22 maggio 2021

Biennale Architettura: poesia, stile e narrazione, in tre padiglioni ai Giardini

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Tre approcci complementari e divergenti all'architettura: i Padiglioni di Stati Uniti, Danimarca e Giappone alla 17ma Biennale

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L’aspettativa e la curiosità per il primo, grande appuntamento internazionale post Covid avevano fatto quasi dimenticare certe sensazioni fisiche tipiche delle Biennali di Venezia ma, a fine giornata, riscoprire esattamente “quella” stanchezza è, in fondo, un bel segnale. Non c’è il flusso delle vernici di una volta, quella corrente di voci e corpi che scorre parallelamente all’acqua verde tra i canali e ti conduce tra scale, ponti e campielli e che pure rappresenta una delle cose notevoli del contesto. Ma l’aria di questa 17ma Biennale di Architettura è frizzante lo stesso e – insieme a un freschissimo Select Spritz ovviamente –, fa correre i pensieri e le riflessioni da un Padiglione all’altro. Eccone tre ai Giardini, caratterizzati da altrettanti approcci alla materia: uno poetico, uno stilistico, uno narrativo.

Padiglione Stati Uniti: la tecnica diventa stile

Curato da Paul Andersen e Paul Preissner, il Padiglione degli Stati Uniti è quasi irriconoscibile: la facciata dell’edificio progettato negli anni ’30 da Delano e Aldrich è infatti riletta da una potente struttura percorribile di fragrante legno chiaro che, salendo due rampe di scale, ci porta in alto, aprendo una poco usuale prospettiva sbalzata dei Giardini e delle persone che, passando lì sotto, alzano lo sguardo e lo restituiscono. All’interno, Ania Jaworska, Norman/Kelley, Daniel Shea, Chris Strong e The University of Illinois Chicago School of Architecture, raccontano una storia tipicamente americana. Attraverso una ordinata e classica esposizione alternata di fotografie e modellini, in “American Framing” si delinea lo stile costruttivo caratterizzante della storia degli Stati Uniti e del sogno di espansione verso Ovest dei primi anni dell’800, quello dei telai di legno tenero. Una soluzione pragmatica, poco cogente in fase progettuale e adattabile durante la realizzazione, largamente impiegata per la disponibilità del materiale principale, per la semplicità di esecuzione, per la possibilità di impiegare manodopera non specializzata. Nonostante l’evidente contributo, però, la struttura di legno tenero non ha ancora ottenuto un pieno riconoscimento ufficiale, rimanendo relegata a “tecnica”. Attraverso una serie di evocative fotografie di donne e uomini al lavoro, tra modellini di edifici tipici e con funzioni diverse, dalla Warehouse George Washington Snow di Chicago, del 1832, all’Earthquake Cottage di San Francisco, del 1906, fino al Vista-Liner Smoker Lumber Company, del 1956, si assiste alla graduale e giustificata trasformazione di una tecnica in uno stile compiuto, un canone costruttivo, modulare, replicabile, che ha dato forma alla storia degli Stati Uniti.

Padiglione Danimarca: la poesia dell’acqua

A Venezia il rumore dell’acqua è una costante sonora che tende a scomparire nel sottofondo. Nel Padiglione della Danimarca, a cura di Marianne Krogh e con Lundgaard & Tranberg Architects, ci si riconnette in maniera organica e poetica a quel sostrato imprescindibile nella stratificazione urbanistica di Venezia. Un sistema idrico ciclico collega gli spazi del Padiglione al livello della Laguna, mentre un telo lascia sgocciolare l’acqua piovana. Si cammina su delle passerelle affiancati dai rivoli dell’acqua che scorre e da diverse tipologie di piante verdissime, ci si serve una tisana che si può sorbire comodamente seduti su dei divanetti imbottiti. Ci si riposa per qualche minuto, si integrano liquidi nel corpo, i muscoli si rilassano assecondando l’incessante partitura ritmica dell’acqua che, portata dalle tubature, si riversa scrosciando tra vasche e canali. La disciplina dell’architettura è declinata sul suo versante installativo, relazionale, contestuale, come del resto capiterà di vedere in molte occasioni di questa Biennale.

Padiglione Giappone: frammenti di una storia

Nel caso del Padiglione del Giappone, l’impressione di una architettura decostruita assume un risvolto letterale, narrativo. Curato da Kozo Kadowaki, il progetto di Jo Nagasaka, Ryoko Iwase, Toshikatsu Kiuchi, Taichi Sunayama, Daisuke Motogi, Rikako Nagashima, presenta una tipica casa giapponese di legno che, destinata alla demolizione, è stata trasportata a Venezia, dove però non è stata ricostruita. Almeno, non nella sua forma originariamente prevista. Nel Padiglione, infatti, sono ordinatamente archiviati vari elementi strutturali e complementi di arredo, stipiti, mensole, cornici, ognuno dei quali è latore di un frammento di esistenza quotidiana. Si tratta, tuttavia, di parti residuali: la maggior parte dei pezzi, infatti, è stata riutilizzata per la realizzazione di panchine e altre strutture diffuse per i Giardini, costruite in collaborazione con maestranze veneziane. L’architettura diventa una narrazione con diversi gradi di interpretazione che, densi di significati e di vissuti, diventano brani da rileggere e rielaborare. E il viaggio non finisce in Laguna: i pezzi andranno a Oslo, dove saranno riassemblati – e raccontati – un’ennesima volta.

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