22 aprile 2009

fiere_resoconti The Road to Contemporary Art + ArtO’

 
Primavera romana per l’arte contemporanea. The Road to Contemporary Art approda alla seconda edizione, accompagnata da ArtO’. La prima disseminata tra palazzi e monumenti del centro storico, la seconda all’Eur. Tempo di consuntivo per un appuntamento atteso da operatori e collezionisti...

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Diverse erano le domande alla vigilia. Eccone alcune: le seconde edizioni costituiscono sempre una prova del nove. Il progetto romano reggerà o fallirà? Può una città far forza sul suo appeal internazionale per conquistarsi carisma anche sul fronte della cultura contemporanea? Ancora: c’è spazio in Italia per una nuova grande fiera? E può Roma permettersene addirittura due, non avendone tradizionalmente avuta mai neppure una competitiva? E da ultimo: a Roma l’arte contemporanea si vende o no?
Ma è della vigilia anche un’importante risposta, la più inattesa, che non ha mancato di creare polemiche. Ed è stata quella di Roberto Casiraghi, direttore di The Road. In sintesi: così non va. O le istituzioni appoggiano questo progetto o si chiude.
Le reazioni alla pubblica uscita sono state generalmente negative, vuoi per la intempestività della dichiarazione (prima della chiusura della fiera), vuoi per un diffuso atteggiamento demagogico che si risveglia quando si mischiano pubblico e privato: no al denaro pubblico per il mercato dell’arte.
Eppure a Torino hanno fatto proprio così e la più importante fiera dell’arte emergente in Italia è organizzata da una cordata di amministrazioni pubbliche del territorio che ne hanno anche acquisito il marchio. Ma spingendosi più in là, è forse il caso di chiedersi come mai, nel campo della cultura, si parli sempre di scarsezza di fondi e mai di sprechi. L’Italia pullula di progetti culturali pubblici dove si sperpera ignobilmente denaro: musei improbabili che nascono in luoghi ameni, assurde riconversioni di edifici storici, finanziamenti a progetti, gruppi e associazioni senza discrezione, qualità mai certificata. Il problema del mondo dell’arte è che i soldi che girano sono troppi, altroché. Troppi e male allocati. Troppi e spalmati su troppi eventi. Troppi e non produttivi. Troppi per i risultati che danno. Vadim Fishkin - Choose your day - 2005 - poltrona, pulsanti, riflettori, proiettore, video, audio, ventilatore, phonE poi ci sono i Grandi Eventi. Non è passato neppure un anno dalla diffusione di un documento autorevole della sezione italiana dell’Icom (International Council of Museums) che enumera i danni culturali, sociali ed economici di politiche locali ottuse, affascinate dalle promesse effimere delle mostre blockbuster, usate essenzialmente a fini elettorali e propagandistici. E mentre all’estero, segnatamente in Uk, sull’onda della crisi si stanno prendendo nuove strade (alla National Gallery si è fatto un evento di successo con due sole opere di Tiziano, una delle quali proveniente dalla collezione), da noi anche la più profonda provincia sogna di intercettare i grandi flussi turistici con eventi nazionalpopolari.
Ma torniamo alle fiere capitoline. Perché alle istituzioni romane Casiraghi non ha chiesto il sostegno per una classica fiera-mercato chiusa in un capannone di periferia, ma per realizzare un progetto che vuole portare la creatività contemporanea a innervarsi sempre più nei gangli monumentali della città.
E allora dove sta lo scandalo?

