11 aprile 2012

Miart, è la volta buona?

 
Milano sta per vivere le sue settimane più calde, quelle dedicate all'arte e al design del Salone del Mobile. Anche se Miart non scalda i cuori come la kermesse dedicata all'arredamento. Perché? La perenne atmosfera di rilancio che pervade la fiera dell'arte meneghina. Sempre promessa e sempre rinviata. E i numeri degli espositori che rimangono piccoli, per scelta o per obbligo. Ma la direzione di Frank Boehm è piaciuta a più di un gallerista. Una svolta? [di Matteo Bergamini]

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Al via la diciassettesima edizione di Miart, e speriamo che il numero porti bene a Milano e alla “prima volta” di Frank Boehm, dato il corso piuttosto in salita delle fiere italiane, a partire da Bologna con la dimissionaria Silvia Evangelisti e una certa confusione che soffia sulla città delle Due Torri fino a Torino, alle prove con la  nuova direttrice di Artissima Sarah Cosulich Canarutto.
Per ora restiamo a Milano, in quella fiera che negli ultimi anni ha tagliato drasticamente il numero di gallerie partecipanti – non crisi, ma scelta strategica, dicono – ridotto gli spazi ma fatturato di più: 24 milioni di euro nel 2010 e 21 milioni lo scorso anno, quando il numero degli espositori si era ridotto di cinquanta unità e si era parlato di Miart come di un’eccentricità quasi esclusivamente italiana: fiera con poco meno di cento partecipanti. Piccola davvero ma, tra la sezione delle new galleries e i partecipanti “storici”, finalmente meglio strutturata. Per questa edizione Frank Boehm, neodirettore e architetto con un passato di consulente per la collezione italiana di Deutsche Bank, tenta il rilancio: far trovare al pubblico una fiera più agile, ancora meglio costruita. E più internazionale. Per questo, anzi, la proprietà di Miart ha puntato su di lui.

Ma passiamo ai diretti interessati: chi partecipa? Molti, tra quelli che hanno lasciato armi e bagagli a Artefiera per presentarsi invece qui. Su tutte le gallerie Massimo Minini: «Miart funziona bene», dice il gallerista bresciano, convinto tre anni fa a sbarcare a Milano dalla figlia Francesca, presente anche lei in fiera e che ha declinato il cognome Minini in versione milanese e più orientata al contemporaneo. Poi Gio’ Marconi, Kaufmann Repetto e tra i non milanesi la Galleria Marie Laure Fleisch di Roma che “tradisce” la fiera della capitale di fine maggio scegliendo di stare a Milano da domani.
Nella sezione Emergent, la parte delle gallerie giovani, c’è tra gli altri Brand New Galley, spazio milanese aperto da poco più di un anno che rappresenta in città un parterre di artisti stranieri, molto spesso statunitensi di base a Los Angeles, con un’unica eccezione italiana: Alessandro Roma. «Essendo di Milano vogliamo anche sostenere la città, e poi ci sembra che la direzione di Frank Boehm possa dare un nuovo corso alla fiera. C’è stata una buona scelta delle gallerie che prenderanno parte alla sezione Emergent, anche per questo abbiamo deciso di partecipare» afferma Fabrizio Affronti, direttore della galleria.

Al Miart porteranno una doppia personale, con un corpo sculturoreo di Johannes VanDerBeek, giovane artista di Baltimora di stanza a New York, e delle opere pittoriche di Nazafarin Lotfi, artista iraniana con studi a Chicago. Le gallerie milanesi in effetti sono molte, moltissime, da Pack a The Flat di Massimo Carasi, da Suzy Shammah a Cardi, padre e figlio, fino alla giovane Gloria Maria Gallery. Mancano all’appello Lia Rumma, che invece rimane a Bologna e Torino, e Riccardo Crespi.
C’è Raffaella Cortese, altra galleria storica milanese che ha aperto, ma non ancora inaugurato, un nuovo spazio in città a pochi metri dalla sede originale. La Cortese solleva uno dei nervi scoperti del “sistema Italia”, da sempre tacciato di avere una costellazione di fiere, fierine e fierucole molto spesso insignificanti e in continua lotta per la sopravvivenza: «Vorrei una grande fiera in Italia, che sia a Bologna, a Torino, a Milano, a Roma, non importa. E secondo me sarebbe proprio questo il momento giusto per unire le forze e andare oltre i “comuni”». Una scelta auspicabile anche per chi, come Raffaella Cortese, in Italia punta tutto su un’unica fiera all’anno, che dovrebbe essere eccellente: «In Italia mi concentro sulle mostre in galleria e tendo a fare una fiera soltanto, ma a lavorare moltissimo. Le altre cinque fiere europee e americane ci assorbono tutte le altre energie, economiche, di personale, di trasporti d’opere, di progettualità» ribadisce Cortese, che di certo non ha bisogno della pubblicità spicciola che poteva arrivare da Miart nelle edizioni degli scorsi anni. Sintomo quindi di una nuova fiducia anche da parte delle gallerie più autorevoli del settore? 

Ma c’è qualcosa che manca ancora a Miart per diventare un nodo importante del mercato dell’arte italiano? Sì, intanto lo spazio espositivo nel vecchio polo fieristico. Una location sicuramente più centrale e comoda dell’Oval dell’Artissima torinese, ma che rimane una delle sedi più deprimenti che ci siano in giro, a cominciare dall’ingresso sopraelevato rispetto agli stand, che quest’anno però dovrebbe essere  stato eliminato, trovando una soluzione per cui si entrerà in fiera stando sul piano della strada. Risponde di nuovo Fabrizio Affronti di Brand New Gallery: «Mancano probabilmente più gallerie straniere. Nella sezione  degli “emergenti” qualche nome c’è, ma nell’establishment la maggior parte sono italiane,  sarebbe  buona cosa pensare a rinforzare il parterre con qualche nome dall’estero». Per questo ci si penserà l’anno prossimo, forse.
Intanto via alle danze, con la città farà la sua parte con una serie di eventi collaterali che però, per essere non accondiscendenti, altro non sono che l’offerta culturale della città, con alcune gallerie che inaugurano proprio a cavallo di questa settimana e altre che, invece, coprono Miart, Photofestival e Salone del Mobile con un’unica mostra di stagione.
 

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