia.
Per me è iniziato tutto da una grande tela nera che avevo dipinto e appeso in salotto. Un nero assoluto, profondo, portatore di pace e immensità, una finestra sul Cosmo. Veniva notata da tutti invece con occhiate di fastidio e perplessità, tutti suggerivano possibili e auspicabili modifiche. Finché un giorno quella calma statica, quella comfort zone come va di moda dire ora, venne squarciata (letteralmente) da un raptus creativo che ha liberato una forte emozione compressa. Con un taglio e con il corpo coperto dal colore ho rappresentato l’emergere di questo sentimento lasciando l’impronta del mio corpo, una figura che esce dallo squarcio, a testimonianza di questa rinascita. Il risultato è stato catartico, quasi un rito simbolico, la tensione emotiva è scemata, ero libera da quella emozione ormai affidata alla tela. Da quel momento e dal commento  “vai avanti così” ricevuto da chi per primo vide l’opera, non mi sono più fermata, ho realizzato che la pittura poteva essere il mezzo espressivo perfetto per il bisogno, a volte urgente, di comunicare e condividere emozioni.
Una prima mostra personale, “Reach out”, a Roma nel 2017 e poi moltissimi i concorsi e le esposizioni collettive in musei  gallerie italiane ed internazionali, come nel 2018 a Montecarlo, Monaco, per la VIII Biennale d’Arte Internazionale o al Piccadilly Museum di Seul nel 2019 con la Société des Artistes Indépendants di Parigi.

 

Quali sono gli elementi principali del tuo lavoro?

Senza dubbio la possibilità di comunicare, in particolare attraverso l’espressività del corpo acquisita nei tanti anni dedicati allo studio della danza classica, che si sono trasformati nella scelta di fare del mio corpo il medium per stendere il colore lasciando impronte la cui gestualità diventa linguaggio universale con una tecnica espressiva istintiva. Ogni nuova opera, che sia figurativa, astratta o tessile è come una pagina di un diario che aggiorno ogni volta che l’intensità di una emozione spinge per essere portata alla luce, all’esterno e condivisa. Come spore, una volta generate, queste opere diventano creature indipendenti.
L’integrazione di varie tecniche attraverso media diversi come gli acrilici, l’olio, la fotografia, il collage e l’arte tessile mi permette una espressione più aderente al bisogno di raccontarmi. Da qui è iniziato il mio impegno e lo studio costante: la pittura costituisce sempre di più un sentiero da cui non voglio scostarmi.

 

In quale modo secondo te l’arte può interagire con la società, diventando strumento di riflessione e spinta al cambiamento?

Molti studi dimostrano come lo stare a contatto con l’arte migliori l’umore e il benessere, riducendo lo stress e migliorando la salute psicologica, e questo effetto si ottiene anche quando la visita al museo o ad una mostra d’arte è virtuale. Quindi, al pari delle foreste “polmoni verdi” per il nostro pianeta, l’arte, che sia performativa o visiva, può essere considerata come una fonte indispensabile per il nostro benessere psicofisico: sia per chi la realizza che per chi ne fruisce. A testimonianza di questo sono tante le realtà museali di tutto il mondo che ultimamente hanno attivato progetti (es. “Your MET Art Box”, MET Museum New York) specialmente durante il lockdown, volti al coinvolgimento sempre maggiore di categorie di persone, come gli anziani, che spesso non hanno la possibilità di visitare i musei, programmi ed iniziative per far provare i benefici dell’arte a quante più persone possibili.

 

Quali sono i tuoi programmi per il futuro?

La prossima esposizione di una mia opera, tessile questa volta, sarà a Milano a Novembre per la quarta edizione dell’esposizione biennale LeArtiPossibili “Edizione 2022- LANA dal bianco al nero”.
Al momento sto lavorando ad un quadro per un progetto congiunto tra la ONG Internazionale Doctors of the Word e Singulart, la Galleria d’Arte Contemporanea online, il cui tema è “Arte come rimedio”. Si tratterà di un’asta di opere d’arte che esplorino gli aspetti terapeutici del processo creativo e il conseguente loro uso negli spazi per evocare tranquillità ed emozioni di serenità.
Inoltre sono impegnata anche nella produzione delle opere che comporranno una mia prossima mostra personale, un’esplorazione di una tecnica nuova e un cambiamento verso l’astratto, anche se l’“impronta” rimane sempre il mio tratto distintivo.

 

In quale modo le istituzioni potrebbero agevolare il lavoro di artisti e curatori?

Di sicuro ispirandosi a Gaio Cilnio Mecenate, ad esempio aprendo spazi all’interno dei musei o creandone di nuovi ristrutturando e riconvertendo strutture esistenti (come La Vaccheria inaugurata l’8 Settembre a Roma), dove consentire agli artisti di produrre e ai curatori di proporre i loro lavori.
Altra opzione potrebbe essere quella di investire in misura maggiore nell’acquisizione di opere di artisti emergenti italiani creando delle collezioni a loro dedicate. Questa valorizzazione, questa dimostrazione di fiducia e di apprezzamento potrebbe avere come effetto secondario anche quello di sensibilizzare l’interesse e l’attenzione del pubblico e dei collezionisti. Verrebbero orientati verso una modalità di fruizione delle opere d’arte in quanto opere d’arte e non come meri elementi per investimenti speculativi a breve termine, come ormai sembra essere la consuetudine.

 

 

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