THE ROAD TO CONTEMPORARY ART

Nonostante una certa tendenza all’utopia (ma chi non ha ambizioni non va da nessuna parte) bisogna ammettere che Casiraghi resta il miglior organizzatore di fiere in Italia. Prendete la sezione Start-Up a Santo Spirito in Sassia: invece di sprecare energie e risorse per scovare nuove gallerie con meno di tre anni, ha pensato bene di coinvolgere i curatori in qualità di trend-setter. A loro le scelte ma anche la presentazione in catalogo e la collaborazione negli allestimenti. A loro il compito di indicare quali gallerie invitare. A parte qualche caduta, l’obiettivo è stato centrato in pieno. Tra i nomi nuovi la parigina Gaudel de Stampa (selezionata da Chiara Figone) ha presentato un suggestivo progetto di Dove Allouche (1972) che, a distanza di trent’anni, ha ritrovato i luoghi di Stalker, il capolavoro di Tarkovskij. La personale del russo pluribiennalizzato Vadim Fishkin è stato il biglietto da visita di Impronte Contemporary Art di Milano, scelta da Marco Enrico Giacomelli, mentre una selezione della nuova scena scandinava e finlandese si è avuta grazie a Luigi Fassi e Daniela Cascella, che hanno interpellato, rispettivamente, le gallerie Kalhama & Pippo e Niklas Belenius. Una menzione va soprattutto alla Cascella, non solo per il buon progetto di Belenius sui fantasmi contemporanei (da citare le riflessioni di Von Hausswolff) ma per aver azzeccato anche l’invito a Mario Mazzoli, figlio d’arte del noto gallerista, che ha appena inaugurato uno spazio a Berlino dedito alla ricerca tra arte e suono: la coerente sintesi formale (installativa e scultorea) delle opere di Shingo Inao e Douglas Henderson promettono bene.
Michele Bazzana - Speedline - 2009 - stampa fotografica - dimensioni ambientali - courtesy SpazioA, Pistoia
Di interesse anche la milanese Otto Zoo, scelta da Marco Tagliafierro, soprattutto per il nevrotico lavoro del giovanissimo Andrea Kvas. Tra i nomi già noti bene Spazio A, per i lavori frammentari di Adriano Nasuti Wood e le macchine di Michele Bazzana, e il grammofono di Sergio Limonta per AMT. Decisamente imbalsamate e timorose Tiboni e Citric.
Nelle altre due sedi si mescolavano le gallerie della Fair propria con quelle della sezione Stargate, ovvero le ex-promesse oggi impegnate nel consolidamento e inaugurate da non più di sette anni.
A Palazzo Venezia le attese non sono state tradite. Un inedito Astuni ha rinunciato alla sua linea tendenzialmente commerciale per mettere in mostra opere concettualmente impegnative, come quelle di Steven Pippin, o sperimentazioni ardite come quelle di Attila Csorgo, senza farsi mancare una star come Putrih. Blindarte di Napoli si è accaparrata la pittura visionaria e apocalittica di Adam Cvijanovic, artista ben noto sulla scena statunitense. Tra gli allestimenti più azzeccati ed eleganti è stato sicuramente quello di Lia Rumma: Jodice, Kosuth e le parole di Marzia Migliora si integravano perfettamente.
Assume Vivid Astro Focus - particolare della videoinstallazione a Torre Argentina - Roma, 2008 - courtesy Enel Contemporanea
Non ha peccato almeno di originalità lo stand di Peres Project, ricoperto di telo nero da spazzatura. In mezzo spiccavano i collage di Assume Vivid Astro Focus e opere interessanti di Kaye Donachie e Dan Colen. A terra una candida scultura zoomorfa di Terence Koh. Monitor ha scelto di lasciare spazio all’installazione di Francesco Arena, sorta di bricolage per tener uniti falce e martello: un po’ ridondante. Dello stand di Federico Bianchi si salva la polacca Zuzanna Janin con il suo lavoro intimista e non privo di un vago romanticismo. Adelantado si è fatta notare soprattutto per un sulfureo gruppo scultoreo di Folkert de Jong, mentre da Extraspazio sono piaciute Carola Bonfili e Natasha Bowdoin, che in modi diversi lavorano per dar forma alle stratificazioni della memoria. Sonia Rosso ha calato i suoi assi, Charles Avery, Jonathan Monk e Pierre Bismuth; S.A.L.E.S. ha messo in mostra un lucido (e riflettente) Flavio Favelli; Alfonso Artiaco soprattutto l’ottimo progetto di Museo Precario by Thomas Hirschhorn.
Segnalazione positiva per la nuova bresciana A Palazzo, galleria di mercato e non certamente di ricerca ma con una regia oculata, come dimostra la scelta di John Stezaker, un caposcuola poco visto in Italia. Tra le note negative, la galleria Continua, ebbene sì. Non fosse bastata la banale idea di sostituire la porta del magazzino con una copia molle di Cecchini, regala mezzo stand alla più brutta opera mai vista di Pistoletto. Si chiama The apple of concorde, del 2007, ed è una specie di matrioska specchiante in plexiglas che neppure il più scarso epigono di Koons avrebbe potuto concepire.
Nota di merito, infine, per l’allestimento: niente corsie ma un percorso che si snodava dentro gli stand; un’altra idea assolutamente vincente.
Robin Rhode - veduta della mostra presso Tucci Russo, Torre Pellice (TO) 2008
Palazzo delle Esposizioni è forse stata la vera delusione della fiera. Hanno dominato gli allestimenti noiosi e le scelte poco coraggiose. A far eccezione la londinese Vinespace, che ha rischiato qualche video (di Sean Branagan) e ha messo in mostra la curiosa serie di finti calcolatori vintage di Simon Morse. A Toselli un plauso per aver ripescato la fondamentale figura di Emilio Prini. E mentre Tucci Russo continuava a credere fortemente in Robin Rhode, Oredaria si giocava un bel Rosa di Mario Merz. Ma a vincere la partita è stato indiscutibilmente Pio Monti con un solo pennello di Bartolini, sulle cui setole è dipinto un paesaggio, fronteggiato da una dichiarazione cubitale: Finalmente non si vende più un quadro!
Osservazione finale: rispetto alla scorsa edizione è stato accantonato decisamente il progetto di far dialogare le opera con i contesti storici. Che si sono trasformati in semplici contenitori dei più classici box da fiera. Una scelta che, se da un lato accontenta i galleristi, dall’altro impoverisce l’evento capitolino proprio nella sua connotazione più spiccatamente identitaria. Connotazione che, tuttavia, cozza con la jungla del traffico romano, con l’assenza di servizi di trasporto pubblico (le navette che fanno la spola tra sede e sede non possono fare miracoli), con il caos, lo smog. La fiera sparsa in tre sedi (sette comprendendo tutte le mostre a latere) ha determinato una scarsa affluenza di pubblico. Limitando anche gli scambi tra operatori: un gallerista che esponeva a Palazzo delle Esposizioni avrebbe dovuto investire mezza giornata per andare a vedere quella tale giovane galleria che gli interessava a Santo Spirito in Sassia…
Veduta esterna del Complesso di Santo Spirito in Saxia
ARTO

La buona volontà a volte non basta: questa potrebbe essere la sintesi del giudizio su ArtO’. Strano destino quello di Raffaele Gavarro: come già accaduto per la Venice Video Art Fair, anche stavolta porta a casa pacche sulle spalle e poco più. I suoi progetti fieristici sono interessanti, sostenuti da buone idee, ma finiscono per restare delle belle incompiute. Le ragioni sono difficili da individuare, ma di certo (e questo semmai depone a favore del nostro, cui non si può negare il coraggio) pensare a una fiera sul video in una città culturalmente decaduta come Venezia era stata una scommessa pari solo a quella di sposare la causa della fiera capitolina. Causa persa ab origine (cioè dall’anno scorso), quando a tutti è parso chiaro che questa non sarebbe mai stata una sorta di Liste alla romana ma nient’altro che l’“altra fiera”, quella da visitare come dessert. E solo se non si era a Roma in giornata.
Raffaele Gavarro
Ci ha provato Gavarro a toglierle di dosso questa etichetta, con lo sguardo verso est (pensando al modello di Arco e agli inviti annuali nazionali), con il coinvolgimento di alcune interessanti istituzioni museali, infine con un nutrito e seguito programma di dibattiti (Talks) che gli hanno permesso di segnare qualche buon punto a suo favore sulla fiera di Casiraghi. Ma, appunto, non è bastato a convincere pubblico e operatori. La terza edizione, quella del 2010, sarà la vera prova del nove sul funzionamento e sull’identità di questa proposta.
Alcune segnalazioni: a The Gallery Apart per l’immaginario fiabesco di Myriam Laplante, che ben si coniugava con il lavoro di Gea Casolaro, alla ricerca di tracce di natura tra il cemento delle città; a Michela Rizzo per l’interessante lavoro di David Rickard, costantemente proiettato a indagare la casualità e l’equilibrio dei materiali. E se Bonelli ha potuto finalmente dare per certi i suoi Verlato e Nido alla prossima Biennale veneziana, Fabio Paris ha presentato un nuovo nome di peso alla sua già nutrita scuderia di artisti che operano nel campo dei nuovi media. Si tratta di quello di Eddo Stern, vera star della sperimentazione sui videogame.
Nicola Verlato - Zakk - 2007 - tecnica mista su tela - cm 214x158 - courtesy l'artista e Bonelli Artecontemporanea, Mantova
Una menzione per l’eleganza dello stand va a Edicola Notte, prestato al calligrafismo di Yang Jiechang.
Infine la quota storica, ben rappresentata da Mazzoleni e Tornabuoni, che però sembrano sempre più spesso fuori posto, alla stregua di un ingrediente indigesto nelle fiere d’arte contemporanea. Perché, ormai è chiaro a tutti, il Novecento storico non ha più nulla da spartire con la contemporaneità. Dunque, meglio prendere la palla della crisi al balzo: una fiera contemporanea in meno e una su Ottocento e Novecento storico in più.

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alfredo sigolo

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7 Commenti

  1. “Jodice, Kosuth e le parole di Marzia Migliora si integravano perfettamente”…scrive Sigolo…
    ma è un’offesa a Kosuth! ce ne rendiamo conto??? la Migliora non fa altro che scopiazzare per poi trovare chi la paragona a grandi artisti per farsi un posto in questo mondo patetico dell’arte.
    ci avete rotto!!

  2. Casiraghi e soci chiedono la bellezza di euro 480 (Iva compresa) al metro quadro ed hanno il coraggio di chiedere i finanziamenti pubblici ??

  3. “Causa persa ab origine (cioè dall’anno scorso), quando a tutti è parso chiaro che questa non sarebbe mai stata una sorta di Liste alla romana ma nient’altro che l’“altra fiera”, quella da visitare come dessert. E solo se non si era a Roma in giornata.”… scrive Sigolo…
    Gavarro non solo ha avuto un gran coraggio ma è riuscito nell’impresa di creare una vera FIERA a Roma, forse l’unica in senso stretto… GALLERIE selezionate che espongono OPERE di artisti affermati, “affermandi” e giovani al fine di venderle, ovvero per uno scopo COMMERCIALE!!! Se Casiraghi non riesce da solo a sostenere il Suo progetto chieda pure soldi (più di quanti già non ne abbia presi) alle istituzioni ma elimini il termine FIERA dalla Sua manifestazione…
    infine un dubbio: vuoi vedere che se i soldi non sono bastati la colpa è della parcella di BENITO Oliva?
    A pensar male…

  4. Caro Sigolo,
    dato che Lei si è occupato di fare il “resoconto” del lavoro altrui, non avrà sicuramente nulla da eccepire se qualcuno fa il “resoconto” del suo.
    Il suo titolo recita “fiere resoconti”. Si legge l’articolo e già dalle prime righe si intuisce che in realtà è una “recensione” , zeppa di idee ed opinioni personali. Errore grave per il lavoro che fa.
    Ad esempio, Il suo cosiddetto resoconto è “sbilanciato” sia come estensione che come contenuti, e soprattutto non usa un criterio comparativo vero e proprio tra le due fiere. Manca inoltre di riportare i più banali dati oggettivi peraltro facilmente ottenibili con un minimo sforzo (ad esempio il numero di visitatori, la percentuale di galleristi soddisfatti, opere vendute etc.). Ciò denota superficialità e mancanza del senso di oggettività che sarebbe richiesto quando si riportano eventi ai Lettori. Oppure tali dati non erano utili alla sua causa?
    Leggendo trapela chiaramente da che parte sta o che parte vuole avvantaggiare, ma come vede i lettori sono meno stupidi di quello che pensa e sarebbero molto più interessati a leggere qualcosa veramente “al di sopra delle parti” piuttosto che le Sue personali opinioni.
    Se, da gallerista, dovessi decidere a che fiera partecipare, il suo articolo non mi sarebbe stato di nessun aiuto. E dato che l’anno prossimo sono interessato a partecipare ad una delle due ho chiamato vari colleghi per sapere come sono andate veramente le cose. Guarda caso … non c’è neanche la minima corrispondenza con il malcelato “messaggio subliminale” che Lei ha voluto mandare.
    L’ultima cosa che viene da chiedere è: Ma la sua firma, tradotta in Euro, Quanto vale?

  5. Molto molto meglio i resoconti e articoli della Barbara Martusciello, libere e argomentate ma sul serio.
    Avrete il coraggio di pubblicarmi? Chissà.
    Grazie

  6. Caro super partes, il signore Sigolo è abituato a fare resoconti “combattenti”, è più forte di lui. è come mandare Santoro a l’Aquila!

  7. Leggo la Sua recensione su due avvenimenti fieristici di arte moderna e contemporanea tenutisi a Roma: uno organizzato in alcuni edifici storici della capitale; l’altro nel maestoso Palazzo dei Congressi all’ EUR.
    Avendo visitato tutte e due le fiere d’arte, faticando non poco a trovare le diverse sedi espositive nel centro di una città caotica come Roma, sono arrivato a conclusioni completamente differenti dalle sue sull’ appeal dei due eventi, come del resto era facile da percepire.
    Nulla di male in questa nostra divergenza di vedute. Opinioni diverse di pari dignità.
    Mi ha disturbato però il dubbio che si è rafforzato allo scorrere delle righe, che la serenità dei suoi giudizi sia stata molto indirizzata dalle lobbies, dalle amicizie, dalle connivenze e dagli usi di una immutabile italietta.
    Disturba anche la sua malcelata avversione ai giovani, alla loro imperdonabile vivacità, al loro entusiasmo contagioso, alla loro voglia e diritto di farsi avanti, talvolta anche premiati, e non solo con le “pacche sulle spalle” come è in uso nelle fiere, si…, ma di bestiame, bensì dagli apprezzamenti di quelli che contano davvero: pubblico ed espositori.
    L’ avrei stimata di più se avesse usato la generosità come prova della sua grandezza, anziché un fiume di parole velenose per imporre il suo rispetto. L’ avrei stimata di più se avesse proposto idee utili per la convivenza delle due mostre d’arte di Roma e per noi collezionisti.
    Poteva avere la paternità di mille suggerimenti, di programmi intelligenti, di soluzioni brillanti ed ha perso un’ altra occasione preferendo invece rincorrere l’improbabile epitaffio: Qui giace un cobra.
    La Mangusta.

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